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giovedì 29 settembre 2016

La bandiera nera II


La scelta del colore nero ha per ognuno un'origine e un significato diversi, ma sembra sempre legata alla lotta di classe e alle condizioni disperate del periodo in cui è comparso. È un colore, o meglio un non-colore potente, il simbolo dell'anarchia, e ne rappresenta le lotte principali, contro la religione, contro l'economia e, soprattutto, contro lo Stato. Mentre il rosso fa classicamente riferimento al sangue, il nero evoca il sangue rappreso e il lutto.
La bandiera nera arriva in America nel 1884, secondo lo storico Paul Avrich. Sarebbe stata esposta, il 27 novembre di quell'anno, sulla Market Square di Chicago, in occasione di una manifestazione operaia promossa dagli anarchici dell'Internazionale. Secondo un giornale militante locale, 'The Alarm', a fianco del tradizionale vessillo rosso, sul palco degli oratori, sventolava una grande bandiera nera. I due stendardi, dopo i comizi, presero insieme la testa del corteo che attraversò la città. Anche i partigiani di Makhno, in Ucraina, durante al rivoluzione russa del 1918-21, utilizzarono il vessillo nero come propria bandiera.  Il 13 febbraio 1921 si svolsero a Mosca i funerali di Kropotkin. Molte persone che seguivano il feretro portavano bandiere nere e altre con lo slogan: 'Dove c'è autorità non c'è libertà'. Fu in pratica l'ultima apparizione delle bandiere nere nella Russia sovietica.
Due settimane dopo scoppiò la rivolta di Kronstadt, che alla fine fu soffocata dai controrivoluzionari bolscevichi e che segnò la fine dell'influenza degli anarchici nella Russia sovietica. Nel corso della rivoluzione spagnola del 1936-39, s'era sempre più diffuso l'impiego delle bandiere nere. Gli anarchici della CNT, per esempio, combattevano sotto vessilli neri e rossi come sotto altri completamente neri. 

"Perché è nera la nostra bandiera? Il nero è un'ombra, una negazione. La bandiera nera è la negazione di tutte le bandiere. È la negazione delle nazionalità che spingono gli esseri umani a massacrarsi a vicenda e a negare la proprio unità. Il nero esprime un sentimento di collera e di rabbia davanti a tutti i crimini odiosi commessi contro l'umanità e in nome di una sottomissione a uno Stato qualunque. È la collera e la rabbia davanti all'insulto all'intelligenza umana che comportano le pretese, le ipocrisie e le ridicole beghe dei governi. Il nero è anche il colore del dolore e della tristezza: la bandiera nera che rinnega la nazione piange anche le sue vittime, gli innumerevoli milioni assassinati dalle guerre, esterne e interne, per la gran gloria e la stabilità di uno Stato sanguinario. Piange coloro cui è rubato e tassato il lavoro, per pagare l'uccisione e l'oppressione di altri individui. Piange non solo la morte fisica, ma anche l'atrofia dello spirito soggetto al sistema gerarchico e autoritario; piange i milioni di neuroni neutralizzati, senza avere più la possibilità di portare la loro luce al mondo. È un colore d'inconsolabile risentimento. Ma il nero è anche un colore magnifico. È il colore della determinazione, della decisione, della forza: accanto al nero tutti gli altri colori sono messi in evidenza. È il mistero che circonda la germinazione, la fecondità, il suolo fertile della vita nascente che sempre si evolve, si rinnova, si ravviva e si riproduce nelle tenebre. Il seme nascosto sotto terra, lo strano viaggio del liquido seminale, la crescita segreta dell'embrione nella matrice, sono tutti circondati e protetti dal nero."
(Howard Ehrlich, nel suo libro Reinventing Anarchy 1979)

