Translate

giovedì 27 ottobre 2016

Che cos’è un uomo in rivolta?

Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo “no”?
Significa, per esempio, “le cose hanno durato troppo fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e anche “c’è un limite oltre il quale non andrai". Insomma, questo no afferma l’esistenza di una frontiera. Si ritrova la stessa idea di limite nell’impressione dell’uomo in rivolta che l’altro “esageri”, che estenda il suo diritto al di là di un confine oltre il quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita. Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere “il diritto di…”.
Non esiste rivolta senza la sensazione d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione. Appunto in questo lo schiavo in rivolta dice ad un tempo di sì e di no. Egli afferma, insieme alla frontiera, tutto ciò che avverte e vuol preservare al di qua della frontiera. Dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui “vale la pena di…”, qualche cosa che richiede attenzione. In certo modo, oppone all’ordine che l’opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere.
L’uomo in rivolta vuole essere tutto, identificarsi totalmente con quel bene di cui a un tratto ha preso coscienza e che vuole sia riconosciuto e salutato nella propria persona – o niente, vale a dire trovarsi definitivamente scaduto per opera della forza che lo domina. Al limite, accetta quella estrema caduta che è la morte, se dev’essere privo di quella consacrazione esclusiva che chiamerà, per esempio, la propria libertà. 
Piuttosto morire in piedi che vivere in ginocchio.

DEFINIZIONE MINIMA DELLE ORGANIZZAZIONI RIVOLUZIONARIE

OVVERO COME RICONOSCERE QUELLE CHE NON LO SONO
 Considerando che l'unico fine di una organizzazione rivoluzionaria è l'abolizione delle classi esistenti attraverso una via che non comporti una nuova divisione della società, definiamo rivoluzionaria ogni organizzazione che operi con conseguenza per la realizzazione internazionale del potere assoluto dei Consigli operai, quale è stato abbozzato dall'esperienza delle rivoluzioni proletarie di questo secolo.
Una tale organizzazione o presenta una critica unitaria del mondo, o non è niente. Per critica unitaria intendiamo una critica pronunciata globalmente contro tutte le zone geografiche in cui sono installate le diverse forme di poteri socio-economici separati, e parimenti pronunciata globalmente contro tutti gli aspetti della vita.
Una tale organizzazione riconosce l'inizio e la fine del proprio programma nella decolonizzazione totale della vita quotidiana; non mira dunque all'autogestione del mondo esistente da parte delle masse, ma alla sua trasformazione ininterrotta. Essa conduce la critica radicale dell'economia politica, cioè il superamento della merce e del salariato.
Una tale organizzazione rifiuta di riprodurre al suo interno le condizioni gerarchiche del mondo dominante. L'unico limite della partecipazione alla sua democrazia totale è il riconoscimento e l'auto-appropriazione da parte di tutti i suoi membri della coerenza della sua critica: questa coerenza deve essere presente nella teoria critica propriamente detta, e nel rapporto fra questa teoria e l'attività pratica. Essa compie una critica radicale di ogni ideologia in quanto potere separato delle idee e idee del potere separato. Così essa è ad un tempo la negazione di ogni sopravvivenza della religione e dell'attuale spettacolo sociale che, dall'informazione alla cultura di massa, polarizza; ogni comunicazione degli uomini intorno ad una ricezione unilaterale delle immagini della loro attività alienata. Essa dissolve ogni " ideologia rivoluzionaria " smascherandola come ratifica del fallimento del progetto rivoluzionario, come proprietà privata di nuovi specialisti del potere, come impostura di una nuova rappresentazione che si erge al di sopra della vita reale proletarizzata.
Poiché la categoria della totalità è il giudizio ultimo dell'organizzazione rivoluzionaria moderna, questa è infine una critica della politica. Essa deve esplicitamente mirare, con la sua vittoria, alla propria fine in quanto organizzazione separata.
 ASSOCIAZIONE PER LA PROPAGAZIONE DELL'EPIDEMIA DI RABBIA CONTAGIOSA
Bologna, 23 settembre 1977

(Tratto dal pamphlet : Benvenuti nella città più libera del mondo)

