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giovedì 31 marzo 2016

La spoliazione sociale

La tecnica è arrivata ora mai ad annullare il bisogno materiale della forma di denaro, il solo e unico bisogno prodotto dalla economia politica, riducendo ad una astrazione entro cui si dibattono i desideri ammaestrati ad un consumo socialmente accettato. Questo modo di vivere la banca (come ieri si viveva il tempio) si dimostra, dal punto di vista delle forme economiche, ancora più oppressivo di quello concesso loro dalle sue forme cartacee e metalliche. La cashless society, infatti, è una società nella quale la penetrazione capillare dell'informatica ha raggiunto un punto tale per il quale, la materializzazione del denaro in banconote è addirittura un ostacolo alla circolazione dei capitali e, dunque, al profitto controllato in tempo reale. Ma c'è di più, questa forma immateriale del denaro crea nuove dipendenze e al tempo stesso attenua il suo triviale impatto materiale, favorendo l'identificazione dell'individuo con il denaro, costringendolo a mendicare crediti. Dunque, a mentire, simulare, falsificare e , soprattutto, a perdere il controllo sui segni materiali, che formano l'equivalente generale del valore informatizzato. In definitiva, a smarrirsi nel progresso della circolazione della astrazione che ha un fine: la formazione di un mercato perfetto, vale a dire, ontologico. Un mercato nel quale la prima funzione del denaro è dominare, non circolare, facilitando il passaggio della ricchezza sociale nell'immaterialità. Tutto ciò spiega perchè la funzione del denaro nelle sue configurazioni moderne tende ad aumentare, invece di essere abolita. In sostanza, tende ad essere consolidata come una forza di polizia che consente i calcoli burocratici della sopravvivenza.. Il fatto poi che questa funzione appaia irrazionale nella sua irrazionalità, non fa che dimostrare come ogni progresso sviluppi nuove contraddizioni in un sistema in cui il fine ultimo è la spoliazione sociale.

La poesia l’amore e la libertà

In una delle ultime interviste, Breton così riassume il senso della sua vita: “Per me l’essenziale è che non sono mai sceso a compromessi con le tre cause che avevo abbracciato in partenza e che sono la poesia, l’amore e la libertà”.
Nessun compromesso, neppure durante la guerra, quando la parola più frequentemente abusata era appunto libertà. Breton sa che la libertà della quale parlano i governanti è la libertà di continuare ad asservire l’uomo. In un momento in cui parlare di arte, di poesia, d’amore poteva sembrare addirittura reazionario. Breton afferma che sono proprio questi i valori che danno forza al colpo d’ala liberatorio: “L’amore, la poesia, l’arte, è solo attraverso loro che ritornerà la fiducia, che il pensiero umano riuscirà a riprendere il largo. Non si potrà ricominciare a contare sulla scienza che quando questa stessa avrà capito i mezzi per rimediare alla strana maledizione che la colpisce e sembra votarla ad accumulare più disillusioni e mali che benefici. Senza pregiudizio sulle misure di risanamento morale che si impongono in questa oscura vigilia di due volte l’anno mille, e che sono essenzialmente d’ordine sociale, per l’uomo preso isolatamente non si potrebbe avere speranza più valida e più estesa che nel colpo d’ala.”
In questo colpo d’ala sta il significato del surrealismo. Icaro con l’intelligenza di Prometeo (o Lucifero – portatore di luce) e la forza della disperazione di Spartaco. Così come il premio per la lotta, per la conquista della pietra filosofale non è la pietra, ma la lotta stessa, la giustificazione della rivolta sta nella sua dinamica negatrice. “È la rivolta stessa, la rivolta sola, che è creatrice di luce. E questa luce non può conoscere che tre vie: la poesia, la libertà e l’amore…
Ai pavidi Breton ricorda: “Non esiste, in effetti, una più spudorata menzogna di quella che consiste nel sostenere, anche e soprattutto in presenza dell’irreparabile, che la rivolta non serve a niente. La rivolta porta la sua giustificazione in sé stessa, indipendentemente dalle possibilità che ha di modificare o no lo stato di cose che la determina. È la scintilla nel vento, ma la scintilla che cerca la polveriera”.