GLI INDIANI METROPOLITANI

Tutto quello che successe prima del 1977 confluì nel Movimento: gli scioperi degli operai, l’occupazione delle case abbandonate, il risanamento dei quartieri periferici delle città, il terrorismo, il movimento femminista, la contestazione ai cambiamenti delle leggi sull’istruzione, la contestazione politica, la lotta al capitalismo. Gli Indiani Metropolitani si inserirono in questo amalgama di anime del Movimento, apportando uno spirito ironico, gioioso e non violento alla sensazione di rivoluzione che si respirò dal mese di febbraio al mese di settembre del 1977.
Nel marzo del 1973 a Torino, presso la Fiat Mirafiori, dei giovani operai occuparono i reparti della fabbrica in un’iniziativa autonoma dal sindacato. Questi giovani si legarono sulla fronte una fettuccia e inscenarono un happening, suonando clacson e battendo tamburi al grido onomatopeico «Èaèaèaèao». Probabilmente questo fu il primo sintomo di quel revival della cultura indiana che prese largo durante il Movimento.
Gli Indiani Metropolitani iniziarono a partecipare attivamente alla vita degli studenti in occupazione, attraverso l’organizzazione di feste e performance e la realizzazione di murales e di scritte ironiche ma che racchiudevano il loro modo di pensare, fondato ad esempio sulla frase «La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà», insieme ad altri due slogan: “Godere operaio” (in opposizione a Potere operaio) e “Godimento studentesco” (in opposizione a Movimento studentesco). Quasi sempre vicino alle scritte murali  era visibile la A cerchiata.
Gli Indiani combinarono svariate forme di creatività, definita di massa e per la massa e che si propose direttamente come modalità di vita: l’arte è vita, la vita è arte. Il risultato dell’addizione di avanguardie storiche, controcultura americana, situazionisti francesi, teorie marxiste-leniniste, letteratura e poesia si trasformò in una scossa che attraversò tutto il 1977, che sconvolse le vite sia di chi la produsse sia di chi invece solo assistette dall’esterno all’invettiva degli “artisti” del Movimento. Ci fu un atteggiamento di completa indifferenza nei confronti delle regole di contestazione e comunicazione e nei confronti di chi queste regole le aveva enunciate; scardinare tutte le pratiche che fino a quel momento avevano gestito la vita sociale, culturale ed educativa della gioventù per trasformarle in un qualcosa di incomprensibile (nonsense) e irriverente.
 L’ala creativa del Movimento del ’77 basò i suoi principi sul cambiamento di vita riguardo tutti gli aspetti sociali, combattendo l’obiettivo della liberazione individuale e collettiva. Le pratiche artistiche rappresentarono uno dei punti salienti e distintivi del Movimento andandosi a configurare come massimo tentativo di eliminare il livello di separazione tra il piano della creatività e il piano dell’esistenza. 
L’ideologia del rifiuto del lavoro stabilì la perdita di senso dell’agire umano nel lavoro salariato, un lavoro inteso prima solo come occupazione del proprio tempo, a cui venne sostituito il concetto di rifiuto del lavoro inteso come un’occupazione dello spazio (la metropoli) in cui si poteva essere liberi di divulgare i desideri individuali. Alla liberazione degli spazi metropolitani, si affiancò la consuetudine della riappropriazione delle merci secondo la logica di ottenere delle comodità, a cui le giovani generazioni non volevano rinunciare, un altro modo per opporsi al governo dell’austerità e per rivendicare un’eguaglianza sociale. 
Il fallimento della parità tra le classi sociali creò un nuovo individuo desiderante, sovversivo e antagonista che si sentì incompreso e discriminato dalla società claustrofobica rappresentata dalla famiglia, dall’economia e dalla politica.

Come insegnano ormai i bambini

Come insegnano ormai i bambini, il piacere di vivere non deve più affermarsi pagando un tributo alla retorica della sua sconfitta. A dispetto delle antiche oppressioni, l’amore di sé, quale lo scoprono l’infanzia e la nuova coscienza degli amanti irradia da una potenza di cui la potenza industriale, perfettamente concentrata nell’irradiazione nucleare, sarà stata il mortale surrogato. È il motivo per cui consideriamo l’esigenza amorosa di essere tutto, in ogni tempo e ovunque, come l’unica alternativa alla società mercantile.
O l’economia porterà a compimento la perdizione del vivente, o la società si fonderà sulla predominanza dei desideri affrancati dall’universo mercantile. O noi periremo nella stupidità crescente del profitto e del prestigio promozionale, o il primato del godimento porterà alla rovina il lavoro attraverso la creatività, lo scambio mediante il dono, il senso di colpa tramite l’innocenza, la volontà di potenza grazie alla volontà di vivere, gli appagamenti angosciati per mezzo del ritmo naturale del piacere e del dispiacere.
Una scommessa aperta. Tra la tendenza ad abbandonare il meglio per il peggio, e la trasmutazione dell’Es individuale. Tra il disprezzo di sé, questa virtù di cui si onora lo schiavo, di rimettersi ad una guida – politico, prete, medico, psicanalista, pensatore, istituzione, governo -, e un’arte di godere, pazientemente decantata dalle impregnazioni della morte.
Il movimento del Libero Spirito ha posto la domanda nel momento storico in cui il processo mercantile iniziava la sua accelerazione. La fine del XX secolo sentirà la risposta nell’esplosione finale della macchina per snocciolare l’individuo. Ma nelle parole pericolosamente strappate al linguaggio di Dio, e nelle parole trascinate, ai nostri giorni, nella derisione di una sopravvivenza insignificante e di una vita che non ha un senso riconosciuto, è lo stesso ciclone del godimento che, con la sua violenza intemporale, spazza la storia. La ricerca di un amore da inventare nella pura materia dell’umano fonda la misura universale di una società radicalmente nuova.

