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venerdì 25 novembre 2016

L’ipotesi cibernetica

L’ipotesi cibernetica è dunque un’ipotesi politica, una nuova favola che, a partire dalla Seconda guerra mondiale, ha definitivamente soppiantato l’ipotesi liberale. Al contrario di quest’ultima, essa propone di concepire i comportamenti biologici, fisici, sociali come integralmente programmati e riprogrammabili. Più precisamente essa si rappresenta ciascun comportamento come “pilotato” in ultima istanza dalla necessità di sopravvivenza d’un “sistema” che lo rende possibile e al quale deve contribuire. È un pensiero dell’equilibrio nato in un contesto di crisi.
Mentre il 1914 ha sancito la decomposizione delle condizioni
antropologiche di verifica dell’ipotesi liberale – l’emergenza del Bloom (etimologia sconosciuta, forse dal russo Oblomov, dal tedesco Anna Blume o dall’inglese Ulysses –terminale di una civiltà inchiodata al proprio capezzale e incapace di distogliersi dal proprio naufragio, se non alternando brevi fasi di isteria tecnofila a lunghi periodi di astenia contemplativa; forma-di-vita crepuscolare, errante, che colpisce comunemente gli esseri umani nel mondo della merce autoritaria), il fallimento, evidente in carne ed ossa nelle trincee, dell’idea d’individuo e di ogni metafisica del soggetto – e il 1917 la sua contestazione storica da parte della “rivoluzione” bolscevica, il 1940 segna l’estinzione dell’idea di società, così palesemente travagliata, attraverso l’autodistruzione totalitaria. In quanto esperienze-limite della modernità politica, il Bloom e il totalitarismo sono dunque state le confutazioni più solide dell’ipotesi liberale. Ciò che peraltro Foucault chiamerà più tardi con tono divertito “morte dell’Uomo”, non è che la devastazione suscitata da questi due scetticismi, l’uno in direzione dell’individuo, l’altro in direzione della società, e provocati dalla Guerra dei Trent’anni che colpì l’Europa e il mondo nella prima metà del secolo scorso. Il problema di questi anni, è nuovamente quello di “difendere la società” contro le forze che conducono alla sua decomposizione, di restaurare la totalità sociale a dispetto d’una crisi generale della presenza che affligge ciascuno dei suoi atomi. Di conseguenza l’ipotesi cibernetica risponde, nelle scienze naturali come nelle scienze sociali, a un desiderio d’ordine e di certezza. Concatenamento più efficace d’una costellazione di reazioni animate da un desiderio attivo di totalità – e non solo attraverso una nostalgia di quest’ultima come nelle diverse varianti di romanticismo – l’ipotesi cibernetica è parente delle ideologie totalitarie come di tutti gli olismi, mistici, solidaristi come in Durkheim, funzionalisti ovvero marxisti di cui non fa che prendere il posto.

IL LAVORO RENDE LIBERI E BELLI

Milioni e milioni di giovani, nelle condizioni economiche attuali, rischiano dl non poter godere per un lungo periodo di quel fondamentale diritto/dovere che la Costituzione garantisce a tutti i cittadini che non posseggono altro che le loro catene, che è il lavoro salariato.
Viene a mancare così per intere generazioni le stimolo al risveglio antelucano, una delle più vive e salutari tradizioni del nostro sistema di vita; in secondo luogo la regolarità e il buon umore che caratterizzano l'esistenza dell'onesto lavoratore cedono il passo alla confusione, all'angoscia, alla devianza. Il lavoro, infatti, come sottolineano psicologi, sessuologi, criminologi, è un ottimo rimedio contro le droghe, la pederastia, il bestialismo…
Al contrario, per i lavoratori già occupati, si aprono prospettive inattese di incentivazione e di sviluppo della propria capacità lavorativa: la creatività e l'esuberanza dei lavoratori adulti potrà espandersi ora, anche attraverso il lavoro straordinario, fino a limiti che in passato sembravano irraggiungibili.
Ma non è giusto lasciarsi trascinare dall'entusiasmo di fronte a questi risultati: mentre la pianta sana dei lavoratori occupati si espande rigogliosa, si isterilisce sempre più l'arbusto secco della gioventù infingarda, marginale e teppista.
Pertanto le forze sindacali e le forze democratiche, unite alla associazione genitori-figli-scappati propongono le seguenti occupazioni per i giovani disoccupati:
a) cancellazione delle scritte (scuole fabbriche università vespasiani)
b) incremento delle vocazioni sacerdotali e monacali, oltreché poliziesche
c) rimboschimento delle montagne calve dell'Appennino e delle isole
d) ripulitura dei volumi giacenti nelle biblioteche pubbliche, pagina per pagina, secondo l'indicazione di Amendola
e) muratura dei covi della sovversione e del caos
f) costituzione di gruppi di animazione edificante per giovani emarginati
g) distribuzione agli studenti fuori corso di mezzo ettaro di terre vergini in Irpinia, Aspromonte e nelle Madonie
h) ritrovamento definitivo dei residuati bellici della prima guerra mondiale
i) costituzione di centri di rieducazione morale per operai assenteisti
SACRIFICARSI NON BASTA OCCORRE IMMOLARSI