La Famiglia e lo Stato

La famiglia è il primo banco di prova per la creazione di cittadini ubbidienti alle leggi dello Stato. L’ambito famigliare, inteso come composto da coppia con figli, è il luogo in cui fin da piccoli/e veniamo forgiati/e a vivere relazioni asimmetriche. Come avverrà poi con lo Stato, i genitori sono tenuti a sapere tutto dei figli (controllo sociale), a fornire delle regole da seguire (leggi), a punire se vengono infrante (carcere). I genitori si occupano di soddisfare i bisogni primari dei figli, così come nell’età adulta ci penserà lo Stato attraverso la sua gestione della società basata sul lavoro: non dovremo preoccuparci di nulla per la nostra sopravvivenza, sarà sufficiente uno sforzo minimo da parte nostra, consistente nell’ubbidienza e nella sottomissione sul posto di lavoro. Il rapporto genitori-figli/e, tranne in pochi casi, è spesso iperprotettivo, o conflittuale da una delle due parti, o basato su una forte disciplina. Anche nel caso di rapporti abbastanza equilibrati, non vi è mai una vera relazione orizzontale tra i due coniugi: uno/a dei due detiene più potere dell’altro/a, e guida o influenza maggiormente la relazione. La figura del padre-marito autoritario tipica del patriarcato è molto cara allo Stato, poiché ricalca e modella la relazione autoritaria Stato-cittadino.
Ogni individuo cresce in un ambiente che è già un prodotto del potere: le prime idee sulla coppia eterosessuale, sulle relazioni tra i sessi, su come comportarsi in società, sulla necessità di obbedire ad alcune regole e di reprimere le proprie reali pulsioni, vengono apprese dai propri genitori.
Il nucleo familiare è il primo mezzo attraverso il quale il potere pone un controllo sulla formazione dei nuovi individui e li educa a vivere rapporti asimmetrici di svantaggio, che poi si moltiplicheranno nell’ambito degli studi e del lavoro fino ai megameccanismi di controllo impliciti nel sottostare alle leggi emanate dallo Stato e nel condizionamento psicologico basato sulla paura della punizione. 

giovedì 24 marzo 2016

Elisée Réclus geografo

La storia del movimento libertario nel XIX secolo vanta, accanto alla schiera dei lavoratori sfruttati, alcuni dei più bei nomi della scienza e dell'arte. Uomini dalla cultura così profonda e dalla sensibilità tanto acuta da avere compreso, prima e meglio di tanti loro colleghi accademici parrucconi, quanto urgente fosse una svolta sociale in senso libertario, quanto precario un ordine politico che continuava a basarsi, in piena era scientifica e industriale, su una visione burocratica e centralistica della vita sociale. Non è un caso che diversi di loro venissero dallo studio della geografia, la più "umanistica" delle scienze, anzi, il vero anello di congiunzione tra cultura scientifica e artisticoletteraria. La geogragfia che, nella prima metà del XIX secolo, sulla scorta dell'insegnamento di von Humboldt e Karl Ritter, si avviava a una visione complessiva, "organica", del rapporto uomo-natura, a una concezione dinamica dell'interazione fra società e ambiente, fra Storia e Natura.  
Elisée Réclus nasce a Sainte-Foy-la-Grande, nella Gironda, nel 1830, secondogenito di una nidiata di dodici fratelli. 
Elisée frequenta l'Università di Berlino, dove ha per maestro il famoso Ritter, che gli comunica un amore inestinguibile per la geografia. 
Rientrato in Francia, frequenta i primi circoli socialisti-anarchici e vi aderisce pieno d’entusiasmo, superando l’originale, generico repubblicanesimo. Ma passata l’illusione rivoluzionaria del 1848, Luigi Napoleone Bonaparte realizza il colpo di Stato nel 1851, e Reclus è costretto all’esilio. Viaggia molto, in Europa e fuori; è, tra l' altro, negli Stati Uniti e in Colombia, sinché nel 1857 un' amnistia non gli riapre le frontiere della Francia. Si dedica allora a un’intensissima attività di scrittore, pubblicando libri di geografia divulgativa. Intanto intensifica la sua militanza anarchica, pur senza mai abbandonare del tutto gli studi geografici e l’insegnamento. S’incontra con Bakunin in Svizzera, e nel settembre 1867 partecipa al Congresso democratico internazionale della pace. Parteggia ovviamente per Bakunin nel dissidio, sorto in seno alla Prima Internazionale, rispetto a Marx e ai suoi seguaci.
Così lo descrive, commosso, l'amico Kropotkin nelle sue celebri Memorie di un rivoluzionario: "Uomo che animava gli altri, ma che non ha mai comandato nessuno, né mai lo farà. È l'anarchico la cui fede è l'essenza della sua conoscenza vasta e profonda della vita umana in tutte le sue manifestazioni, in tutti i paesi e a tutti i gradi di civiltà, i cui libri sono fra i migliori del secolo; il cui stile, di notevole bellezza, colpisce la mente e la coscienza; che quando entra nella redazione di un giornale anarchico dice al direttore - che di fronte a lui è forse un ragazzo: "Ditemi che cosa devo fare", e siede, come un collaboratore qualunque, a scrivere poche righe per riempire una lacuna sul numero che si sta stampando. Durante la Comune di Parigi si armò di un fucile e prese il suo posto fra i combattenti. Se invita qualcuno a collaborare alla sua Geografia di fama mondiale, e il collaboratore chiede timidamente: "Che cosa devo fare?", egli risponde: "Ecco i libri, ecco una tavola. Fate quel che volete."