giovedì 22 settembre 2016

IL LATO CATTIVO

«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva: il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione.»
 (Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.» («NonostanteMilano»)

IL FURTO di Alexandre Marius Jacob

Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, signore, mi creda. Le pene che infiggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male. Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la vendetta. E un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all’odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Se mi sono dato al furto non e per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia liberta, la mia indipendenza, la mia dignita di uomo, invece di farmi l'artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato.
Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente e con l’astuzia del furto dell’altrui lavoro. Ma e proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto sarebbe impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il piu iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale.
Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto e perché tutto appartiene solamente a qualcuno. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.

La bandiera nera


Nel 1831, in un quadro di lotte sociali che precede l'esistenza del movimento anarchico con questo nome, i canuts lionesi (operai delle manifatture della seta) si ribellano alle condizioni di lavoro loro imposte. In novembre scoppia un'insurrezione di tre giorni, che porterà a una vittoria con le armi. I canuts si battono sotto un vessillo nero sul quale è ricamata la parola d'ordine: 'Vivre en travaillant ou mourir en combattant' ['Vivere lavorando o morire combattendo']. La bandiera di lotta del movimento operaio era tradizionalmente quella rossa, che sarà usata come segnale di adunata nelle manifestazioni, in particolare nella Comune di Parigi (1871). Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che il rosso sia stato abbandonato in seguito alla scissione successiva al Congresso dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori del settembre 1871 all'Aia, che vide la nascita della Fédération Jurassienne. Il 18 marzo 1882, nel corso di un'assemblea a Parigi, Louise Michel si sarebbe pronunciata per l'adozione della bandiera nera, per dissociarsi senza ambiguità dai socialisti 'autoritari' e parlamentaristi. Queste ipotesi, però, provengono da testimonianze di partecipanti che non sono confermate (per quanto ne sappiamo) da immagini d'epoca o da fonti attendibili. Invece un documento conservato presso l' Istituto Internazionale per la Storia Sociale di Amsterdam (IISG) attesta l'acquisto di tessuto rosso per uno striscione da parte di membri della Fédération Jurassienne nel 1876 a Berna. Il che sembra indicare che la scelta del colore nero non sia stata immediatamente successiva alla scissione della Prima Internazionale. Il 9 marzo 1883, nel corso di una manifestazione a Parigi che riuniva circa quindicimila disoccupati, Louise Michel agitò una bandiera nera come segnale di adunata (si trattava in realtà di una vecchia sottana nera attaccata a un manico di scopa). Circa cinquecento persone saccheggiarono tre forni, reclamando pane e lavoro, prima di essere dispersi dalla polizia. Louise Michel, identificata dalle forze dell'ordine e accusata di avere istigato i disordini, sarà successivamente imprigionata. Nell'agosto 1883, la pubblicazione a Lione del periodico francese 'Drapeau Noir' permise in certa misura di divulgare la scelta di questo simbolo.

