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giovedì 28 aprile 2016

IL DOMINIO

Dominare significa avere sotto di sé, possedere, sottoporre al proprio controllo; in un concetto solo vuol dire regolare secondo un proprio ordine. Attraversata da una prospettiva irriducibilmente legata alla volontà di sottomettere, la realtà del mondo civilizzato è interamente pervasa da relazioni di dominanza-soggezione. Tutto, nel mondo moderno, e spiegato con l’esercizio del potere di qualcuno su qualcun altro o su qualcosa: dei genitori sui figli, dei maestri sugli allievi, dei principali sui dipendenti, dei governanti sui governati, del genere umano sulla natura. Invece di cercare di entrare in contatto con quanto ci circonda siamo abituati a guardare ogni cosa dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto: lo scopo non è mai quello di portare dentro ma quello di stare sopra, di gestire, di determinare. Controllare, nel suo significato corrente cioè mantenere nel proprio potere, è ciò che definisce le nostre relazioni con il mondo, sin dalle modalità con le quali lo percepiamo (sapere inteso come padronanza). Nella civiltà non può esistere il disordine, la dinamicità, la sorpresa, lo sbalordimento, l’ineluttabilità delle circostanze della vita, ma solo ciò che appare dominabile anche solo mentalmente: la prevedibilità dei fatti, l’assetto e la preparazione delle cose, la loro matematica comprensione attraverso i modelli fissi di una razionalità logico-scientifica che non ammette divagazioni sul tema. Quello che esiste deve essere costantemente organizzato, strutturato, trasformato, plasmato secondo la nostra volontà; quello che non ci pare a posto deve finire con l’esserlo a tutti i costi. Per l’individuo civilizzato vivere non è mai una apertura creativa verso ciò che esiste ma un’operosa attività di sottomissione del mondo a sé: è l’iniziazione insomma a un sistema di regole rigide da rispettare e da imporre a sua volta.

La squola la squola la squola

È molto difficile parlare della scuola, è come parlare di qualcosa che ti è sopra e che ti tiene anche se tu capisci che non è bello, e vorresti fuggire; è come accusare qualcosa che sai essere sbagliata e vecchia e cattiva perché spesso ti fa male, ma non riesci a spiegare il motivo di questa situazione, perché ormai sei nel cerchio, assuefatto, rincretinito, e senti che non è giusto vivere la scuola e tutto ciò che essa comporta nel modo in cui sei costretto a viverli, ma ormai è tardi per potere capire e fare capire quello che soffri: la tua mente ormai è evaporata tra le sermoniche blaterature di vecchi libri-professori troppo disumanizzati per ascoltare te uomo e che ridono da-grandi-sempre-esatti-con-esperienze-piene-dei-miei-sputi; quando vedono la tua disperazione di vivere, il tuo mondo che non è solo scuola e libri-di-merda-di-sempre ma vita-di-uomo per non morire nelle parole studiate di libri lontano da me.
Ogni mattina mi alzo presto per andare a scuola; ogni mattina passi scontenti, ogni mattina una grande pena per le quattro o cinque ore che devo sopportare, ma questo solo quando ero ancora deluso nelle mie giovani speranze della scuola, quando erano illusioni di scuole di vita, di cose e persone interessanti, di professori che ti vedono persona e non registratore pappagallesco di parole imparate in forme mnemoniche per il numero (voto) dell’ingresso in società, questo ora non più.
Ora solo l’indifferenza della giornaliera monotonia, ora la rabbia di sopportare questa ineducazione alla vera vita, questo insegnamento che ti fa bravo uomo di merda per cui il professore ha sempre ragione oppure bravo alunno che vede solo rosa e Gesù Cristo che ha salvato il mondo. E non puoi ribellarti contro il professore che ti chiama cretino-stupido-ignorante-cafone, perché gli anni saltano e sei sempre bastonato nei tuoi urli di disperazione. Devi sempre solo tacere o blaterare almeno da sei (6= sufficiente … per vivere?!!!) e devi far presto per fuggire quando “il periodo di preparazione alla vita della società” è finito, ma ormai sei cretino perché ti hanno vinto e tu non sai più se sei tu o Cicerone o Napoleone o Alessandro Manzoni e radice quadrata di buon-uomo-con-la-vita-onesta-assicurata (leccando i piedi sporchi del raccomandatore con bustarella). E non ditemi per questo “perché ci vai?”perché non voglio agonizzare con 70.000 lire al mese con moglie e figli risparmio per il televisore-casa-frigorifero, e non voglio diventare l’acciaio di catene di montaggio (tic-tac per giorni-anni-vite) e la sola speranza (leggi: illusione) di (non) vivere in modo poco migliore(?) (differenza =illusione) è diventato bravo scolaro, studioso, disciplinato (bla bla bla) e prendere il biglietto di ingresso al mondo dei grandi (la vispa Teresa …) (biglietto = diploma, licenza, calcio nel sedere) o meglio prendere pezzo di carta più utile per funzioni più igieniche se non fosse la vita lavoro- soldi-vecchiaia e morte (onorata se son dottore, banale se sono operaio). 
Per questo vado a scuola, per prendere i segni sufficienti della mia insufficiente vita.
(Tratto da Mondo Beat numero 1, 1 marzo 1967)