BOLOGNA 1977

RIVOLUZIONE

La rivoluzione non raggiunge mai il suo fine, piuttosto è fine a se stessa in vista di un rinnovamento dello spirito. 
(Gustav Landauer)

Una rivoluzione è una forza contro cui non può prevalere nessuna forza divina né umana, e la cui natura è di crescere in virtù della stessa resistenza che incontra... Quanto più la reprimete, tanto più vasta e irresistibile rendete la sua azione, sicché è precisamente lo stesso per il trionfo di un’idea, che sia perseguitata, conculcata, ostacolata fin dal principio, o che possa crescere e svilupparsi senza incontrare opposizione. Come la Nemesi degli antichi, che
né preghiere né minacce potevano commuovere, la rivoluzione avanza, col passo cupamente rimbombante del destino, sui fiori sparsi dai suoi amici, sul sangue dei suoi difensori, sui corpi dei nemici. 
(Pierre-Joseph Proudhon)

Se non sa ballare, non è la mia rivoluzione. 
(Emma Goldman)

La rivoluzione è causa ed effetto di ogni progresso umano, è la condizione di vita, la legge naturale dell.umanità: arrestarla è un crimine; ristabilire il suo corso è un dovere umano. 
(Carlo Cafiero)

Tutti appartenevano alla rivoluzione.Non si chiedeva di che sesso fosse uno quando si trattava di compiere il proprio dovere 
(Luise Michel)

Una volta conclusa la fase violenta della rivoluzione, si dichiarerà l’abolizione della proprietà privata, dello Stato, del principio d’autorità e di conseguenza delle classi che dividono gli uomini in sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi. Una volta socializzata la ricchezza, le organizzazioni dei produttori,finalmente libere, si faranno carico dell’amministrazione diretta della produzione e dei consumi. 
(mozione adottata nel maggio 1936 dal congresso di Saragozza della Cnt)