PROVO

La prima volta che la parola PROVO, abbreviazione di provocatore, fa la sua comparsa in pubblico, ha un significato molto diverso da quello che avrebbe poi assunto. Essa appare su uno studio sulla devianza giovanile presentato alla facoltà di sociologia dell’Università di Utrecht nel gennaio del 1965 dal dott. Wouter Buikhuisen.  Il lavoro intitolato  Cause del comportamento dei giovani difficili, era il risultato di una pignola ricerca sul campo durata cinque anni, tra le bande giovanili delle grandi città olandesi. Nella classificazione inventata dallo studioso per descrivere i vari gruppi e sottogruppi troviamo i cosiddetti provos, ossia nozem da strada, giovani proletari che spiccano per l’assoluta mancanza di interesse nei confronti della politica e della cultura, non hanno alcuna aspirazione, rifiutano il lavoro, vivono col sussidio di disoccupazione e i cui atti di aggressività e di teppismo sono motivati essenzialmente dalla noia. Se provocano i bravi cittadini e i tutori dell’ordine, non lo fanno perché sono scontenti del modo in cui vanno le cose ma semplicemente perché non hanno nulla di meglio da fare.
Lo studio di Buikhuisen cade sotto gli occhi di Van Duijn, che con l’amico Stolk, sta affannosamente cercando un titolo per un nuovo giornale anarchico da distribuire ad Amsterdam. La parola PROVO appare subito perfetta, visto che ha sempre considerato la scena dei nozem come un ottimo terreno per la diffusione del pensiero anarchico. Nonostante il suo carattere pessimista è fermamente convinto che la ribellione istintiva dei teppistelli da strada, di fronte al sorgere di particolari condizioni, potrebbe trasformarsi in deliberata resistenza anarchica. E da parte sua Van Duijn ce la sta mettendo tutta affinché queste particolari condizioni si presentino al più presto.
Abbiamo preso il nome PROVO perché dobbiamo basarci sul potenziale rivoluzionario dei nozem, incanalando i loro sentimenti aggressivi in una cosciente fonte rivoluzionaria. Anche i rappresentanti più consapevoli della gioventù, come gli studenti, devono diventare PROVOS, provocare le autorità, lo Stato, la proprietà privata, i grandi magnati pieni di potere, il militarismo e la Bomba. In questo particolare periodo storico gli anarchici devono diventare PROVOS. Non possono più sperare in una rivoluzione, l’unica arma rimasta loro è provocare l’autorità. 