L’ideologia è la pietra sulla tomba dell’insorto

La rivoluzione cessa dall’istante in cui bisogna sacrificarsi per essa. Perdersi e feticizzarla. I momenti rivoluzionari sono le feste in cui la vita individuale celebra la sua unione con la società rigenerata. L’appello al sacrificio vi suona come una campana a morto. Quando Vallès scrive: ”Se la vita dei rassegnati non dura più di quella dei ribelli, tanto vale essere ribelle in nome di un idea”, egli resta al di qua del suo proposito. Un militante non è mai rivoluzionario che contro l’idee che accetta di servire.  Il Vallès combattente per la Comune è dapprima il ragazzo, poi il baccelliere che recupera in una lunga domenica le eterne settimane del passato. L’ideologia è la pietra sulla tomba dell’insorto. Vuole impedirgli di resuscitare.
Quando l’insorto comincia a credere di lottare per un bene superiore, il principio autoritario cessa di vacillare. L’umanità non ha mai mancato di ragioni per far rinunciare all’umano. A tal punto che esiste in alcuni un vero riflesso di sottomissione, una paura irragionevole della libertà, un masochismo onnipresente nella vita quotidiana. Con quale amara felicità si abbandona un desiderio, una passione, la parte essenziale di sé. Con quale passività, quale inerzia si accetta di vivere per qualche cosa, di agire per qualche cosa, dove la parola cosa prevale con il suo peso morto dappertutto. Poiché non è facile essere sé, si abdica allegramente; al primo pretesto che capita, l’amore dei figli, della lettura, dei carciofi. Il desiderio del rimedio si eclissa dietro la generalità astratta del male.
 Ciononostante il riflesso di libertà sa, anch’esso, aprirsi un varco attraverso i pretesti. Nello sciopero per gli aumenti dei salari, nella sommossa, non è forse lo spirito della festa che si desta e prende consistenza?
Trasformare il mondo e reinventare la vita è la parola d’ordine effettiva dei movimenti insurrezionali. La rivendicazione che nessun teorico crea perché è appunto essa a fondare la creazione poetica. La rivoluzione si fa tutti i giorni contro i rivoluzionari specializzati, una rivoluzione senza nome, come tutto ciò che emana dal vissuto, preparando, nella clandestinità quotidiana dei gesti e dei sogni, la sua coerenza esplosiva.