giovedì 17 novembre 2016

L'architettura di prevenzione situazionale

L'architettura di prevenzione situazionale ovvero l’architettura della paura. La nuova urbe diventa una città-fortezza, pattugliata da forze dell'ordine in assetto militare, sempre più sorvegliata dalle telecamere ma anche dagli stessi cittadini, mentre le classi più abbienti tendono ad andare ad abitare in enclavi super-protette, in comunità chiuse, zone residenziali controllate da recinzioni, mura e polizia privata. In generale si può parlare di architettura difensiva, cui obiettivo sarà quello di riconfigurare i luoghi per influenzare i comportamenti con l'aiuto di tutta una serie di dispositivi materiali di protezione: muri, barriere, recinzioni, inferriate, terrapieni, fossati, siepi rinforzate, a cui si aggiungono le tastiere digitali che controllano gli accessi, telecamere e polizia. E al tempo stesso eliminando tutti quegli elementi che possono indurre i delinquenti reali o potenziali a sentirsi sul proprio terreno (vicoli ciechi, anfratti, tunnel, passerelle, corridoi, atrii traversanti, tetti terrazzati...)
Un modello presto abbandonato, si passerà quindi che ha come obiettivo quello di conciliare sicurezza e urbanità. Architetti, urbanisti e paesaggisti dovranno cercare soluzioni in grado di coniugare il bisogno di protezione e la necessità di non costruire uno spazio urbano troppo poliziesco, motivo per cui dovranno trovare il modo di camuffare gli interventi di sicurezza dietro le parvenze di una “città condivisa”, a misura d'uomo, solidale e tutte le banalità – o meglio, le menzogne – che si sentono ripetere da politici e pianificatori urbani dei giorni nostri. Ma al giorno d'oggi siamo a un'ulteriore tappa nello sviluppo di queste pratiche e teorie: preso atto che la società è sempre più fluida, anche la delinquenza sarebbe sempre più mobile e volatile: può succedere di tutto ovunque e in qualsiasi momento, quindi è ora di anticipare l'imprevedibile, di prevedere l'improbabile. Si tratterà allora di creare dispositivi per separare e canalizzare i flussi di persone, limitare gli incroci per evitare imbottigliamenti e congestioni propizi a tutta una serie di atti malevoli – dagli scippi alle sommosse – così come a installare dei perimetri di sicurezza che si possano rimuovere o ampliare a seconda delle circostanze e servono a smistare e filtrare gli utenti in funzione della legittimità riconosciuta alla loro presenza nel dato luogo da mettere in sicurezza, senza dimenticare le corsie di circolazione riservate alla polizia per permettere un suo intervento rapido. 
Tuttavia si potrebbe concludere che questo spazio difendibile si dimostri piuttosto indifendibile. Innanzitutto perché l'esperienza insegna che a ogni ostacolo posto alle attività criminali più comuni, aggressori determinati, esperti e organizzati riusciranno sempre ad aggirarlo; inoltre, a causa dell'ambiente paranoico che genera, contribuisce a mantenere se non ad accentuare il sentimento di insicurezza e diffidenza che prevale oggi. Infine perché qualsiasi intervento che voglia risolvere i problemi sociali riducendoli a una questione di forma urbana (ad esempio lo spazialismo: non riuscendo a controllare le condizioni generali che determinano la comparsa di fenomeni di “violenza urbana” e la domanda di sicurezza, l'azione dei poteri pubblici e la riflessione degli esperti che li consigliano tendono a ripiegare sull'organizzazione dei luoghi, come se ciò che avviene avesse un'origine locale e spaziale) è votato al fallimento: i fatti che emergono nella città non necessariamente provengono dalla città, ma hanno origine altrove, un altrove che è allo stesso tempo da nessuna parte e dappertutto, vale a dire il capitalismo globale

ACQUA PESANTE Panico

Tra il fumo delle fabbriche – Nel giorno del diluvio
Allora lo saprai – Sull’orlo tu saprai
Sarà una pioggia dura – Cadrà acqua pesante
Tra gli angeli cromati – Le mani della notte
Fabbriche di sogni
Stupide vecchie storie – Stinte voglie stonate
Stanche le statue al bivio – Buchi gli schermi vuoti
Fabbriche di sogni
Strappa un grido
Alla vita
Sul rasoio teso degli anni
Strappa un grido
Alla vita
Nella luce che brucia le vene
 strappa un grido
alla vita
e conficca la lingua alle ali
La notte sarà di pietra
Premuta sul nostro naso – Nell’ultimo
Contagio
Tuono spacca il silenzio
Sabbia che crepa agli occhi spessa d’acqua
Passata
Nello slancio dei passi
Strappa un grido alla vita
Rondini di cieli opachi
Come
Fantasmi d’uomini
Nelle vetrine lucide ai vertici
Del mondo
Terra gonfia la bocca
Storte le strade strette
Curva del cielo
Il tempo
Luce piega dal vuoto
Strappa un grido alla vita