Disprezzo delle credenze e della cultura dei domesticati

La domesticazione sociale progredisce, da un punto di vista antropologico, nei modi più insospettati. A partire dal 1492, l'espansione del mondo occidentale ha alterato le lingue del pianeta terra in modo irreversibile. Oggi, metà dei sei miliardi di individui che popolano il pianeta parlano una lingua indo-europea come lingua materna. Questa osservazione introduce due interrogativi: quali furono i vantaggi che permisero a questa lingua di trionfare, quali quelli che si acquisirono? In cinquecento anni l'inglese e lo spagnolo hanno supplito alla maggior parte delle lingue indigene di America e di Australia. Una tale espansione è il risultato di una superiorità, che ha negli strumenti della domesticazione i suoi capisaldi: armi da fuoco, diffusione più o meno deliberata di germi infettivi, uso del ferro e dei suoi derivati, organizzazione politica, disprezzo delle credenze e della cultura dei domesticati. Gli emigrati bianchi non sono stati i primi colonizzatori dell'Australia, cinquantamila anni prima lo furono quelli che oggi sono chiamati aborigeni o neri. Con l'installazione degli inglesi la maggior parte di loro fu uccisa come conseguenza, diretta o indiretta, della colonizzazione. Così, nel 1988, il bicentenario della nascita di questo paese, poteva festeggiare il fatto che era divenuto bianco.

giovedì 20 ottobre 2016

Alle origini del luddismo


Il luddismo si appellava alle leggi paternalistiche che imponevano sanzioni «contro gli imprenditori privi di scrupoli e ingiusti» e riconoscevano ai salariati «un ordine riconosciuto, sebbene inferiore». Dove il libero proprietario di fabbrica o il grande cotoniero o il produttore di calze su telai meccanici, che si arricchiva con questi mezzi, fosse visto non solo con gelosia, ma come uomo impegnato in azioni immorali e illecite. I tumulti e la protesta erano mossi in altre parole da una economia morale – di cui facevano parte la tradizione del giusto prezzo e del salario equo – in conflitto all’ideologia del laissez faire, vista non come una legge naturale ma come una imposizione. Tutte le rivendicazioni erano insieme rivolte al passato e all’avvenire; e contenevano in sé l’immagine confusa non tanto di una comunità paternalistica, quanto di una comunità democratica, in cui l’espansione dell’industria fosse regolata in base a priorità etiche, e la ricerca del profitto subordinata alla soddisfazione dei bisogni umani. 
Il luddismo ha origine dalle tradizioni popolari: quelle sociali della rivolta popolare, quelle politiche dell’inglese nato libero,
quelle religiose del dissenso.
La prima di queste tradizioni sono i tumulti che traggono origine dal carovita, dai pedaggi, dalle gabelle, dall’accisa, dall’introduzione di nuove macchine, dalla recinzione di campi e pascoli comuni, dall’arruolamento forzato. I tumulti per il carovita – imposizioni di un calmiere popolare, blocchi dei carichi di cereali – possono essere violenti ma si collocano nel quadro di un comportamento tradizionale, in quanto trovano la loro legittimazione nei presupposti di un’antica economia a sfondo morale, che bolla di immoralità qualunque metodo consistente nel trarre profitto dalle necessità del popolo rincarando i prezzi dei viveri. Nelle comunità sia urbane sia rurali, una coscienza del consumatore precedette ogni altra forma di antagonismo politico o economico: l’indice più sensibile del malcontento popolare non erano i salari, ma il costo del pane. Le leggi divine della domanda e dell’offerta, per cui la penuria dei beni provoca inevitabilmente una lievitazione dei prezzi, erano ben lontane dall’essere accettate dalla coscienza popolare, in cui perduravano nozioni più antiche di contrattazione faccia a faccia. L’antica economia morale di tipo paternalistico si contrapponeva così alla libera economia di mercato.
La seconda tradizione culturale poggia sul mito dell’inglese nato libero: un mito fondato sulla libertà dal dominio straniero, dall’assolutismo e dall’ingerenza dello Stato, sull’eguaglianza di ricco e povero di fronte alla legge, sulla protezione delle leggi contro le ingerenze di un potere arbitrario, e infine sulla libertà di parola, di pensiero e di coscienza. Su questa base si affermano teorie come quelle di Tom Paine, «ai limiti di una teoria anarchica», secondo cui «nell’istante in cui è abolito il governo formale, la società
comincia ad agire» 
Terza tradizione culturale, il dissenso religioso. Un esempio: il metodismo, i cui precetti erano quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro, recitò «la doppia parte di religione degli sfruttatori e di religione degli sfruttati», riuscendo a essere simultaneamente religione della borghesia industriale e di vasti strati della classe proletaria, tanto che tensioni continue insorgevano in seno ad una religione i cui precetti erano pur tuttavia quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro. Il ribelle politico metodista portava nella sua attività radicale o rivoluzionaria un intenso fervore morale, un senso di devozione e vocazione, una capacità metodista di impegno organizzativo tenace, e un alto grado di responsabilità personale»; in particolare nelle campagne il metodismo poteva prendere una forma improntata a una più viva coscienza di classe, consentendo ai lavoratori dei campi di acquisire «indipendenza e rispetto di sé».