giovedì 21 aprile 2016

Ecologia anarchica

La prospettiva degli anarchici ecologisti è eterogenea e aperta, eppure presenta una certa continuità e alcuni elementi fondamentali. È stata influenzata da anarchici, primitivisti, luddisti, insurrezionalisti, situazionisti, surrealisti, nichilisti, sostenitori della deep ecology, bioregionalisti, ecofemministe, da varie culture indigene, dalle lotte anticolonialiste, dal selvatico, dal selvaggio e dalla terra. Ovviamente, gli anarchici forniscono la spinta antiautoritaria, che sfida il potere in sé a un livello fondamentale, lottando per relazioni realmente egalitarie e promuovendo comunità di mutuo soccorso. Gli anarchici ecologisti, tuttavia, estendono le idee di non dominio a tutte le forme di vita, non solo la vita umana, spingendosi oltre l’analisi anarchica tradizionale. Dai primitivisti, gli anarchici ecologisti traggono un esame critico e stimolante delle origini della civiltà, in modo da capire che cos’è questo disastro e come ci siamo arrivati, e contribuire a dar forma a un cambio di direzione. Ispirandosi ai luddisti, gli anarchici ecologisti risvegliano la propensione all’azione diretta anti-tecnologica/industriale. Gli insurrezionalisti offrono una prospettiva che non aspetta la messa a punto di una critica cristallina: identificano e attaccano spontaneamente le attuali istituzioni della civiltà che limitano la nostra libertà e i nostri desideri. Gli anarchici anticivilizzazione devono molto ai situazionisti e alla loro critica della società alienante della merce, della quale possiamo liberarci entrando in contatto diretto con i nostri sogni e i nostri desideri non mediati. Il rifiuto del nichilismo di accettare qualsiasi aspetto della realtà attuale sottende l’insalubrità connaturale a questa società e offre agli anarchici ecologisti una strategia che non ha bisogno di proporre prospettive per la società e si concentra invece sulla sua distruzione. La deep ecology, nonostante le sue tendenze misantropiche, infonde nella prospettiva anarchica ecologista il sapere che il benessere e fiorire di tutte le forme di vita è legato a una profonda consapevolezza del valore intrinseco del mondo non umano, a prescindere dal valore d’uso. Il riconoscimento della ricchezza e della diversità della vita da parte della deep ecology contribuisce alla presa di coscienza del fatto che l’odierna interferenza umana con il mondo non umano è coercitiva ed eccessiva, e la situazione peggiora rapidamente. I bioregionalisti introducono la prospettiva di vivere all’interno della propria bioregione, in contatto intimo con la terra, l’acqua, il clima, le piante, gli animali e i modelli generali della propria bioregione. Le eco-femministe hanno contribuito alla comprensione delle radici, delle dinamiche, delle manifestazioni e della realtà del patriarcato e del suo effetto sulla terra, sulle donne in particolare e sull’umanità in generale. Di recente, la devastante separazione degli esseri umani dalla terra (civilizzazione) è stata forse articolata con maggior chiarezza e passione dalle eco-femministe. Gli anarchici anticivilizzazione sono stati profondamente influenzati dalle varie culture indigene e popolazioni legate alla terra esistite nell’arco di tutta la storia e che ancora esistono. Mentre impariamo umilmente a incorporare tecniche di sopravvivenza sostenibili e modi più sani di interagire con la vita, è però importante non appiattire o generalizzare le popolazioni indigene e le loro culture e rispettare e tentare di comprenderne la diversità senza cooptare le loro identità e caratteristiche culturali.