FabbrichedisogniFabbrichedisogniFabbrichedisogni 

Organizzazione della nuova società dopo l’evento rivoluzionario

Terminato il periodo violento della rivoluzione, vengono dichiarati aboliti: la proprietà privata, lo Stato, il principio di autorità e, conseguentemente, le classi che dividono gli uomini in sfruttati e sfruttatori, oppressi ed oppressori.
Socializzata la ricchezza, le organizzazioni dei produttori, ormai libere, si incaricheranno della amministrazione diretta della produzione e del consumo.
Stabilita in ogni località la Comune libertaria, porremo in essere il nuovo meccanismo sociale. I produttori di ogni ramo o mestiere, riuniti nei loro sindacati e nei posti di lavoro, determineranno liberamente la forma con la quale quest’ultimo deve essere organizzato.
La Comune libera requisirà tutto quello che deteneva la borghesia, ossia viveri, vestiti, calzature, materie prime, strumenti di lavoro, ecc. Questi utensili di lavoro e materie prime dovranno passare nelle mani dei produttori affinché essi li amministrino direttamente a beneficio della collettività.
Prima di tutto le Comuni si incaricheranno di alloggiare con il massimo delle comodità tutti gli abitanti di ogni località, assicurando assistenza agli ammalati ed educazione ai ragazzi.
In accordo con il principio fondamentale del Comunismo Libertario che prima abbiamo illustrato, tutti gli uomini validi si appresteranno a compiere il dovere volontario che diviene un vero diritto quando l’uomo lavora liberamente di concorrere alla vita della collettività in relazione alle loro forze e capacità mentre la Comune farà fronte alle loro necessità.
Naturalmente bisogna fin da ora comprendere che i primi tempi della rivoluzione non risulteranno facili e che sarà necessario che ognuno apporti il massimo di energie e consumi solo quello che le possibilità della produzione permettono. 
Ogni periodo costruttivo esige sacrificio ed accettazione individuale e collettiva di sforzi tendenti a superare le difficoltà e a non creare ostacoli all’opera di ricostruzione della società che di comune accordo realizzeremo.

(CNT 1936 – Concezione Confederale del Comunismo Libertario)

giovedì 10 novembre 2016

Meglio una città devastata che perduta

Non basta constatare la nocività della forma di merce in astratto, occorre poterne trarre le conseguenze opportune e fronteggiarla, perché la domesticazione sociale ha la funzione di svalutare i rischi, accrescere la falsificazione e mantenere il segreto sulla importanza vitale della verità, soprattutto se confrontata con la menzogna universale delle rappresentazioni separate. Da questo stato di cose se ne può dedurre una indicazione tattica: considerato che i bisogni umani più elementari sono disprezzati dalle forme di potere in ogni parte del mondo, che la sovranità irresponsabile della merce mette nelle mani di pochi, spetta ai molti riprendersi i loro diritti, anche senza mandato. In questo senso nuovi territori si aprono alla sovversione, confortati, nelle loro ragioni, dalla storia che, da tempo, invoca lo smantellamento di ogni forma di produzione mercantile. Ragioni che, prima di  diventare politiche, sono apparse ai grandi movimenti di massa giovanili come una pulsione alla conservazione di sè. Esse rappresentano l'espressione di un contenuto universale, che fa della nuda vita la sola garanzia possibile alla eradicazione della nocività sociale. L'urgenza di una tale sovversione ha ragioni che non devono essere né enumerate né discusse, esclusa una, la più importante, perché, scontate le smorfie che l'amara medicina comporta, lo spettacolo è capace di attingere delle idee anche da ciò che detesta di più, pur di trasformarlo in un princisbecco. E' il caso di cronaca di certe conclusioni nel campo della socialità e delle urgenze vitali che i social forum esprimono e i parlamenti assumono per meglio banalizzarle, considerato che, dal loro macchiavellico punto di vista, è meglio una città devastata che perduta. In questo contesto, gli interessi e le forme di socialità che nascono dal basso contengono sempre un germe di sovversione, particolarmente ostile ad ogni autorità, che non lesina i suoi sforzi per sradicarle. Il motivo evidente, nulla può alterare l'uniformità mercantile, dietro la quale si nascondono le ingiurie alla nuda vita, e la memoria di antiche ribellioni.

LA POESIA SALVERÀ IL MONDO di Walter Whitman

Il mondo sottomarino,
Foreste al fondo del mare, i rami, le foglie,
Ulve, ampi licheni, strani fiori e sementi,
folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde,
porpora, bianco e oro, la luce vi scherza
fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce,
il corallo, il glutine, l’erba, i giunchi,
e l’alimento dei nuotatori
Esseri torpidi brucan fluttuando laggiù,
o arrancano lenti sul fondo,
Il capodoglio affiora a emetter lo sbuffo
d’aria e vapore, o scherza con la
sua coda,
Lo squalo dall’occhio di piombo,
il tricheco, la testuggine, il peloso
leopardo marino, la razza,
E passioni, guerre, inseguimenti, tribù,
affondare lo sguardo in quei fondi
marini, respirando quell’aria così
densa che tanti respirano,
Il cambiamento, volgendo lo sguardo qui
o all’aria sottile respirata da esseri che
al pari di noi su questa sfera
camminano,
Il cambiamento più oltre, dal nostro
mondo passando a quello di esseri
che in altre sfere camminano.