Immaginare una possibile ribellione

La domesticazione sociale è l'altro nome di quelle pratiche di dominio che sono all'origine di obbedienza, consenso, pace sociale. Non ideologie, forme di cultura o teorie, ma vere e proprie forze che plasmano la nostra vita, modellano i nostri comportamenti e vincolano il nostro comune.
La domesticazione sociale è all'origine di quella sudditanza vissuta con disarmante fatalismo, in virtù della quale di volta in volta ci troviamo a rivestire gli abiti di un popolo di consumatori, produttori, guerrafondai, utenti, elettori.
La domesticazione sociale è la misura di quella distanza tra i molti che obbediscono e i pochi che comandano, tra i molti impiegati delle nuove officine del lavoro e i pochi che ne traggono profitto.
Capire le ragioni di ciò che produce la nostra alienazione nella forma della merce, nella forma dello spettacolo e nella forma del consenso è il presupposto per immaginare una possibile ribellione a questo presente e al prossimo futuro.

giovedì 17 marzo 2016

Lo Stato e l’Azione Diretta

L'essenza stessa dello Stato è l'esercizio monopolista del potere, con l'effetto di disarmare l'autonomia del popolo e di farla da esso delegare a una serie di istituzioni che ideologicamente e culturalmente lo Stato mistifica - elezioni, parlamento, etc. - facendo credere che sia il popolo a decidere ed a esercitare pienamente il potere. Questo è falso e serve solo a disarmare politicamente e ideologicamente le masse lavoratrici, ponendo ad esse un freno nella costruzione dei suoi propri strumenti rivoluzionari di lotta che permettono di intravedere una trasformazione radicale della società.
La borghesia attraverso la globalizzazione ha generato un'ampia ondata di disinteresse e di egoismo nel popolo. Le mistificazioni create dallo Stato per potere perpetuare il monopolio del potere, generano nel popolo una sensazione di passività, fanno vedere che determinati strumenti in precedenza di lotta si istituzionalizzano, passando ad essere parte costitutiva del complesso tessuto degli apparati di dominazione sociale. (vedi un certo Sindacato)
Il confronto diretto contro il potere statale richiede non solo un impegno politico e ideologico determinato, ma anche una correlazione fra esso ed il metodo utilizzato o propugnato per poter cominciare a edificare dalla base il potere popolare, e uno degli strumenti metodologici propri dell'anarchismo è l’Azione Diretta, che è un a specie di cammino su due percorsi che non si escludono fra di loro, bensì l'uno è la condizione dell'altro: critica e confronto contro il sistema capitalista.
Questa critica e questo confronto col sistema capitalista tradotti nell'azione diretta non sono solo un concetto di carattere negativo, bensì anche positivo, giacché plasma una proposta che costituisce un principio basilare dell'anarchismo: la non delegazione del potere, il che significa acquistare coscienza ed agire in forma diretta vuol dire volontà di azione. L'azione diretta è il rifiuto delle mediazioni politiche, delle minoranze illuminate che impostano la delega de potere popolare a determinate istanze organizzative. L'indelegabilità del potere è l'esercizio pratico della libertà ed uno strumento di insurrezione contro l'attuale stato di cose di tutti gli oppressi organizzati.
Insieme all'azione diretta i libertari proclamano anche la lotta per distruggere lo sfruttamento della persona sulla persona. La base per distruggere la disuguaglianza in seno al popolo è data dalla proprietà comune dei mezzi di produzione e la costruzione di organizzazioni economiche e sociali basate sui principi di uguaglianza e di autogestione.

SOGNANDO di Don Backy

Me ne sto lì seduto e assente, 
con un cappello sulla fronte
e cose strane che mi passan per la mente

Avrei una voglia di gridare, 
ma non capisco a quale scopo
poi d'improvviso piango un poco 
e rido quasi fosse un gioco

Se sento voci, non rispondo 
io vivo in uno strano mondo
dove ci son pochi problemi 
dove la gente non ha schemi

Non ho futuro, né presente, 
e vivo adesso eternamente
il mio passato è ormai per me distante

Ma ho tutto quello che mi serve, 
nemmeno il mare nel suo scrigno
ha quelle cose che io sogno, 
e non capisco perché piango

Non so che cosa sia l'amore 
e non conosco il batticuore
per me la donna rappresenta 
chi mi accudisce e mi sostenta

Ma ogni tanto sento che 
gli artigli neri della notte
mi fanno fare azioni non esatte