CAGNO DARIO, per ricordare il 25 aprile

Nasce a Torino l’11 agosto 1899. Trascorre l’infanzia nella città natale, si trasferisce appena quattordicenne a Genova dove si imbarca su una nave mercantile, in qualità di panettiere, peregrinando per l’Europa e gli Stati Uniti. Rimpatriato coattivamente durante gli anni della Grande Guerra va a vivere a Roma. Nel 1918, viene condannato a tre anni di reclusione per reati contro la proprietà. Amnistiato nel 1919, l’anno successivo subisce una seconda condanna a tre anni di reclusione per diserzione e furto. Rientra a Torino alla Fiat, ma dura poco viene licenziato a causa del suo temperamento ribelle e refrattario a ogni forma di disciplina, decide di arruolarsi nella legione straniera in Francia, però abbandona dopo solo un anno. Nel 1925, entra in relazione con importanti esponenti dell’emigrazione antifascista – quali Sandro Pertini, Filiberto Smorti, Francesco Cicciotti e Alceste de Ambris – e del fuoriuscitismo anarchico, assumendosi l’incarico di fungere da corriere tra l’Italia e la Francia per mantenere i collegamenti tra i militanti attivi all’interno e quelli all’estero. Nel 1932 viene fermato a Ventimiglia da agenti della milizia confinaria e deferito in stato di arresto perché rimpatriato sprovvisto di passaporto. Dalla prefettura di Torino il Cagno risulta essere: “ozioso, vagabondo, proclive a commettere reati contro la proprietà, capace per i suoi sentimenti politici a commettere atti inconsulti, individuo socialmente pericoloso”. Per tutto l’anno entra e esce dalla galera cercando di espatriare. Rientra in Italia nel 1933 e viene subito arrestato. Durante questo periodo di detenzione viene denunciato da un compagno di cella che lo accusa di avergli confidato di essere venuto in Italia su incarico della Concentrazione antifascista, per preparare un attentato al Duce. Viene rilasciato nel marzo del 1934. Tradotto a Torino, è denunciato alla Commissione Provinciale che lo condanna per attività sovversiva a tre anni di confino da scontarsi a Ponza.  Nel febbraio del 1935, è tra quei confinati che restituiscono la carta obbligatoria di permanenza per protestare contro i nuovi provvedimenti restrittivi adottati dalla direzione.  Arrestato e denunciato al Tribunale di Napoli, viene condannato a 10 mesi di detenzione per essersi reso responsabile di contravvenzione agli obblighi di confino. La sua persistente insubordinazione e la sua ostinata tendenza ad associarsi agli elementi peggiori della Colonia, ne comportano un prolungamento del confino per altri cinque anni. Nell’ottobre del 1942 viene amnistiato. Con lo scoccare dell’8 settembre del 1943, Cagno è tra i primi a impegnarsi nell’organizzazione della lotta armata contro i nazifascisti. Sono infatti proprio lui e il giovane militante comunista Ateo Garemi fondatori del nucleo originario dei GAP torinesi, che la mattina del 25 ottobre 1943 procedono all’esecuzione di un maggiore della MVSN (milizia volontaria per la sicurezza nazionale o camice nere) freddandolo in pieno centro cittadino a colpi di rivoltella. Arrestato dopo due giorni in seguito a delazione, insieme a Garemi i due vengono processati dalla sezione di Torino del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, che condanna entrambi alla pena capitale quali responsabili del reato di omicidio doppiamente aggravato. All’alba del 22 dicembre nel cortile della caserma Monte Grappa, Dario Cagno e Ateo Garemi vengono fucilati da un reparto della guardia nazionale confinaria.

Era delle Professioni disabilitanti

L'Era delle Professioni disabilitanti: un'epoca nella quale le persone avevano dei problemi, gli esperti possedevano delle soluzioni, e gli scienziati misuravano realtà sfuggenti quali le abilità e i bisogni
L'accettazione acritica da parte della gente dell'onniscienza e dell'onnipotenza dei professionisti può sfociare in dottrine politiche autoritarie (con possibili nuove forme di fascismo) o in un ulteriore esplosione di follie neoprometeiche ma essenzialmente effimere. Per capire bene e scegliere in modo consapevole dobbiamo esaminare il ruolo specifico delle professioni per determinare chi ha ricevuto che cosa, da chi e perchè, in questa nostra epoca.
L'Era delle Professioni sarà ricordata come l'epoca nella quale dei politici un pò rimbambiti, in nome degli elettori, guidati da professori, affidavano ai tecnocrati il potere di legiferare sui bisogni; rinunciavano di fatto al potere di decidere in merito alle esigenze della gente diventando succubi delle oligarchie monopolistiche che imponevano gli strumenti con i quali tale esigenze dovevano essere soddisfatte. Sarà ricordata come l'Era della Scolarizzazione, in cui alle persone per un terzo della loro vita venivano imposti i bisogni di apprendimento ed erano addestrate ad accumulare ulteriori bisogni, cosicchè, per gli altri due terzi della loro vita, divenivano clienti di prestigiosi pusher che forgiavano le loro abitudini. Sarà ricordata come l'era nella quale dedicarsi a viaggi ricreativi significava andare in giro intruppati a guardare la gente con aria imbambolata. L'epoca in cui le opinioni delle persone erano una replica dell'ultimo talk-show televisivo serale e alle elezioni il loro voto serviva a premiare imbonitori e venditori perchè potessero fare meglio i comodi propri.