Le radici libertarie di Victor Serge

Scrittore francese di sangue e spirito russo, romanziere, poeta, storico, giornalista e traduttore, Victor-Napoleon Lvovich Kibalchich – alias Victor Serge, Le Rétif, Le Masque, Ralph, R. Albert, Victor Stern, Victor Klein, Alexis Berlowsky, Sergo, Siegfried, Gottlieb, V. Poderewski e qualche altro pseudonimo – nacque in esilio a Bruxelles, il 31 dicembre 1890, e morì, sempre in esilio, a Città del Messico, il 17 novembre 1947. Visse il mondo ipocrita della Belle Époque, l’esaltazione comunista degli anni Venti e l’incubo totalitario della mezzanotte del secolo. Passò per le correnti più importanti del movimento operaio: il socialismo riformista, il comunismo anarchico, l’individualismo, l’anarcosindacalismo, il bolscevismo e il trotzkismo, senza mai abbandonare una spiccata sensibilità libertaria. Trascorse una decina d’anni di prigionia in diversi Paesi, partecipò a tre rivoluzioni – la spagnola (1917), la russa (1919-20) e la tedesca (1923) – e fu attivo anche in Belgio, Francia, Austria e Messico. Sopravvisse al Gulag e alla barbarie nazista, e fu tra i primi a qualificare l’URSS come un regime totalitario.
Autore di culto, sebbene quasi sconosciuto al grande pubblico, non sviluppò un sistema dottrinale né lasciò una scuola di pensiero. Non fu neppure un intellettuale nel senso tradizionale; in ogni tappa critica, cercò di dare alle esigenze dello spirito uno sbocco nell’azione. La sua attualità risiede nella riflessione traboccante, letteraria e poetica ancor più che teorica, sulla tragedia di una rivoluzione che divora se stessa. Nelle centinaia di pagine che dedicò a questo tema, mantenne la freddezza dell’analista distaccato conservando, allo stesso tempo, la passione militante e la certezza di un avvenire migliore. È impossibile avvicinarsi all’opera di Victor Serge senza evocare le sue vicende umane. Nato nel seno di una famiglia poverissima, cominciò a guadagnarsi la vita a quindici anni. Fu, in ordine successivo, apprendista fotografo, fattorino, gasista, disegnatore tecnico, tipografo, traduttore, giornalista e correttore di bozze. Un lontano parente, il chimico Nicolai Kibalchich, era stato l’esperto in esplosivi della Narodnaia Volia (Volontà del Popolo), la famosa organizzazione rivoluzionaria erede del populismo, che vedeva nella comune rurale russa (il mir) la possibilità di costruire un socialismo contadino. In casa Kibalchich, la poesia sostituiva la preghiera e si narravano storie di attentati, processi e fughe dalla Siberia, in un’atmosfera analoga ai romanzi di Dostoevskij, Chernichevsky e Turgenev. Nei tanti alloggi di fortuna dove visse la famiglia, poteva mancare il pane, ma vi era sempre un samovar fumante, libri in varie lingue e foto di vittime della repressione. La famiglia sopravviveva a stento: Raoul-Albert, il fratellino minore, morì di fame e, anni dopo, la madre Vera finì stroncata dalla tubercolosi, la malattia dei poveri.
Da quei genitori atipici che lo colmarono d’affetto, senza mandarlo a scuola, Victor ereditò il raro dono della coscienza sociale, un’insaziabile curiosità intellettuale e una grande indipendenza di spirito. Il padre Leonid, che si rifaceva all’evoluzionismo di Herbert Spencer, trasmise al figlio la cultura scientifica e materialista del suo tempo, mentre Vera, donna di grande sensibilità e raffinatezza, lo iniziò alla poesia e alla letteratura universale. A ciò bisogna aggiungere un sapere fatto di biblioteche popolari, circoli di studio, pubblicazioni sindacali, feuilleton, opere di divulgazione scientifica e tutto l’arsenale della cultura popolare dell’epoca.

