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giovedì 29 ottobre 2015

Reincantare il mondo

Rivalutare significa riscoprire valori nuovi e nuovi atteggiamenti andando incontro, inevitabilmente, ad una diversa visione del mondo e della società. In modo affine, una riconcettualizzazione richiede di significare diversamente alcuni concetti come ricchezza e povertà, rarità e abbondanza. Cambiare i valori rende obbligatorio un conseguente adeguamento dell’intero apparato produttivo e della gestione dei rapporti sociali, quindi una ristrutturazione completa della società. Questo richiede, necessariamente, l’uscita dal capitalismo e l’inquadratura delle istituzioni sociali in una logica differente. La ristrutturazione della società deve permettere un’adeguata ridistribuzione delle ricchezze e delle possibilità di accesso alle risorse della natura. Uno degli strumenti strategici su cui verte questa trasformazione è la rilocalizzazione delle attività produttive; questa renderà possibile una riterritorializzazione dei luoghi e un più diretto contatto con i prodotti e i mercati vicini. La rilocalizzazione si spinge fino all’invito all’autoproduzione dei beni. Decrescita significa anche, ineluttabilmente riduzione. La riduzione dovrà toccare diversi ambiti: energetico, tramite una riduzione dei trasporti e degli scambi commerciali assurdi; ore lavorative, così da riassorbire la disoccupazione e riscoprire un proprio tempo personale; produzione dei rifiuti, quindi anche dell’obsolescenza (programmata e psicologica) dei beni. Per quest’ultimo punto diventano allora indispensabili pratiche di riutilizzo dei beni che giungano a soppiantare definitivamente la cultura dell’usa e getta favorendo, al contrario, il riciclo degli oggetti, quindi il recupero di componenti da ritrasformare in materie prime. Perché tutto questo abbia luogo bisogna necessariamente passare attraverso una decolonizzazione dell’immaginario, un cambiamento di mentalità che permetta, prima di tutto, di far uscire il martello economico dalla testa per approcciarsi a nuovi valori, nuovi modi di intendere il benessere e ad un nuovo atteggiamento verso la terra e la società. Questa transizione, che non può che partire in modo locale e modesto, richiede il contributo dei nostri intelletti e della nostra creatività,  infatti siamo capaci di reincantare il mondo, in opposizione alla banalizzazione e al disincanto prodotto dalla società dei consumi. Non è strettamente uno studio economico quanto più un programma pratico e filosofico. Cosa sia la felicità e da quale tipo di ricchezza essa dipenda è l’interrogativo basilare a cui la nostra riflessione vuole dare una concreta risposta.

La rivolta di piazza Statuto, nulla sarà più come prima

1962, rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Torino, 5 luglio: gli operai della città della Fiat si preparano allo sciopero di categoria indetto per il 7-8-9 di quel mese da Fiom, Fim, Uil; si prevede una partecipazione alta, soprattutto per l’adesione allo sciopero della Uil che alla Fiat conta sul 63% degli operai iscritti a qualche sindacato. Tra il 5 e il 6 luglio i dirigenti Fiat e quelli della Uil e del Sida (un sindacato giallo) si accordano per un aumento salariale tanto che La Stampa, il quotidiano degli Agnelli-Fiat, il 6 luglio potrà titolare: Uil e Sida si accordano con la Fiat e invitano gli operai a non scioperare. L'indomani mattina lo sciopero è totale. Non solo totale, ma anche duro. I crumiri che vogliono lavorare devono superare minacce, ingiurie e botte. Le macchine dei dirigenti che tentano di entrare vengono prese a sassate. I lavoratori, soprattutto quelli iscritti alla Uil, sono sbigottiti e furiosi per come quattro burocrati sindacali siano riusciti a rendere nulle, per pochi spiccioli, le ben più importanti richieste di diminuzione dei ritmi, orario di lavoro, norme disciplinari. Un tradimento.
Al pomeriggio, verso le 14.30-15, tre, quattrocento operai in gran parte iscritti alla Uil, ma anche a Cisl e Cgil, sono assembrati davanti alla sede della Uil in piazza Statuto: urlano, fischiano. Un centinaio di agenti con le jeep e due auto-idranti presidiano la sede del sindacato socialdemocratico. La tensione aumenta rapidamente; in un bar vicino, due sindacalisti Uil, riconosciuti, vengono picchiati; sono messi in salvo a fatica; volano le prime pietre contro le finestre del sindacato. Il numero di dimostranti aumenta, così la tensione e gli scontri. Inizia una vera e propria battaglia che si protrarrà  senza momenti di sosta fino alle 4 di mattina del giorno dopo. Tra le  21,30 e le 23 c'è abbastanza calma e la polizia ne approfitta per far evacuare i dirigenti Uil dalla sede in cui sono asserragliati da ormai otto ore; travestiti da  dimostranti: ognuno su di una camionetta in mezzo a tre poliziotti a forte velocità verso la "centrale".
La domenica alle 11 piazza Statuto è affollata da centinaia di operai, qualche tensione, ma sostanzialmente la situazione è più calma. Come la notte che scorre tranquilla, con la piazza presidiata da un enorme schieramento di polizia e carabinieri arrivati dal Veneto, dall'Emilia e dalle altre province piemontesi, anche in vista dello sciopero di lunedì.
L'indomani, però, davanti ai cancelli delle fabbriche, di operai ce ne sono ben pochi; solo polizia carabinieri e sindacalisti di professione. Le direzioni di tutte le aziende, sull'esempio della Fiat, hanno invitato i lavoratori a restare a casa. I sindacati non sono stati da meno: Cgil e Cisl hanno sospeso ogni tipo di manifestazione e in particolare la Uil "ha invitato tutti i lavoratori a proseguire lo sciopero restando però a casa e lasciando l'azione di picchettaggio davanti alle fabbriche ai responsabili e agli attivisti sindacali". Il bilancio complessivo dei tre giorni di scontri, come lo riporta la cronaca, è questo: 1215 fermati, 90 arrestati e rinviati a giudizio per direttissima, un centinaio i denunciati a piede libero; 169 i feriti fra le forze dell'ordine. Per quanto riguarda i dimostranti, La Stampa parla di 9 persone che sono costrette a ricorrere alle cure ospedaliere. Non dice che i feriti per le botte ricevute in fase di fermo, in Questura o nelle caserme, sono centinaia.
Finiva la rivolta di piazza Statuto, ma nulla nel movimento operaio sarà più come prima. La rivolta simultanea contro le dirigenze padronali e sindacali segnerà una svolta nella coscienza di quei giovani operai  immigrati - anima e braccia di quelle giornate – che qualche anno dopo daranno vita, a partire dall’autunno 1969, a una lunga stagione di lotte autorganizzate, autonome, lontane e contrarie alle gerarchie e alle logiche sindacali.