D'un tratto sento quella voce, 
e qui incomincia la mia croce
vorrei scordare e ricordare, 
la mente mia sta per scoppiare

E spacco tutto quel che trovo 
ed a finirla poi ci provo
Tanto per me non c'è speranza 
Di uscire mai da questa stanza

Sopra un lettino cigolante, 
in questo posto allucinante
io cerco spesso di volare nel cielo

Non so che male posso fare, 
se cerco solo di volare
io non capisco i miei guardiani, 
perché mi legano le mani

E a tutti i costi voglion che 
Indossi un camice per me
le braccia indietro forte spingo 
e a questo punto sempre piango

Mio Dio che grande confusione, 
e che magnifica visione
un'ombra chiara mi attraversa la mente

Le mani forte adesso mordo 
e per un attimo ricordo
che un tempo forse non lontano, 
qualcuno mi diceva: 't'amo'

In un addio svanì la voce 
scese nell'animo una pace
Ed è così che da quel dì 
io son seduto e fermo qui.

Il Luddismo di Capitan Swing

La nascita del luddismo va individuata nel punto critico dell’abrogazione delle leggi paternalistiche e dell’imposizione dell’economia del laissez-faire alla (e contro la) volontà e coscienza dei lavoratori. Dalla nuova libertà del capitalista di distruggere le consuetudini del mestiere, o con il nuovo macchinario, o con il sistema di fabbrica, o con una concorrenza sfrenata, riducendo i salari, battendo sul prezzo i rivali, e minando il codice di una lavorazione a regola d’arte
Capitan Swing era il rappresentante dei braccianti. Caratteristica di rilievo del movimento di Swing è la sua multiformità nell’agire. Incendio doloso, lettere minatorie, volantini e manifesti sediziosi, brigantaggio, meeting per i salari, assalti ad ispettori dei poveri, parroci e proprietari, distruzione di vari tipi di macchine. Dietro queste diverse forme d’azione, gli obiettivi fondamentali dei braccianti-luddisti sono però particolarmente ben definiti: ottenere nell’immediato un salario sufficiente per vivere, porre fine alla disoccupazione ed impedire che le macchine agricole snaturino il rapporto uomo-terra. Per raggiungere questo scopo i mezzi usati variano a seconda dell’occasione e delle possibilità che si presentano. Possono seguire la via elementare dei meeting per decidere la somma da chiedere, redigendo un foglio o un documento da presentare ai datori di lavoro, e, nel caso incontrassero resistenza, accompagnano le loro richieste con assemblee illegali e minacce di violenza.
Questa forma di brigantaggio assume proporzioni notevoli soprattutto nelle contee meridionali e centrali dell’Inghilterra, anche se non è tanto questa forma di agitazione, seppur rilevante, quanto la distruzione di macchine ad imprimere il suo marchio a tutto il movimento dei braccianti. Infatti il segno distintivo di Swing non sono tanto gli incendi o le lettere minatorie quanto la distruzione delle macchine agricole.
Le fonti popolari raccontano di Capitan Swing e banda vestiti da gentlemen che viaggiano per le campagne su calessi verdi, fanno misteriose domande sulla misura dei salari e sulle trebbiatrici, distribuiscono denaro e danno fuoco ai pagliai con pallottole incendiarie, razzi, palle di fuoco e altri congegni diabolici (dai giornali dell’epoca citiamo “Sembra che lo strumento incendiario abbia la caratteristica di esplodere lentamente, si accenda ed esploda dopo un certo periodo che è stato collocato sotto il covone”). Per far digerire meglio spiegazioni del genere giunse al ministero dell’interno una lettera da parte del dottor Edmund Skiers, membro della facoltà di medicina di Parigi e del Regio Collegio di Surgeon di Londra, il quale afferma che una miscela di fosforo, zolfo e limatura di ferro può, a contatto con l’acqua, provocare un’accensione improvvisa per un processo di combustione spontanea.