giovedì 14 aprile 2016

Le condizioni elementari della nuda vita


La negazione del carattere transitorio delle teorie capitaliste aveva consentito all'idealismo di mascherare la sua natura spettrale e, allo stesso tempo, di rafforzare la spettralità sostanziale della forma merce, introducendo la dissociazione nella razionalizzazione del lavoro, con la conseguenza di far diventare le particolarità umane del lavoratore come mere fonti di errore. Il mondo reificato, dal punto di vista delle vittime, è innanzitutto il mondo della quantità e del tempo misurato. Un tempo pieno di cose valutabili quantitativamente, che si trasforma in uno spazio della produzione. Come ha osservato Gabel (Joseph Gabel, sociologo e filosofo), il mondo della reificazione è quello in cui trionfa la logica dei corpi solidi. In questo modo sotto l'ossessione dell'identico, l'identità prevale sulla realtà e sparisce ogni valore d'uso, perchè il valore, per definizione, non è mai identificabile. La stessa degradazione dei contenuti assiologici dell'esistenza, che riflette l'avanzare dei valori immediatamente utilitari, si trasforma giocoforza in una struttura reddituale che fa fiorire l'industria della salute mentale. Una industria approvvigionata dai pazienti che eredita dalla disintegrazione delle forme anteriori della socialità, contro la quale la negazione deve produrre deliberatamente il suo terreno d'unificazione, ricreando dal principio le condizioni elementari della nuda vita.

SENTIRSI di Marvi Maggio

In quest’aria che sospira di vento senza che tu possa
agire contro
di lei, insperata libertà corsa fra i capi infiniti
l’inferno è finito e non tornerà più
tutte parole al vento?
no, tutte parole per me
il futuro non le conoscerà,
il popolo di terre lontane non le conoscerà
e neppure quello più vicino
suppongo
sono parole al vento e per me
scrigno di perduti amori
di speranze
di sogni che si intrecciano e hanno senso
solo come
SOGNI
in un azzurro infinito
in una gioia profonda
mi dono a voi
insperati piaceri
di solitudine?
nessuno è mai veramente solo.
cielo che ti copre
aria che ti circonda
vento che ti accarezza 
neve che ti risveglia
con uno schiaffo?
i tuoi compagni sono dovunque
a nulla serve imprigionarli
ti saranno vicini per poco
rispetto al tempo del mondo
incontri fugaci di ombre
mai furono più significativi
ogni ora vale per sé
a nulla vale fermarla
il tuo tempo vola
nel corso di un tempo che è anche tuo ma non solo
in un immagine angelica tutto si spegne
ma si riaccende
il fulgore ricomincia
Tu sei nel Mondo!!!


La democrazia totalitaria

Attualmente la Democrazia versa in uno stato pietoso. È rimasta senza avversario, ma anche senza sostanza. Il disamore dei cittadini nei confronti della sua presunta formula di auto-governo non può più essere nascosta: astensionismo elettorale di massa, discredito generalizzato dei dirigenti e delle loro cricche, alta marea della tendenza apolitica. Regna una diffusa disillusione politica che in realtà è disaffezione per la democrazia. Tutto ciò che la Democrazia ha promesso (il governo del popolo per il popolo, la trasparenza della gestione pubblica, la libertà politica...) è venuto meno; ciò nonostante, sepolte le altre modalità d’organizzazione politica, è questa la formula che ha trionfato. Ma  la sua vittoria ha un sapore amaro, i cittadini sono infelici, apatici e indifferenti alle sorti di una Democrazia intorpidita. 
Ma è veramente sprofondata nel torpore? O invece questo è il momento in cui la Democrazia comincia a mostrare il suo vero volto, a svelarci le sue intenzioni? Solo adesso, dominante, egemonica, incontestabile, priva della possibilità di legittimarsi per mezzo del contrasto, quando anche i suoi adulatori iniziano ad annoiarsi, incomincia a mostrarci il rachitismo del suo organismo e la malvagità dei suoi propositi. Le democrazie liberali stanno avanzando lungo nuove strade verso un modello di società e di gestione politica che si caratterizza per un’enigmatica e inquietante docilità della popolazione e un letargo del criticismo e della dissidenza che renderà quasi superfluo l’attuale apparato di repressione fisica, dal momento che ogni essere umano agirebbe, in una certa qual misura, come poliziotto di sé stesso.
Auschwitz non è stato uno scivolone della Civiltà, un passo falso dell’Occidente, un incomprensibile smarrimento della Ragione Moderna, ma un  frutto della democrazia i cui semi e germogli circolano in modo terribilmente sospetto nel cuore e nel sangue dei nostri regimi democratici. Auschwitz è stato un segnale di ciò che dobbiamo aspettarci dalla nostra Cultura: lo sterminio globale della Differenza. La democrazia totalitaria.



