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giovedì 2 febbraio 2017

La fine del mercato e dello Stato

La crisi non è solamente economica. Quando non  c'è più denaro, non funziona più niente. Nel corso del XX secolo, per estendere la schiera della valorizzazione del valore, il capitalismo ha inglobato settori sempre più ampi della vita: dall'educazione dei bambini alla custodia degli anziani, dalla cucina alla cultura, dal riscaldamento ai trasporti. Si è visto un progresso, in nome dell'efficacia o della libertà degli individui affrancati dai legami familiari e comunitari. Ora se ne vedono le conseguenze: tutto va a rotoli se non è finanziabile. E non è  solo dal denaro che dipende tutto, ma peggio ancora: dal credito. Quando la riproduzione reale è al traino del capitale fittizio, quando le imprese, le istituzioni e perfino Stati interi sopravvivono solo grazie alle loro quotazioni in borsa, ogni crisi finanziaria - lungi dal riguardare solamente quelli che giocano in borsa - finisce per affliggere moltissimi uomini nella loro vita più intima e quotidiana. 
Le diverse crisi -  economica, ecologica, energetica - non sono semplicemente contemporanee o collegate: sono l'espressione di una crisi fondamentale, quella della forma-valore, della forma astratta, vuota, che si impone ad ogni contenuto in una società basata sul lavoro astratto e sulla rappresentazione nel valore di una merce. E' tutto un modo di vita, di produzione e pensiero, vecchio di almeno 250 anni, a non sembrare più capace di assicurare la sopravvivenza dell'umanità. Forse non ci sarà un venerdì nero come nel 1929, un giorno del giudizio. Ma ci sono buone ragioni per pensare che stiamo vivendo la fine di una lunga epoca storica: l'epoca in cui l'attività produttrice e i prodotti non servono a soddisfare i bisogni, ma ad alimentare il ciclo incessante del lavoro che valorizza il capitale e del capitale che impiega il lavoro. La merce e il lavoro, il denaro e la regolazione statale, La concorrenza e il mercato: dietro le crisi finanziarie che si ripetono da oltre 20 anni, ogni volta più gravi, si profila la crisi di tutte queste categorie. Che è sempre bene tenerlo a mente non fanno parte ovunque della esistenza umana. Ma la fine del lavoro, del vendere, del vendersi e del comprarlo, la fine del mercato e dello Stato - tutte categorie che non sono  in alcun modo naturali e che un giorno scompariranno, nello stesso modo in cui esse hanno sostituito altre forme di vita sociale - è un processo di lunga durata. La crisi attuale non ne è né l'inizio né la conclusione. bensì una importante tappa.
   

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