giovedì 10 marzo 2016

Civiltà, tecnologia e consumismo

Questa nostra era postmoderna trova la sua espressione fondamentale nel consumismo e nella tecnologia, che si uniscono nella stupefacente forza del mass media. Immagini e parole semplici e accattivanti ci fanno dimenticare di essere proprio loro, quelle immagini accattivanti e quelle semplici parole, a tenere insieme questa orrenda dominazione. Anche i più grandi fallimenti della società possono essere utilizzati per narcotizzare i suoi sudditi. È il caso della violenza, un’eterna fonte di distrazione. Siamo titillati dalla rappresentazione di ciò che ci minaccia, come se la noia fosse un tormento peggiore della paura.
La natura, o meglio quel che ne è rimasto, ci ricorda amaramente quanto depravata, gelida e ingannevole sia la nostra vita moderna. La morte del mondo naturale e la penetrazione della tecnologia in ogni stilla di vita, o in quel che ne resta, procede con impegno sempre maggiore. Facebook , giochetti, cyber tutto, realtà virtuale, Intelligenza Artificiale, sempre più oltre, fino a giungere alla Vita Artificiale, l’ultimo traguardo della scienza postmoderna.
Nel frattempo la nostra postindustriale età del computer ha avuto come risultato pratico quello di renderci più che mai appendici della macchina. Le statistiche rilevano che ogni anno vengono perpetrati un milione di crimini contro la persona che hanno per teatro proprio quei luoghi di lavoro sempre più sotto sorveglianza informatica, e che negli ultimi anni il numero dei dirigenti uccisi è raddoppiato. 
Questa macchina immonda si aspetta, nella sua arroganza, che le sue vittime continueranno ad accontentarsi di votare, riciclare e fingere che andrà tutto bene. Per citare Debord:”Ci si aspetta che lo spettatore semplicemente non sappia nulla e non meriti nulla”.
Civiltà, tecnologia e un ordinamento sociale spaccato sono gli elementi di un tutt’uno indissolubile, un viaggio verso la morte intimamente ostile al miglioramento qualitativo. Le nostre risposte devono dunque essere qualitative, e non quantitative come lo sono i palliativi che oggi perpetuano ciò a cui dobbiamo porre fine.

L’AMORE E IL CRANIO di Charles Baudelaire

L’Amore siede sopra il Cranio della
Umanità: su tale
trono, il profano che sfrontato riso,

soffia gioioso tonde bolle, in aria
risalenti, a raggiungere
i mondi in fondo all’etere. Si slancia

fragile il globo luminoso, e scoppia;
la sua anima sputa,
gracile come un sogno d’oro. Il cranio

odo pregare ad ogni bolla e gemere:
“Questo gioco ridicolo
e feroce avrà fine un giorno? Infatti

quello che sparge in aria la crudele
bocca. Mostro assassino,
è il mio cervello, il sangue, la mia carne!”

Basta con i piedipiatti

Sub-Mack Sennett regista, Sub-Max Linder attore, Stavisky delle lacrime di ragazze madri e dei piccioli orfani di Auteuil, tu sei Chaplin, ricattatore emotivo, maestro cantore della disgrazia.
Il cameramen aveva bisognio della sua Delly. E' solo a lui che tu hai dato le tue opere, e le tue buone opere: le tue carità.
Poiché ti sei identificato con i deboli e gli oppressi, attaccarti è stato attaccare i deboli e gli oppressi, ma nell'ombra del tuo bastone da passeggio di bambù alcuni potrebbero già vedere lo sfollagente di un poliziotto.
Tu sei "colui-che-porge-l'altra guancia" - l'altra guancia delle chiappe - ma per noi, i giovani e belli, la sola risposta alla sofferenza è la rivoluzione.
Noi non compriamo le persecuzioni assurde che ti trasformano in una vittima, tu Max de Veuzit con i piedi piatti. in Francia l'ufficio di immigrazione si chiama agenzia di pubblicità. Il tipo di conferenza stampa che tu hai fatto a Cherbourg non offriva nulla più che un pezzo di trippa. Tu non hai nulla da temere del successo di Luci della ribalta.
Vai a dormire, insetto fascista. Ramazza il denaro. Fattela con l'alta società (ci è piaciuto quando strisciavi sullo stomaco davanti alla piccola Elisabetta). Muori in fretta: ti promettiamo un funerale di prima classe.
Preghiamo che il tuo ultimo film sia veramente l'ultimo.
I fuochi dei riflettori hanno sciolto il trucco del cosiddetto mimo brillante, e hanno mostrato un sinistro vecchio, compromesso.
Vai a casa, Mister Chaplin.