SONO TUTTI MORTI di Jim Carroll

Teddy sniffava colla, aveva dodici anni,
cadde dal tetto sulla Ventinovesima Est
Cathy ne aveva undici quando tirò le cuoia,
fatta di ventisei di quelle rosse più una bottiglia di vino
Bobby prese la leucemia, a 14 anni,
ne dimostrava 65 quando morì
era un amico mio

Sono tutti morti, morti
sono tutti morti, morti
sono tutti morti, morti
erano miei amici, e sono morti

G-berg e Georgie hanno lasciato infettare gli attrezzi
e sono morti di epatite a Manhattan alta
Sly si è preso una pallottola in testa in Vietnam
Bobby è andato in overdose di Drano la sera del matrimonio
erano altri due amici miei
due amici che sono morti

Mary ha fatto un tuffo da una camera d'albergo
Bobby si è impiccato in un loculo del cimitero
Judy si è buttata nella metropolitana
a Eddie gli hanno segato la giugulare
Eddie, mi manchi più di tutti gli altri,
ti rendo omaggio, fratello.

Herbie ha spinto Tony dal tetto del Club dei Ragazzi
Tony pensava che fosse arrabbiato per finta
ma Herbie gli ha dato una bella dimostrazione
ha detto "Ehi Tony, sei capace di volare?"
Ma Tony non era capace,
ed è morto.

Brian l'hanno fregato per una storia di roba
si stava intortando dei motociclisti
gli ha detto, "so che è un rischio, ma di sicuro
è meglio di quella di Riker"
ma il giorno dopo è stato seccato
dallo stesso motociclista

PACCHETTO TECNOLOGICO

                                                     (continua)
Allo spossessamento culturale si è accompagnato, ancor più violento, lo sradicamento sociale. La grande maggioranza dei contadini non era in grado di reggere le spese di esercizio di quella nuova agricoltura e abbandonava le campagne. D'altra parte, per applicare in piena efficienza economica il pacchetto tecnologico, occorreva puntare sulle grandi aziende, accorpare le piccole proprietà coltivatrici, abolire le agricolture miste (che garantivano l'autosufficienza alimentare delle famiglie), estendere le monoculture. Era il trionfo della agricoltura industriale, con pochi addetti (in regioni del mondo affamate di lavoro) che aumentava significativamente la produzione globale dei vari Paesi, ma spingeva milioni di contadini ad abbandonare la terra, costringendoli a comprare il modesto cibo quotidiano che prima producevano con le proprie mani. Ma quei contadini non hanno trovato fonti di reddito alternative, diversamente da quanto è accaduto in Europa e negli Stati Uniti. Hanno creato un nuovo esercito di poveri. La crescita delle megalopoli asiatiche e latinoamericane, la diffusione delle baraccopoli in Africa e in varie altre regioni del mondo, nel secolo scorso, sono in gran parte l'esito di queste migrazioni rurali. E qui la fame trionfa.
Riportiamo qui di seguito alcuni dati sulla alimentazione, i prodotti agroalimentari e il loro costo, che in molti paesi li rende inaccessibili alla povera gente.
In meno di un anno il grano ha triplicato il suo prezzo, il riso è salito del 47%, il mais del 35%. mediamente una famiglia europea o nordamericana spende il 16% dei propri redditi per l'alimentazione. Le famiglie nigeriane ne spendono il 73%, i Vietnamiti il 65%, gli Indonesiani la metà. Il Presidente della banca mondiale, ha avvertito che 33 nazioni sono a rischio di crisi sociale per l'aumento dei prezzi dei cereali: "per i paesi in cui la alimentazione occupa dal 50 al 75% della spesa non c'è possibilità di sopravvivenza".
Gli Stati Uniti hanno dato 6 miliardi di dollari di sovvenzioni pubbliche a favore dei biocarburanti. In questo modo hanno tolto dal mercato alimentare 138 milioni di tonnellate di mais. Il pieno di un SUV di biocarburante equivale al consumo di cereali di un anno per una persona. 