giovedì 15 settembre 2016

Rifiuto unilaterale dell’esistenza imposta

Il carattere principale della nostra epoca è l’alta velocità che hanno assunto le merci, siano esse prodotti industriali, informazioni o essere umani ridotti alla condizione di lavoratori-consumatori. Le reti telematiche, telefoniche e satellitari, le rotte del traffico aereo, automobilistico, ferroviario e marittimo stanno ingabbiando in modo sempre più accelerato la quasi totalità dello spazio e del tempo e con essi i sogni e i bisogni degli uomini: sembra non esserci più via di uscita, un altrove, in un mondo ovunque uguale a se stesso.
Per cambiare questo mondo occorre costruire assieme la pratica del rifiuto unilaterale dell’esistenza imposta dal capitalismo globale, attraverso l’autogestione delle proprie vite e l’autoproduzione singola e collettiva di quanto ci chiedono necessità e desideri, passando per l’autocostruzione dei luoghi in cui vogliamo vivere e dei modi in cui vogliamo interagire. Abbandonare il proprio posto nella catena ciclica del consumo di oggetti, spettacoli, per inventare nuovi modi di produzione e distribuzione, di autogestione dei luoghi in cui si abita attraverso decisioni minime, locali e condivise, sperimentare ognuno nei propri mondi arti e mestieri, quello di vivere liberi. Le nostre accademie e laboratori saranno palazzi e orti, boschi e acque. Anche se narcotizzata nella drogheria mediatica, un’insofferenza al modello di vita imposto e propagandato come democratico insorge nei modi più disparati, dappertutto: si aprono brecce, scoppiano ire, sfoghi di violenza ma anche sommosse, rivoluzioni, senza obiettivi né palazzi d’inverno. Sarà dura e toccherà a ciascuno, con le sue ragioni e la sua sensibilità, rendere questa avventura appassionante.

I AM THE WALRUS The Beatles

Io sono lui
come tu sei lui
come tu sei me
e noi siamo tutti insieme.
Guarda come corrono
come maiali da un fucile,
guarda come volano. Sto piangendo.
Seduto su un cornflake, aspetto che arrivi il camion.
Corporazione dei copriteiera, stupido maledetto
uomo del martedì, sei stato un bambino cattivo,
hai fatto il muso.
Io sono l’uomo delle uova, oh, loro sono gli uomini della uova.
Oh, io sono il tricheco, goo goo g’joob.
Il poliziotto della City seduto con bel garbo, il piccolo poliziotto in fila.
Guarda come volano,
come Lucy nel cielo,
guarda come corrono. Sto piangendo, sto piangendo, sto piangendo.
Crema di materia gialla che cola dall’occhio di un cane morto,
pornografica moglie del pesce granchi aragosta
sacerdotessa, sei stata una bambina cattiva,
ti sei fatta calare le mutande.
Io sono l’uomo delle uova, oh, loro sono gli uomini della uova.
Oh, io sono il tricheco, goo goo g’joob.
Seduto in un giardino inglese, aspetto il sole.
Se il sole esce, mi faccio l’abbronzatura
sotto la pioggia inglese.
Io sono l’uomo delle uova, oh, loro sono gli uomini della uova.
Oh, io sono il tricheco, goo goo g’joob.
Esperti texperti soffocanti fumatori
non pensate che il clown rida di voi? Ha, ha, ha!
Guarda come ridono
come maiali in un porcile,
guarda come ambiguavano. Sto piangendo.
Sardelle di semolino che si arrampicano sulla Torre Eiffel;
pinguini elementari che cantano Hare Krishna,
uomo, avresti dovuto vederli
prendere a calci Edgar Allan Poe.
Io sono l’uomo delle uova, oh, loro sono gli uomini della uova.
Oh, io sono il tricheco, goo goo goo g’joob.
 goo goo goo g’joob  goo goo 
gooooooooooojoooob.

(I am the walrus divenne l’estrema arringa istituzionale di John Lennon: un’invettiva contro la dannata Inghilterra, che maledice l’istruzione, l’arte, la cultura, la legge, l’ordine, il sistema sociale, la religione e persino il senso comune. La vendetta del ragazzo offeso nei confronti dei suoi insegnanti (esperti dai libri ma non dalla vita) si allarga a un furibondo, surreale attacco alla società regolare in genere: un’antilitania di maiali sorridenti nel porcile, vigili urbani in fila, burocrati, custodi della morale convenzionale che picchiano i compagni ribelli. La canzone fu bandita dalla BBC perché impiegava la parola knickers “mutande”) 