Per l'internazionale lettrista Serge Berna, Jean-L. Brau, Guy Debord, Gil J Wolman 

(volantino distribuito dai Lettristi a Parigi durante la tournèe di Charles Chaplin per pubblicizzare il suo nuovo film Luci della Ribalta)

giovedì 3 marzo 2016

Sono stato in rivolta per tutta la vita

Sono stato in rivolta per tutta la vita, scrisse in una sua lettera. E per un giovane nero cresciuto nel ghetto, la prima rivolta è sempre il crimine. George ebbe la sua prima esperienza con la legge americana a quattordici anni, quando fu arrestato a Chicago per il furto di una borsetta. Da quel momento in poi la sua vita è stata un susseguirsi costante di arresti, riformatori, rilasci provvisori, e altri arresti ancora. A diciotto anni fu condannato per un furto di settanta dollari a un distributore di benzina. Il suo avvocato gli promise che si poteva giungere ad un accordo con il pubblico ministero, se George si fosse dichiarato colpevole di rapina di secondo grado. Dati i suoi precedenti, gli disse, questa era la sua unica possibilità. “Non insistere con la corte per un processo che costa caro, e loro ti daranno una pena minore”. Invece ebbe una condanna a tempo indeterminato: da un anno a una vita.
La primissima volta fu come morire. Soltanto per esistere in gabbia occorre un grosso riadattamento psichico. Quello di essere catturato era sempre stata la prima delle mie paure. Può darsi che fosse innata. Poteva essere una caratteristica acquisita nel corso dei secoli di schiavitù nera.
La svolta decisiva della sua vita si ebbe quando scopri Marx, Lenin, Trockij, Engels e Mao. Durante i primi anni di prigionia non studiò altro che economia e discipline militari. Conobbe i guerriglieri neri, George “Big Jake” Lewis, e James Carr, W.L. Nolen, Bill Christmas, Terry Gibson e molti altri. Tentarono tutti insieme di trasformare la mentalità del criminale nero nella mentalità del rivoluzionario nero.
Le approfondite indagini sociali di Marx e degli altri diedero ai carcerati la possibilità di sentirsi membri della comunità umana, e membri di una fratellanza rivoluzionaria.
Dedicarsi alla rivoluzione in carcere ha un significato particolare, e un prezzo particolare. Essere individuati come rivoluzionari dalle autorità carcerarie comporta il rifiuto quasi permanente di ogni libertà provvisoria, separazione dagli altri detenuti, celle di isolamento (in genere nel braccio di vigilanza speciale del carcere), trasferimenti da un carcere all’altro, pestaggi, cibo pessimo. Ti scende addosso l’intera forza repressiva e punitiva di un sistema completamente totalitario: IL CARCERE.
 