giovedì 13 ottobre 2016

Baudrillard e il simulacro

Molto più radicale e conseguente della maggior parte dei suoi coetanei, Baudrillard definì l’interferenza costante di qualsiasi traccia di verità come la caratteristica chiave delle società avanzate. La circolazione sempre più accelerata di informazioni e lo scontro costante delle infinite interpretazioni (e anche delle manipolazioni coscienti) tendono a eguagliarle in forma di simulacri. Svanisce la distinzione tra il veridico e il falso; come nella caverna platonica ci sono solo immagini tra immagini, opinioni contro altre opinioni, informazioni diverse, ma non La Verità.
E ancora, Baudrillard insiste nel fatto che nelle società avanzate attuali qualsiasi fatto, realtà o verità, tende a degradarsi, sia già come spettacolo o come consumo, sia, indistintamente, come entrambe le cose. Per questo, attualmente, tanto la città come Internet cadono sotto il segno del consumo e dello spettacolo; addirittura la cultura si vive necessariamente come un fatto spettacolare e un processo consumistico, con i suoi modi, i suoi miti, i suoi brevi istanti di gloria. 
Secondo la teoria del simulacro di Baudrillard, questo è il destino e la condizione dell’attuale società simulacro. In essa domina una mera apparenza di verità che, oltretutto, nasconde il fatto di essere una semplice apparenza e, così, distoglie l’attenzione dall’unica realtà o verità possibile, che è precisamente il simulacro. Baudrillard dice: “Il simulacro non è ciò che occulta la verità. È la verità ciò che occulta che non esiste una verità. Il simulacro - quando sa di esserlo - non inganna, è ciò che è. L’inganno ha luogo quando si vuol far passare un simulacro per una verità; più radicalmente, quando si dice che esiste la verità, e non il simulacro”.
E così quando la camuffata ma già relativamente antica crisi sociale irrompe spettacolarmente nelle coscienze attraverso il profondo crac economico e i fatti mondiali come l’attentato contro le Torri Gemelle; a partire da questo momento, un panico generalizzato sembra disposto a sacrificar tutto in cambio di “sicurezza”, stabilità economica... o un simulacro credibile di queste idee.
(Un simulacro designa un'apparenza che non rinvia ad alcuna realtà sotto-giacente, e pretende di valere per quella stessa realtà.) 

UN COLPO DI SPUGNA di Lionella Favretto

Un colpo di spugna
sul passato,
una lama
che taglia di netto
segna il confine
tra passato e futuro.
Non esiste il presente;
il suo limite
a zero, tende!

Dieci anni più uno
alla ricerca
dei miei desideri
scivolati in un abisso,
mai soddisfatti:
tanti anni per scoprire
che esisto, ma non sono
che non so cantare, ma canto
che so urlare
e non urlo!

Quanta tenerezza
dentro questo muscolo

barricate si alzano…
lancio pietre
sulle bolle di pensieri
che sublimano…

Tacito accordo con la mia coscienza
che voleva scappare
che aveva fretta
- coscienza lepre –
che mostrava i denti
alla luna
in un ghigno
pietoso
a vedersi:
ho barattato la fuga
con il nulla:
proteggo
le emozioni
- uniche amiche rimaste –
e fuggo dal mondo, da te.