giovedì 7 aprile 2016

AUTOPSIA DI UN ANARCHICO

L’analisi delle escoriazioni cutanee e delle lacerazioni dell’epidermide intorno al collo rivela che le fibre del lenzuolo che serravano la gola del Massari erano formate da un tessuto composto di cieca meschinità umana. L’azione dello strangolamento risultava applicata con tutto il potere che una società gerarchica interessata solo al profitto e alla sua autoriproduzione conformizzata può esercitare su di un singolo individuo non conformato, reso inerme e rinchiuso in una gabbia.
L’analisi del sangue e dei liquidi intestinali mostra che il Massari aveva assunto la sua ultima razione di soprusi e di ingiustizie carcerarie quotidiane poche ore prima del decesso. Il tessuto molle intestinale seppur minato da anni di sottomissione forzata e di false prove costruite a suo carico mostra ad un’analisi non superficiale uno spirito indomito, libero dai dogmi e dalle paure impostegli da un sistema intollerante e corrotto.
Il cuore del Massari ha cessato di battere nel momento in cui gli obiettivi dei mass media distorcevano definitivamente il contenuto di mafia, tangenti e massoneria di cui è formato l’affare del Treno ad Alta Velocità.
Il liquido seminale eiaculato in seguito all’asfissia da strangolamento e di cui gli indumenti intimi, i pantaloni e la maglia del Massari sono stati macchiati, conteneva nel DNA i codici genetici della rivolta aperta contro ogni sistema di sfruttamento.
Gli spermatozoi schizzati fuori meccanicamente rabbiosamente in un ultimo slancio di vita portavano in sé i semi ancora inespressi della libertà malgrado tutto destinata ad infrangersi contro lo spettacolo delle vetrine scintillanti che nascondono la miseria di un mondo in rovina…

I ribelli di capitan Nemo

(Volantino distribuito durante la manifestazione nazionale per la morte di Edoardo Massari a Torino il 04/04/1998)

IL DIAVOLO PROBABILMENTE… di Robert Bresson

Siamo nel 1977, il film racconta le vicende di Charles, giovane esponente della contestazione, il quale ha lasciato gli studi dopo il liceo e vive la vita alla giornata, in modo edonistico, passando da un amore all’altro, indeciso su chi sia la donna della sua vita tra Alberte, che ha lasciato la famiglia per vivere con lui e Edwige, da cui è fortemente attratto. Il rifiuto dei valori tradizionali, non significa per Charles una pace interiore e un appiattirsi sui valori politici della contestazione. C’è in lui un travaglio interiore, una critica della massificazione dell’individuo che è tale sia nella contestazione che nella società tradizionale. Charles vuole essere persona originale e arriva a vivere un’esperienza che è simile a quella di Kirillov ne I demoni, ovvero porta all’estremo questa sua indipendenza sfidando la morte nel suicidio per affermare sé stesso, fuori dagli schemi precostituiti. 
Il film è  una denuncia della società contemporanea e delle sue storture, non da ultimo ecologiche. Immagini forti che inframmezzano le vicende narrate, mostrano disastri naturali causati dall’uomo e fanno riflettere sul modo in cui l’uomo opera nei confronti della natura, degli animali e dell’ambiente naturale con l’inquinamento dei fiumi e dei mari, dimentico della salvaguardia dell’equilibrio ambientale. Oltre a questo fenomeno, trasversalmente, Bresson ci parla della droga che in quegli anni ebbe una diffusione capillare tra i giovani. Il titolo del film prende spunto da queste storture e da questi conflitti, mettendo in luce come alla base vi sia un’evoluzione negativa della società umana, guidata probabilmente dal diavolo.
"Non solo il rumore, l'espulsione di ossido di azoto distrugge la fascia protettiva di ozono.
Quando il traffico sarà raddoppiato, non ci sarà più cielo azzurro. La Terra, sempre più abitata, sarà invivibile. Distruzione di intere specie per il profitto.
280 specie di uccelli e di mammiferi scomparsi in oltre cento anni, 400000 elefanti, mille rinoceronti abbattuti quest'anno in Kenya.
18000 cuccioli di foca per due milioni di dollari. Il tutto, più o meno, autorizzato. I fanghi rossi..."
Premiato con l'Orso d'argento al festival di Berlino, Il diavolo probabilmente..., è il penultimo film di Robert Bresson. Il regista inseguendo un suo ideale estremista di giustizia e verità, non c’è da stupirsi se, superati i settanta anni, guarda con orrore il mondo in cui sopravviviamo: corrotto dall’inquinamento fisico e spirituale, devastato dal mito del profitto, portato sull’orlo dell’Apocalisse dall’indifferenza morale. Forse nessun intellettuale educato all’umanesimo individualista può oggi reggere senza disperazione il momento di trapasso attraversato dalla specie umana. Nell'anno di grazia 1977 le problematiche, i mali endemici e le afflizioni che struggono il pianeta non sono poi così distanti dai panorami odierni: disagio giovanile, amore, morte, politica, famiglia, ambiente, religione, energia nucleare, droga, psicanalisi... 
Nella sua foga, la società dei consumi ha incalzato l’industria nello sfruttamento di qualcosa che all’umanità non appartiene, ma che è le dato solo in prestito: la Natura.
In un contesto sociale dove la lotta di classe ha esaurito ogni spinta eversiva, dove l'imborghesimento delle coscienze ha dischiuso scenari sempre più grigi ed apocalittici, dove anche il microcosmo giovanile ha smarrito identità, illusioni e forza interiore, l'unica, estrema via di fuga può condurre soltanto verso la morte. Il diavolo probabilmente... è il racconto in flashback di questo viaggio al termine della notte.