NEMICO PUBBLICO N° 1 di Francois Richet

Nemico pubblico N.1 è un film di 4 ore diviso in due parti sulla vita di Jacques Mesrine, il più famoso fuorilegge nella Francia della seconda metà del ‘900. Il film è tratto dall’omonimo libro autobiografico scritto in carcere dallo stesso Mesrine, (pubblicato in Italia dalla Nautilus-ElPaso, Torino, 2006). Il film  inizia col mostrarci la sua iniziazione alla violenza in Algeria, nel 1959, dove milita nell’esercito francese, passando poi per l'incontro con il boss a capo della criminalità Guido, una sorta di padrino con cui allaccia sia un sodalizio criminale che una solida amicizia. Dopo un matrimonio fallito il criminale incontra Jeanne Schneider, una dark lady bella e spietata con la quale compirà rapine intrepide e fughe rocambolesche che lo trasformeranno nel nemico pubblico numero 1 non solo a Parigi ma anche a Montreal dove si trasferisce per alcuni anni. Nel 1978, Mesrine torna in Francia. Si allea con un killer senza scrupoli, Michel Ardouin, soprannominato la portaerei, e insieme architettano una serie di rapine a mano armata che lo portano di nuovo in prigione. Durante uno dei suoi soggiorni nelle carceri parigine, conosce e fa amicizia con un ambiguo personaggio, un certo François Besse, una sorta di alter ego insieme a cui progetta e attua un'ennesima, riuscita evasione. E diventa un mito. Fa amicizie importanti, entra in confidenza con alcuni personaggi potenti, si allea con criminali sempre più spietati, rafforza la sua relazione con un'ultima, ennesima amante, Sylvie, cerca di nobilitare le sue azioni criminali attraverso l'ideologia politica, dipingendosi come rivoluzionario grazie all'appoggio di alcuni estremisti della gauche francese. Mesrine verrà ucciso a sangue freddo e a distanza ravvicinata dalla polizia in mezzo al traffico parigino con un’imboscata in piena regola culminata con una vera e propria esecuzione, il 2 novembre 1979, a Porte de
Clignancourt, nel centro di Parigi.
Il mito Mesrine rinasce proprio da quel 2 novembre del 1979, diventando eroe del contropotere, della ribellione, della rivoluzione. Un’icona per migliaia di francesi, ancora oggi viva.
“Sappiamo tutti senza eccezioni di essere condannati a morire dal momento della nostra nascita. La nostra prima condanna è essere condannati a morire (è fondamentale quello che sto dicendo). Non trovo sia più scemo morire per una pallottola che morire al volante di un’auto, o lavorando in fabbrica per un salario minimo. Il mio mestiere è il banditismo. Un certo tipo di banditismo che non consiste nell’attaccare i vecchietti ma le banche e alcune aziende. Non mi voglio giustificare, ma sono sicuro che quando porto via il denaro delle banche non è quello della gente che ce lo ha portato … non faccio altro che prendere l’interesse che le banche prelevano sull’operaio. Se porto via 20 milioni ad una banca non è una tragedia … lo ripeto, il mio mestiere è il furto. Perciò morire o correre il rischio di morire quando si vive nella violenza … Mi piace la vita. Le mie azioni lo dimostrano. E poi confesso una cosa. Sono gravemente malato di cuore. Può verificarlo chiedendo alla Santé. Ho sempre viaggiato con una pressione di 120/220, 130/200. Perciò avrei potuto tranquillamente morire in cella per un’emorragia cerebrale o un attacco di cuore … non sto per dire che morire con un’arma in pugno sia una morte da uomo. No. La morte da uomo non esiste. Esiste la morte e basta.” 
(Tratto da un’intervista a Jacques Mesrine)
Jacques Mesrine

I professionisti definiscono i bisogni

In un economia dominata dai servizi, in cui la maggior parte della popolazione trae sostentamento da servizi professionali e il PIL si misura in funzione dei servizi prodotti, ogni Paese ha bisogno di una offerta sempre più ampia di manchevolezze individuali. E' una società che ha lo scopo di soddisfare dei bisogni, definiti in termini di manchevolezze personali, altro non è che un'economia che ha bisogno di sempre nuovi bisogni. Per ironia della sorte, la produzione della ricchezza - nella nostra società - dipende dalla capacità di ciascuno di scoprire le manchevolezze altrui. Ne deriva, sotto il profilo politico, una collettività di persone incapaci di percepire i problemi che hanno davanti, e tantomeno di risolverli.
L'effetto disabilitante, provocato dal modo in cui i professionisti definiscono i bisogni, sta nella attribuzione di ogni cosiddetta manchevolezza all'utente in quanto tale: come se si trattasse di una sua proprietà personale. In astratto, quasi tutti i professionisti tenderebbero a guardare i problemi individuali all'interno di un determinato contesto sociale, economico e politico. In concreto, il loro modello di intervento riparativo tende a isolare ogni individuo da quel contesto. Per effetto di questa individualizzazione, l'operatore professionista non riesce più a comprendere nemmeno le caratteristiche del contesto. Poichè gli strumenti e le tecniche di intervento di cui dispone si indirizzano soltanto alle singole interazioni sociali, l'interpretazione dei problemi sociali non può che assumere - a sua volta - un taglio individualizzato. E' lo strumento con cui si lavora a definire il problema, più di quanto non sia il problema a definire lo strumento di cui ci sarebbe bisogno.