Il criterio dell'azione diretta

Le esigenze della biosfera e della biodiversità non possono essere negoziate nell'arena politica ma vanno calate nella pratica di un vissuto politico-sociale concreto e utopico allo stesso tempo, e in linea con la tradizione del rifiuto della delega e dell'auto-rappresentanza. La "guerra" per conservare spazi incontaminati (wilderness) non è semplicemente volta a preservare determinate possibilità di ricreazione all'aria libera, bensì si propone abbastanza aggressivamente di ricreare vaste aree di wilderness in tutti gli ecosistemi del pianeta: identificare aree chiave, chiudere strade, rimuovere insediamenti, e reintrodurre la vita selvaggia sradicata.
Il criterio dell'azione diretta, ispirato ai principi della disobbedienza civile, include forme di protesta nonviolenta come i sit-in o tree-sitting, i raduni eco-pacifisti, il guerrilla-theatre, nonché le forme piu estreme collegate alle pratiche del sabotaggio ecologico (monkeywrenching). Flessibilità e capacità di adattarsi alle situazioni porta inoltre gli attivisti del movimento a non disdegnare di servirsi, all'occasione, di mezzi legali come le campagne di pressione per lettera o e-mail, la documentazione e raccolta di dati, la causa intentata contro privati responsabili di comportamenti non in linea con la legislazione sull'ambiente. Tali strategie vengono ritenute in alcuni casi necessarie, ma assolutamente non sostitutive dell'azione diretta nelle sue varie forme, definita come uno sforzo personale e focalizzato in prima linea nella guerra condotta contro il pianeta. Occorre rivendicare la funzione dell'arresto o della disobbedienza civile nel richiamare l'attenzione sui problemi della difesa delle foreste, della biodiversità e della wilderness.
Nel movimento, oggetto di dibattito particolare e l'opportunità di accettare o incoraggiare una strategia nonviolenta ma fortemente illegale come il sabotaggio ecologico, visto come massima forma di disobbedienza civile, da adottarsi in casi estremi: esso non viene ufficialmente riconosciuto ma parecchi attivisti lo praticano a titolo individuale (in ogni caso, con obiettivi mirati e modalità il più possibile nonviolente).

giovedì 8 settembre 2016

Le Donne di Alexandra Myrial

Seguendo l'idea di Cartesio, sforziamoci di scacciare via quel poco di teorie o di principi sociali che possiamo aver ammesso a priori e, con spirito libero, affrontiamo i grandi problemi della vita umana basandoci sui reali bisogni dell'Uomo. Lo studio delle civiltà passate, le differenti fasi della vita sociale alla quale noi apparteniamo ci permetterà di non lanciarci in teorie speculative basate su un Uomo ideale che non esiste. Noi conosceremo il cammino fatto dai nostri antenati, le tendenze, la mentalità particolare, i  bisogni artificiali che l'atavismo e le influenze  ambientali hanno sviluppato nei nostri contemporanei; conosceremo le esperienze fatte dall'umanità, ma essendone in larga parte straniere, le potremo considerare con la calma che si presenta davanti allo studio della storia, senza passione e senza legame personale, così da garantire l'esattezza delle nostre conclusioni.
Sarebbe indegno per il movimento femminista aspirare ad essere solo una copia del maschio e fidarsi nel seguire strade già tracciate da altri. In quanto elemento nuovo nella vita sociale, c'è bisogno che le donne vi apportino un nuovo orientamento, una nuova attività e nuove concezioni. Non attardiamoci, dunque, supplicando dietro le porte che ci hanno sbattuto in faccia. Eleviamoci più in alto, perché già conosciamo l'immaturità dei cenacoli che ci rifiutano. Senza avere un inutile disprezzo per l'opera altrui, ammettiamo comunque di essere altro, comprendiamo che le nostre condizioni sono speciali e, lontano dal rattristarci, approfittiamo dei vantaggi che ci possono procurare.
Numerosi soggetti sollecitano più attentamente la nostra attenzione e i nostri studi: cioè l'universo concettuale che gravita ad esempio intorno a Famiglia, Figli, Vita sociale e individuale delle donne. Tutte queste questioni, e tante altre che ci interessano direttamente, sono state discusse e risolte senza di noi, spesso soprattutto contro di noi. Chi potrebbe negare che esse toccano le basi stesse della società e che le donne illuminate, apportandovi le riforme che la scienza e la ragione impongono, contribuiranno cosi all'evoluzione dell'intera vita sociale?
Non limitiamo la nostra attività a piccoli lavori. Un' umiltà rassegnata è altra cosa rispetto ad una prudente saggezza. Penso, da parte mia, che le donne dovranno prefiggersi come scopo di realizzare pacificamente importanti trasformazioni che molte volte invece, si attuarono in modo violento.
La loro può essere un'opera di pace, un'opera di giustizia sociale; devono così portare con sé, nell'asprezza delle relazioni sociali attuali, la bontà, l'indulgenza che crea il vero sapere.
In nessun modo sosterremo l'infima situazione attuale, in  cui si cerca di mantenerci allo scopo di sottrarci a questo compito glorioso: infatti sappiamo che occuperemo nella società il posto che sapremo prenderci.    