giovedì 3 novembre 2016

La domesticazione del singolo nelle democrazie borghesi

Nelle democrazie borghesi, la promozione della libertà politica, non si compie se non per il tramite di una dittatura ideologica della forma di libertà, tale da farla apparire come una decisione nella quale è occultato il suo rapporto con la cosa e quel senso del separare che la compone, così come indica il suo etimo greco. Ciò che queste democrazie ci nascondono è il fatto che le loro verità non sono capaci di eliminare, nella pratica, la negazione della libertà, contenuta in esse come una conseguenza tragica dei loro presupposti assolutistici. Per un verso, le democrazie borghesi, vogliono essere l'espressione di una verità assoluta, per l'altro, non possono fare di questa verità un valore altrettanto definitivo, perché esse pretendono di appartenere alla storia e considerano questo stato uno loro valore sostanziale. In questo contesto, decidere significa esprimere la volontà di dominare le cose. Una volontà che è l'espressione di quel senso comune del mondo, che favorisce la domesticazione del singolo nella sua pluralità sociale e che ha molto da spartire con la formula dell'inconscio. Tra l'altro, ciò che fa intuire perché la storicità appare spesso nella forma di sintomo. In fondo, non è forse il disagio mentale un modello di quel pensare l'essere cosa delle cose, che corre in parallelo in politica al nichilismo? (l'apparente astrattezza del materialismo dialettico, in questo contesto, è dovuta al fatto che i mezzi con cui l'idealismo pretende di eliminarlo, sono sostanzialmente inefficaci, anche se utili a degradare la filosofia del comunismo ad un progetto di scienza sociale oramai obsoleto. Questo degradare esprime il passaggio del concetto di rivoluzione, come totalità in divenire, ad una progettualità scientifica, dunque a qualcosa di divisibile, di aggredibile con la decisione, che può essere manipolata al solo scopo di riproporre il dualismo di essere e nulla).

ELEPHANT di Gus Van Sant

Il 20 aprile 1999 due studenti, armati con mitra, fucili e bombe a mano,entrarono nel liceo di Columbine a Littleton Colorado. Fu una strage Dodici studenti e un professore uccisi, decine di studenti e professori feriti. Questa è l’incredibile cronaca minuto per minuto di quel massacro. 
La narrazione si svolge nell'arco di una sola giornata, come tante altre nella più assoluta normalità passata all’interno di un ambiente scolastico, comprensiva di dialoghi tra ragazzi, tra studenti e professori, partecipazioni a lezioni, e così via. La trama percorre gli eventi della giornata da soggettive differenti: John è la "guida" che percorrendo la scuola ci mostra la vita scolastica e gli studenti; Michelle, studentessa timida ed emarginata si occupa dell'organizzazione della biblioteca; Brittany, Nicole e Jordan sono tre ragazze ossessionate dal proprio corpo e dall'apparire; Elias è un ragazzo solitario e sognatore amante della fotografia; Eric e Alex, due ragazzi con la passione per le armi.
E' un mondo di individui-nomadi, capaci di scambiarsi messaggi ma sostanzialmente isolati tra loro. Il massimo della relazione possibile è il rapporto amicale morboso, cementato dalla patologia psichica: l'anoressia o la follia omicida. Scopriamo come le vite siano intrecciate, spesso inconsapevolmente. Come le vite di ognuno siano piene delle vite degli altri. La consapevolezza di essere calati nelle vite dei protagonisti è racchiusa nelle lunghe scene basate sui piani sequenza in cui seguiamo l'ordinario flusso di vita dei ragazzi impegnati in attività apparentemente insignificanti, dove sono liberi di girare, entrare e uscire, percorrerne i corridoi intessendo una fitta rete di rapporti amicali. I protagonisti, del resto, ci vengono presentati sempre intenti in attività che, pur rientrando tra le materie di studio, non appartengono alle classiche occupazioni scolastiche: sport, fotografia, un improbabile seminario sui diritti delle minoranze sessuali, attività sussidiarie che non hanno un risvolto concreto, un’applicazione pratica, piuttosto sembrano concepite per “riempire” un tempo sostanzialmente vuoto perché sottratto alla contingenza del quotidiano. Si parla fugacemente di un’interrogazione di matematica, ma l’unica situazione in cui ci vengono mostrati dei contenuti didattici in senso più o meno tradizionale è quella in cui Eric ed Alex, rimasti soli a casa di quest’ultimo, guardano alla televisione
un documentario sul nazismo.
La carneficina si consuma in un'atmosfera ovattata e silenziosa, per lo spettatore è un'esperienza irreale come per coloro che la vivono in prima persona, a cui non viene lasciato il tempo di capire e di stupirsi.
Opera straordinaria premiata col massimo riconoscimento alla cinquantaseiesima edizione del festival di Cannes. Il regista statunitense Gus Van Sant non spiega, ma illustra i fatti come sono accaduti, in una quotidianità il cui senso sfugge persino a chi la vive. Il titolo del film, come fa notare il regista stesso, si riferisce a un altro elefante rispetto a quello della parabola sulla rappresentazione, si tratta del famoso "elefante in sala da pranzo" che gli americani non si accorgono di avere, impegnati come sono a espandere e celebrare la propria cultura.
Il film è una chiara critica alla società americana, al  sistema, piuttosto che ai giovani stessi, che spesso sono portati ad isolarsi e a distaccarsi dalla vera realtà giocando ai videogame e costruendosi un’esistenza perfetta  in cui sono eroi per soppiantare quella reale .