Anarchia e violenza

Una storia dell’anarchia non può ignorare il problema della violenza, che per essere violenza politica si estrinseca secondo i moduli del terrorismo. Il concetto di terrorismo moderno si avvia ormai verso i 250 anni d’età, e il suo luogo di nascita può essere considerato la cupa potenza asiatica, come la definì Marx: la Russia zarista, detentrice di un altro primato terroristico: la provocazione poliziesca, capolavoro dell’Okhrana (polizia segreta della Russia zarista).
Giovani aristocratici sdegnati dalle barbarie e dall’arretratezza di una monarchia si rivoltarono contro la loro stessa classe. Studenti con l’animo pieno di sogni di libertà, generosi a volte velleitari, videro nell’attentato politico contro eminenti personalità del regime, lo zar e la sua famiglia non esclusi, il mezzo più rapido per sbarazzarsi della dittatura e per scuotere il popolo. Nello studio delle lotte politiche e zone adiacenti numerose forme di comportamento sono state definite terroristiche. Ogni gruppo politico in lotta deve adottare in assenza di regime parlamentare , atteggiamenti di lotta più o meno sanguinari. Il terrorismo è figlio dell’oppressione. Anche il cattolicesimo ha, in certa misura e in certe condizioni storiche, legittimato la violenza politica, come quando i gesuiti mandarono Ravaillac ad ammazzare Enrico IV. A quei tempi non si parlava ancora di anarchia, quindi il delitto politico non poteva essere scaricato sugli anarchici. Ancora non si era avuta l’identificazione del diverso nell’anarchico, che si avrà con la rivoluzione del libero pensiero iniziata dagli illuministi da Voltaire e da Rousseau con intenti diversi ma che tutti contribuiscono a infrangere le pastoie dei catechismi. L’anarchismo, inteso come pensiero compiuto e coerente, si fonda invece sulla premessa della perfettibilità umana, su un sereno ottimismo che eventi ed esperienze negative non riescono a scalfire. A differenza dell’evoluzionismo biologico-sociale para-darwiniano che vedeva nella lotta egoistica il motore della sopravvivenza della specie e del progresso, l’anarchismo scorge nella solidarietà la vera molla delle azioni umane, se appena la persona si rende conto delle possibilità di libertà insite nella sua natura e negate da una società alienante. L’umanità nuova sarà formata da libere coscienze capace di autogoverno interiore e sociale, in cui non avranno più posto gerarchie, autoritarismi e violenze.
È questa certezza, questo ottimismo e questa fiducia nella persona liberata che muovono i cuori più puri del terrorismo, dai nichilisti della Russia zarista agli attentatori della Francia fine secolo, all’assassinio di re Umberto I a Monza nel 1900 con cui Bresci volle vendicare le vittime dei fatti di Milano del 1898 e la complicità del Savoia col boia Bava Beccaris, di professione generale, così come è la violenza fascista che motiva i tre attentati anarchici a Mussolini.