(Alexandra David-Néel nel 1899 scrisse un saggio anarchico con lo pseudonimo di Alexandra Myrial intitolato Pour la vie con la prefazione dell'anarchico e geografo Elisée Reclus)   



IN UN ANNO SURREALISTA di Lawrence Ferlinghetti

In un anno surrealista
di uomini sandwich e bagnanti al sole
girasoli morti e telefoni vivi
politicanti addomesticati con le fruste di partito
in mano
si esibivano come al solito
sugli anelli dei loro circhi di segatura
dove saltimbanchi e uomini-cannone
riempivano l’aria come pianti
quando un pagliaccio pacioso
ha schiacciato un immaginabile fungo-bottone
e un’inaudibile bomba domenicale
è caduta
sorprendendo il presidente mentre pregava
sul green della 19 buca

Oh era una primavera
di foglie di pelliccia e fiori di cobalto
quando le cadillac caddero tra gli alberi come se piovesse
affogando i prati di follia
mentre da ogni pseudo-nuvola
si abbattevano miriadi di folle senza ali
di sopravvissuti di nagasaki senza palle
E tazze da tè smarrite
piene delle nostre ceneri
passavano fluttuando

Teresa di Calcutta


Per cominciare, Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) non era madre, non si chiamava Teresa e non era originaria di Calcutta. la “santa” era albanese e portava l’impronunciabile nome di Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu è passata alla storia per le sue pretese “opere di bene”, talmente sublimi che nel 1979 ha ricevuto il Nobel per la pace e nel 2003 il “produttore di santi” Giovanni Paolo II l’ha fatta beata e ora Papa Francesco la fa  santa. Come spesso avviene nell’universo cattolico, tuttavia, è sufficiente grattare un po’ alla superficie e rimuovere la debole patina del mito per scoprire che certe “verità” sono sempre relative.
Dalle ricerche (Hitchens), emerge con forza l’immagine di un’opportunista, che negli anni seppe costruire e sfruttare un’immagine di santa e benefattrice per raccogliere fondi finalizzati alla diffusione di un’ideologia religiosa intollerante, grazie al costante appoggio di certi partiti di destra, come i teocon statunitensi, del dittatore haitiano Jean-Claude Duvalier (dal quale accettò onorificenze e denaro) e del banchiere statunitense (nonché pregiudicato) Charles Keating.
Questa vasta operazione fu degnamente supportata dalla manipolazione mediatica messa in atto a favore di madre Teresa e grazie alla quale ella poté propagandare in ogni angolo del mondo le sue idee etico-religiose, che, come moltissima gente non sa, prevedevano un secco “no” all’aborto, alla contraccezione, al divorzio e ai rapporti pre-matrimoniali. Per contro, la “santa” si dichiarò sempre convinta del potere salvifico della sofferenza umana (ben inteso solo di talune parti dell'umanità) per l’espiazione dei peccati (Hitchens); l’angelica santona è stata strumento nelle mani della chiesa per il perseguimento dei suoi obiettivi politici e teologici: in altre parole, una di quelle colossali operazioni di marketing alle quali il Vaticano ci ha abituati da anni (almeno, per chi abbia l’occhio abbastanza attento da accorgersene).
In sintesi, la buona donna utilizzò i contributi in denaro (che, assai cattolicamente, non disdegnava affatto) per aprire conventi, più che ospedali, quantunque le donazioni fossero state elargite a questo secondo scopo. Quanto al suo “amore per i poveri”, madre Teresa si oppose a “misure strutturali" per porre fine alla povertà, in particolare quella che avrebbe elevato la condizione sociale e culturale delle donne. Non a caso, in una conferenza stampa del 1981, alla domanda se insegnasse ai poveri ad accettare il proprio destino, rispose: Penso che il mondo tragga molto giovamento dalla sofferenza della povera gente...
Madre Teresa consolava e sosteneva i ricchi ed i potenti, permettendo loro ogni sorta di lassismo, mentre predicava l’obbedienza e la rassegnazione ai poveri.
Le cure mediche fornite negli ospedali di madre Teresa furono a dir poco costantemente inadeguate, più volte riviste scientifiche parlarono di riutilizzo degli aghi delle siringhe, di pessime condizioni igieniche, di cattive condizioni di vita, di  terapie approssimative, di esaltazione della sofferenza  e di una constante rinuncia a vere diagnosi sistematiche (Lancet).