FAME E PROGRESSO

La diffusione epidemica della fame nel mondo ha una origine storica ormai non più recente. Essa nasce con la rivoluzione verde avviata negli USA negli anni '60 in vari paesi a basso reddito e proseguita con crescente intensità nei decenni successivi. Quella rivoluzione venne definita verde perché essa aveva il compito strategico di contrastare, nelle campagne povere del mondo, l'onda rossa del comunismo. Ed era verde non perché rivestisse anticipatrici connotazioni ambientaliste, ma perché puntava ad una radicale trasformazione tecnologica dell'agricoltura senza sovvertire i rapporti di proprietà. Non la liquidazione dei latifondi, ancora così diffusi in tutti i continenti, né la distribuzione della terra ai contadini, ma una via tecnologica. Essa puntava ad innalzare la produzione unitaria, a modernizzare le campagne sul modello occidentale, risolvere il problema elementare del cibo per tutti e fornire così un potere stabile alle classi dirigenti locali amiche dell'Occidente.
La rivoluzione verde si è imposta attraverso un dispositivo molto semplice: la diffusione di un pacchetto tecnologico (technical package) composto da sementi ad alte rese, concimi chimici, pesticidi, etc. E occorreva, infine, un ricorso senza precedenti all'uso dell'acqua.
D'un colpo i saperi millenari con cui i contadini avevano provveduto sino ad allora alla produzione del proprio cibo venivano sostituiti da uno schema tecnologico calato dall'alto. Non potevano più utilizzare le proprie sementi, perché dovevano ormai acquistarle all'esterno,  e così il concime, i pesticidi, più tardi i diserbanti, etc. Essi dovevano limitarsi ad applicare i dettami di una scienza esterna di cui non capivano i meccanismi e che alterava gravemente il loro habitat naturale. E la loro agricoltura diventava dipendente dall'industria agrochimica occidentale.
                                                                                                                                                (continua)

giovedì 6 ottobre 2016

Fermiamo le macchine

Qualsiasi rivolta contro il dominio non potrà rappresentare gli interessi generali se non trasformandosi in una ribellione contro la tecnica, una ribellione luddista. La differenza tra gli operai luddisti e i moderni schiavi della tecnica risiede nel fatto che quelli avevano un modo di vivere da salvare, minacciato dalle fabbriche, e costituivano una comunità, che sapeva difendersi e proteggersi. Per questo fu tanto difficile sconfiggerli.  La repressione diede luogo alla nascita della moderna polizia inglese e allo sviluppo del sistema della fabbrica e del sindacalismo britannico, tollerato e incoraggiato a causa del luddismo. Il cammino del proletariato comincia con un’importante rinuncia, anzi, i primi periodici operai L’Artisan del 1830 elogeranno le macchine sostenendo che alleviano il lavoro, e che il rimedio non è sopprimerle quanto sfruttarle loro stessi. Contrariamente a quanto affermavano Marx ed Engels, il movimento operaio si condannò all’immaturità politica e sociale quando rinunciò al socialismo utopico e scelse la scienza, il progresso (la scienza borghese, il progresso borghese), al posto della comunità e dello sviluppo individuale. Da allora l’idea per cui l’emancipazione non è progressista ha circolato negli ambienti della sociologia e della letteratura più che nel movimento operaio, ad eccezione di alcuni anarchici e seguaci di Morris o Thoreau. Così, per esempio, dobbiamo aprire il romanzo Metropolis, di Thea Von Harbou, per leggere arringhe come questa: «Dal mattino alla notte, a mezzogiorno, alla sera, la macchina ruggisce chiedendo alimento, alimento, alimento. Siete voi l’alimento! Siete l’alimento vivo. La macchina vi divora e poi quando siete esausti vi butta via! Perché ingrassate le macchine con i vostri corpi? Perché accettate le sue articolazioni con il vostro cervello? Perché non lasciate che le macchine muoiano di fame, idioti? Perché non le lasciate morire, stupidi? Perché le alimentate? Quanto più lo fate, più fame avranno della vostra carne, delle vostre ossa, del vostro cervello. Voi siete diecimila. Voi siete centomila! Perché non vi lanciate, centomila pugni assassini, contro le macchine?» Evidentemente, la distruzione delle macchine è una semplificazione, una metafora della distruzione del mondo della tecnica, dell’ordine tecnico del mondo, e questo è l’immenso compito storico dell’unica vera rivoluzione. È un ritorno al principio, al saper fare degli inizi che la tecnica ha proscritto.