Gli individualisti di Emile Armand

Gli individualisti sanno che gli accumulatori di capitali e gli intermediari non si preoccupano affatto dei bisogni reali del consumo. Essi hanno come unico motore la speculazione, ossia il desiderio di far rendere il più possibile l’interesse sui fondi che impegnano nelle aziende che dirigono o di cui si occupano. Gli accumulatori di capitali e gli intermediari attivano o riducono la produzione non secondo l’aumento o la diminuzione del movimento del consumo, bensì solo se vi intravvedono un’occasione di acquisire profitti più o meno considerevoli. La qualità della produzione dipende interamente dal potere di acquisto dei consumatori e non dai loro bisogni: a consumatore agiato, prodotti di qualità superiore; a consumatore povero, prodotti di qualità inferiore.
Gli individualisti non ignorano che il lavoro attuale si compie senza metodo, caoticamente e sono al corrente della lotta accanita cui si abbandonano, gli uni contro gli altri, i grandi detentori dei mezzi di produzione, così mentre una massa di diseredati manca degli oggetti di consumo più necessari, i magazzini rigurgitano di prodotti manifatturieri!
Gli individualisti non ignorano nemmeno che la maggior parte degli operai, dei lavoratori delle fabbriche, delle officine, dei campi, degli impiegati di commercio, d’ufficio, dell’amministrazione, accettano il loro stato e non fanno nessuno sforzo reale per liberarsi, soddisfatti dei pregiudizi correnti sulla fortuna, sul rispetto che merita ogni arrivista, imbevuti di concetti retrogradi sull’accaparramento, il padronato, i monopoli, ecc. Sono schiavi di pregiudizi morali e intellettuali che mirano al mantenimento di cose stabilite e che costituiscono la base dell’insegnamento di Stato. Impauriti dalla minaccia di un licenziamento o della disoccupazione, gli infelici producono, non avendo altro scopo nella vita che passare inavvertiti, fortunati quando lo stress o il disgusto non li portano all’alcolismo o a un’altra forma di «degradazione».
L’individualista è dunque, di principio, l’avversario di ogni sistema societario in cui il lavoro sarà obbligatorio, imposto, costretto, in cui, rispetto all’ambiente sociale, il lavoratore si troverà in una dipendenza grande quanto quella in cui si trova attualmente nei confronti del capitalismo.
Perché il lavoro diventi piacere, deve perdere tutto ciò che lo fa assomigliare a una pena, a una condanna, a una espiazione, a una legge, a un’oppressione, a una soggezione, persino una sublimazione o una esaltazione mistica della fatica. Aspettando che si affermi la mentalità generale indispensabile per fare del lavoro una gioia positiva e liberatrice, all’individualista come noi lo intendiamo – solo o associato – non resta che darsi da fare per risolvere la «sua» questione economica. Al di sopra dell’interesse economico, l’individualista metterà la soddisfazione etica, il
perseguimento della serenità interiore, il godimento del piacere dei sensi. Nessuna soddisfazione varrà per lui quanto quella di sentirsi il più possibile liberato dall’assoggettamento produzione-consumo. La questione non è di sapere se l’impiego di un macchinismo sempre più perfezionato, il lavoro intruppato, la pratica del comunismo imposto o del solidarismo obbligatorio gli procureranno più vantaggi materiali – ma piuttosto cosa diventerà in quanto unità individuale, cosciente, insubordinata, pensante tramite e per se stessa.
L’individualista vuole vivere, certo, ma «liberamente». 
Il lavoro, d’accordo, ma come generatore di libertà individuale, non come fattore di schiacciamento dell’uno sotto il laminatoio societario.