giovedì 1 settembre 2016

Emile Armand è l’individualismo

L’azione individualistica anarchica consiste nello sviluppare l’odio, il disgusto, il disprezzo personale per la dominazione dell’uomo sull’uomo per mezzo dell’uomo, delle collettività sopra o per mezzo dell’individuo. Consiste nel creare uno spirito di critica permanente ed irriducibile verso le istituzioni che insegnano, mantengono, preconizzano la dominazione degli uomini sopra i loro simili. E non soltanto contro le istituzioni, ma altresì contro gli uomini che queste istituzioni rappresentano, poiché e per opera di quelli che conosciamo queste. Infatti l’autorità è un astrazione, la si conosce solo attraverso i suoi rappresentanti e i suoi esecutori, esiste, per ciascuno di noi, sottoforma di deputati, giudici, gendarmi, carcerieri, agenti delle imposte, contribuenti, elettori.
Per Armand l’anarchismo è innanzitutto una filosofia di vita, non è solo un modo di praticare i rapporti sociali ma anche di vedere il mondo. Egli afferma che l’anarchico, nel senso forte della parola, è quell’individuo che esprime un’insofferenza esistenziale contro ogni forma d’autorità, che lotta contro il potere perché, prima di tutto, questo lo opprime direttamente, poi perché opprime anche gli altri. Naturalmente non vengono sottovalutate le possibili considerazioni sociali, collettive e interumane, ma il fattore determinante è rappresentato dall’azione condotta in prima persona, nel senso che è sempre il singolo soggetto l’alfa e l’omega di ogni riferimento giustificativo della prassi, la vera e unica certezza che dà valore agli scopi della lotta, la sola fonte che illumina la condotta umana.



