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giovedì 2 febbraio 2017

L’anarchia di Achille Vittorio Pini

Lo Stato avrà ragione di esistere ed esisterà fintantoché rimarrà intatta la proprietà individuale, causa prima di tutti i mali che corrompono la società attuale, quindi i nostri sforzi saranno rivolti alla sua completa distruzione senza di cui riuscirà vano ogni nostro desiderio di miglioramento e rimarremo continuamente gli schiavi di un padrone, non importa se bianco, rosso o nero”. Così scrive Vittorio Pini su “Il Pugnale”, giornale che egli stampa a Parigi alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e che dura appena il tempo di due numeri. Con i capelli e gli occhi neri, il viso smunto, nasce a Reggio Emilia trenta anni prima da una famiglia poverissima, e ancora ragazzino vede morire di miseria sei fratelli e il padre garibaldino. Dodicenne lavora già in tipografia e lì – a contatto con giornali repubblicani e internazionalisti reggiani, come “La Minoranza” e “L’Iride” –  comincia a interessarsi di politica e ad avvicinarsi alle idee democratiche-radicali. Si trasferisce prima a Milano, dove svolge vari lavori, dal tipografo al pompiere, dal commerciante di vini allo scrivano, poi, dal 1886, in Svizzera e, infine, in Francia. A Parigi le sue idee sono ormai assai chiare: alla fine di una riunione alla quale partecipano militanti anarchici da diverse parti d’Europa vengono raccolti, come è d’uso, fondi per la propaganda, ma con magri risultati. Pini, allora, ben sapendo che per fare attività rivoluzionaria sono necessari non pochi denari, esclama: «se noi non li abbiamo, li ruberemo!». Egli fa parte di quegli anarchici convinti che l’espropriazione – o «riappropriazione» – sia un diritto, se non un dovere, e che la rivoluzione sia l’addizione di atti individuali di ribellione che contribuiscono a demolire il sistema. Dà vita al gruppo de Gli Intransigenti di Parigi e Londra, che si confonde con altri raggruppamenti simili: Gli Introvabili, Gli straccioni di St. Denis, I Cosmopoliti di Montmartre, Gli Antipatrioti, La Pantera e altri. Nel n. 1 del bollettino rivoluzionario anarchico “Il Ciclone” del settembre 1887 Pini e i suoi si scagliano contro qualsiasi mediazione, in nome di tutte le sofferenze patite dal proletariato: «siamo esseri che tutti gl’insulti abbiamo sofferto: galera, prostituzione, fame, delitto». La sua battaglia alla borghesia è senza tregua: «Mezzi d’emancipazione: espropriazione, pugnale, dinamite, petrolio» questi per finire sono i sottotitoli di alcune delle sue pubblicazioni.

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