EL TOPO di Alejandro Jodorowsky

Un abilissimo pistolero, soprannominato El Topo, lascia il figlioletto Miguel in una missione francescana e accetta, per amore di una donna, di misurarsi in duello con quattro maestri invincibili. Li batte, ma lei lo tradisce sparandogli al petto. Quando il pistolero si risveglia è all’interno di una montagna, dove è stato trascinato da una comunità di essere deformi. Inizia per lui una nuova esistenza. Preso il nuovo volto di un bonzo, El Topo diventa il loro protettore e gli promette di portarli alla luce del sole iniziando a costruire una lunga galleria. Con una ragazza nana esce dal loro rifugio sotterraneo e diventa giocoliere nella vicina città, dove una sonnolenta e ridanciana borghesia copre a stento, sotto il velo dell’onorabilità, il razzismo più esasperato, la sessualità più aberrante e una religiosità da invasati. Ultimata la galleria, l’esercito degli esseri deformi può finalmente uscire dalle tenebre e precipitarsi dalle falde della montagna verso la città. La borghesia è schierata con le armi in pugno pronta a decimarli.
Un pistolero vestito di nero e un bambino nudo cavalcano insieme nel deserto. Il padre ordina al bambino di seppellire nella sabbia il suo primo giocattolo e la foto di sua madre. Un rito iniziatico che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta. È l’incipit di El Topo, il singolare western che pose all’attenzione internazionale lo Jodorowsky regista. Alla sua uscita il film suscitò un grande interesse per il suo essere prototipo del western anarco-surreale.
Oltre la violenza ritualizzata di Sam Peckinpah, l’humor e il grottesco di Sergio Leone, il surreale ascetismo di Luis Bunuel, il carnascialesco e arcaico universo di Federico Fellini, il regista cileno nel suo film traccia un apologo sulla sopraffazione e sull’arroganza del Potere, che si può sconfiggere solo attraverso la sofferenza, la morte, la rigenerazione e la rinascita (ovvero la rivoluzione). In principio l’eroe deve sfidare e uccidere altri quattro pistoleri per dimostrare di essere il migliore conquistando così l’amore di una donna. Una volta ucciso per mano della stessa donna che ama, El Topo rinasce nei panni di un mistico briccone che guida il popolo di nani, storpi, uomini senza braccia e senza gambe, all’esterno del loro mondo sotterraneo verso l’integrazione vale a dire una civiltà brutale che non esiterà a sterminarli. Guida spirituale del diversi, il pistolero-bonzo, il buffone-saggio si immolerà alla fine del film passando la sua eredità spirituale alla moglie e al figlio ritrovato. Tragedia e anarchia, mito e rivoluzione, paganesimo e Sacre Scitture, classicismo e surrealismo, performance artistica e azione cinematografica. El Topo alterna sequenze desolate e pauperistiche, a scene di massa che culminano in un caos visivo, in una commedia umana degradata e decadente, rappresentata da baldracche e giustizieri invasati seguaci di una religione che ha come simbolo un occhio inscritto in un triangolo, pronta ad uccidere con efferatezza coloro che ritiene nemici. 


Sciopero contro il consumo alienato

L'esigenza della decrescita nasce precisamente nell'intimità del soggetto; un intimità ormai negata che avverte la poesia della diserzione di fronte all'orrore della guerra sociale in atto nel quotidiano e si applica volontariamente a sostenere il piacere di vivere che la muove.
L'attuazione di tutti i propositi realisti e ragionevoli che formano una prospettiva di decrescita sempre più attraente non potrà comunque essere adottata, e ancora meno realizzata, senza una sovversione totale. Una sovversione la cui gradita prerogativa è di non necessitare tanto di eserciti quanto di renitenti alla leva. Non c'è più, infatti, un potere da prendere, ma un potere da abolire.
Uno sciopero generale antiproduttivista abbinato ad un atteggiamento appassionante costruttivista nella creazione di nuove forme di socialità, nella confezione di cibo di qualità, nello sviluppo di attività interpretate come gioco, in una crescente spirale di gratuità, mirerà a difendere a migliorare la qualità della vita quotidiana. Questa nuova concezione della lotta per la emancipazione sarà probabilmente l'arma pacifica dell'uomo soggettivo federato e del suo sindacalismo rivoluzionario: sciopero contro il consumo alienato, sciopero contro l'industralizzazione della vita, sciopero contro le cadenze e gli  inquinamenti del sistema di lavoro produttivistico, sciopero contro il sistema bancario, sciopero contro ogni forma di povertà economica e sfruttamento della forza-lavoro. La socializzazione di questa coscienza, ancora minoritaria ma singolarmente in crescita, potrà innalzare l'unica barricata in grado di resistere all'inevitabile ritorsione degli appestati che l'economia prima infetta e in seguito arruola.