I QUATTROCENTO COLPI di François Truffaut

Faire les 400 coups è l'equivalente italiano di fare il diavolo a quattro e si riferisce al temperamento del giovane Antoine Doinel, un tredicenne sottomesso. Il protagonista de I 400 colpi, splendido esordio di Francois Truffaut, non è infatti un rivoluzionario che vuol, con le sue trasgressioni, ribaltare l'ordine costituito, ma solo un ragazzino alla disperata ricerca di un po' di calore umano. 
L'azione si svolge a Parigi alla fine degli anni cinquanta. Antoine Doinel è un ragazzino di 12 anni, vive con i genitori che mal ne interpretano i bisogni affettivi e le inquietudini tipiche dell'adolescenza, la madre un poco civetta e poco disponibile alle effusioni del ragazzo, il padre, abbastanza bonario ma superficiale e solo interessato alle gare automobilistiche. La famiglia vive in un piccolo appartamento, dove Antoine non possiede una propria camera da letto, infatti dorme nell'ingresso, vicino alla porta di casa. Ragazzino introverso e ribelle, Antoine ha come unico amico il compagno di classe René, con una situazione familiare simile alla sua: mentire a genitori e professori, marinare la scuola, vagabondare e rubacchiare sono gli unici mezzi per difendersi dall'indifferenza e dalla prepotenza degli adulti. Antoine passa con René una giornata fra cinema, flipper e luna park, cui si aggiunge alla fine la scoperta dell'adulterio materno. Il mattino successivo, per giustificare l'ennesima assenza da scuola, Antoine s'inventa la morte della madre, ma la bugia viene scoperta; si rifugia allora in una tipografia e vi trascorre la notte. L'indomani la madre si mostra premurosa e gli promette mille franchi se farà bene il tema in classe. Il professore lo accusa di aver copiato un brano di Balzac, autore che Antoine adora e a cui ha innalzato a casa una specie di altarino, e gli dà zero. Ospitato di nascosto a casa di René, decide con l'amico di rubare una macchina da scrivere nell'ufficio del patrigno, ma non riesce a venderla; così, mentre la sta riportando, viene scoperto dal custode. Il patrigno lo consegna alla polizia. Dopo una notte passata in guardina con prostitute e ladri, il giudice lo affida a un centro di osservazione per minorenni delinquenti, dal quale però Antoine riesce un giorno a fuggire, durante una partita di calcio, per arrivare al mare che non ha mai visto.
Lo spettatore non può fare a meno di indignarsi di fronte all'incomprensione del mondo adulto, alla sua incapacità di amare un ragazzino vispo e intelligente; non può fare a meno di provar tenerezza ritrovandolo a sonnecchiare in una tipografia abbandonata o a rubare una bottiglia di latte per la troppa fame. Antoine Doinel diventa il simbolo di un'infanzia tradita, della crudeltà di una maturità cinica che schiaccia la curiosità infantile. Assistiamo all’inevitabile trauma che il mondo infantile subisce al contatto col mondo adulto. Il monello che diventa tale in quanto non capito, non ascoltato in una società che esige una produttività immediata. Nessun film meglio di questo ci porta a compatire la solitudine del pre-adolescente che cerca di difendere i suoi sogni dalla cruda realtà. Così tra i fotogrammi del film possiamo intravedere una dura critica della nostra società partendo dalla scuola e passando dalla famiglia. Infatti notiamo come Il professore abbia fatto di Antoine il capro espiatorio del proprio fallimento, se la prende con lui anziché con sé stesso, e così riesce a credersi bravo e buono scaricando ogni giorno sul ragazzino l’ignoranza, l’insensibilità e la malevolenza proprie: vedendole e colpendole in lui invece che in sé. Ma è stato forse il professore che ha cominciato a sprecare questo bambino? No, non è stato lui. Il falso insegnante arriva sempre per ultimo e infligge il colpo di grazia. Ma chi dà inizio all’opera sono i genitori.
Perché l’abbandono dei bambini, finché si consuma fra le quattro pareti di casa, rimane quasi sempre invisibile, ignoto a tutti. Talora perfino quando sfocia in abusi. Mentre a scuola, dove il bambino abbandonato appare per la prima volta in pubblico, la mancanza d’affetto, il disprezzo e le aggressioni di cui è stato oggetto in famiglia si cominciano a vedere fin dal primo giorno nelle sue difficoltà di rapporto con gli altri, nella perdita del desiderio di conoscere, nella paralisi dell’immaginazione e del pensiero. Si cominciano a vedere. Ma chi, a scuola, sente il valore di un bambino al punto di non poter non tentare qualcosa per lui? E soprattutto: chi, da scuola, ha il coraggio di andare a ficcare il naso in casa sua?


"Les quatre-cent coups sarà il film più orgoglioso, più testardo, più ostinato - in due parole, per finire - il film più libero del mondo. Moralmente parlando. E anche esteticamente”. (François Truffaut)

SULLA LIBERTA'

La voglia di un futuro migliore ha urlato al mondo da sempre, pur se con formule diverse, l'umanità dell'uomo e la sua aspirazione alla libertà. Il tema della libertà è stato intrinsecamente nutrito da tutte le riflessioni che la sensibilità per la fraternità e la passione per l'uguaglianza fanno scaturire. 
Affinchè questo slancio vitale non si risolva un una vuota parola consegnata al potere perchè ne faccia quello che vuole, bisogna dunque difendere la libertà da ogni ideologia che pretenda di rappresentarla o, peggio, realizzarla, imponendola al mondo. 
Non ci stancheremo di ripetere che una volta stabiliti i valori essenziali condivisi da tutti, una democrazia soggettiva necessita una garanzia ferrea dei diritti delle minoranze e degli individui singoli, altrimenti essa scade al rango di superstizione e di alibi per una totalitarismo spettacolare che non manca naturalmente mai di gargarizzarsi di giustizia e libertà.
Nessuna idea deve potersi imporsi. Solo la libera molteplicità delle prospettive garantisce l'autenticità e la vitalità di ogni singolo progetto.
Ostile di fronte a qualsiasi negazionismo, ma libertaria per natura, la democrazia soggettiva sollecita l'affermazione armonica dell'identità e delle differenze.
Una vera democrazia deve prevedere spazi di esplorazione e di deriva per tutte le avventure sociali che siano proposte, preservando al contempo se stessa da ogni ingiunzione. Essa deve contemporaneamente proteggersi e superarsi per restare se stessa. Questa sua difficolta è anche la sua prodezza e la sua unica superiorità effettiva su tutti gli altri modi di governo. Essa può esistere solo come governo di tutti e di ciascuno.