Autoproduzione

Noi intenderemo qui, per “autoproduzione”, ogni attività che degli individui, o dei gruppi, rinunciando volontariamente a ricorrere alle possibilità esistenti sul mercato, scelgano di svolgere con forze proprie per fruirne essi stessi, da soli o insieme con altri, ma sempre in uno spirito di gratuità e senza chiedere contraccambio alcuno.
Autoproduzione tradizionale e diffusissima è quella che si svolge ai margini delle metropoli negli orti abusivi, lungo la ferrovia e nei raccordi autostradali. 
Ma anche attività più complesse e meno alimentari, come i giornali, i cd, le fanzine, i manifesti, i volantini, sviluppati in proprio, con propri strumenti, magari assemblati senza passare per la cassa di alcun negozio. Affini all’autoproduzione sono il riciclaggio e l'autocostruzione, appunto, di strumenti informatici, elettronici, meccanici, di mobili, abiti, giocattoli, le mille soluzioni creative alla complessità delle esigenze e alla banalità delle soluzioni offerte dal bazar delle merci e delle bugie.
Si tratta di un fenomeno che, a mano a mano che il capitalismo convertiva in merce ogni possibile attività umana, è divenuto sempre meno funzionale agli equilibri sociali e perciò sempre meno accettato, con la conseguenza di essere crescentemente sospinto ai margini e anche oltre i margini della legge. Si pensi a tutte le regole igieniche e sanitarie, chiaramente concepite per definire igienico il veleno industriale e antigienico l’orto individuale; si pensi alle regole sul copyright, che praticamente considerano illegale tutto ciò che non nasce e muore in forma di merce; si pensi alle normative sulla sicurezza, che presuppongono la fabbrica come luogo “naturale” della produzione. Si impiantano orti su terreni demaniali non più utilizzati, si autocostruisce su aree spesso abbandonate e occupate abusivamente, ecc.
L’autoproduzione, comunque la si guardi, non riesce proprio ad essere legale: prima ancora che a causa dell’ostilità aperta dell’industria (che vi intuisce una concorrenza inafferrabile) e dello stato (che vi scorge un’evasione totale dal meccanismo fiscale), a causa della sua indefinibilità. È una materia su cui è impossibile legiferare validamente: è un terreno in cui, per definizione, ciascuno fa quel che gli pare.
L’autoproduzione è perciò, diciamolo pure, costitutivamente anarchica.

giovedì 22 ottobre 2015

Tutta la rabbia e l'amore presenti nel mio cuore

“Sono qui oggi per aver dato alle fiamme l'azienda produttrice di pellami Sheepskin Factory nel Glendale, nel Colorado, un'azienda che commercia pelli, pellicce ed altre esequie di animali scuoiati. So che molta gente pensa che dovrei sentirmi in colpa per quello che ho fatto. Immagino che questo sia il momento in cui si suppone dovrei strisciare implorando clemenza. Vi assicuro che se fosse quello che provo, lo farei. Ma non mi pento per nulla di ciò che ho fatto. Non sono minimamente intimorito dall'autorità di questa corte. Perché qualunque sistema legislativo privilegi i diritti degli oppressori su quelli degli oppressi, è un sistema ingiusto. E nonostante questa corte abbia un potere reale e tangibile, io metto in dubbio la sua moralità. Dubito che alla corte interessino tutte le precauzioni che ho adottato per evitare di ferire anima viva, figuriamoci poi se ha minimamente a cuore l'esistenza miserabile che pecore, mucche e visoni erano costretti a trascorrere nell'attesa di venire ammazzati, cosicché un'azienda del Colorado potesse trarre profitto dalla loro prigionia, dalla loro schiavitù, dalla loro uccisione. Ovviamente, ai proprietari ed agli impiegati dell'azienda in questione non interessa, altrimenti non avrebbero a che fare con un commercio sanguinoso e macabro come questo. Quindi non sprecherò fiato con chi è sordo, perché non vuole sentire. Questa è innanzitutto la ragione per cui ho deciso di agire al di fuori della legge, perché voi ve ne fregate. Non importa quante parole e quanti ragionamenti sprechiamo con voi, semplicemente non vi interessa. La prigione non è chissà quale punizione per me. In una società che antepone il denaro alla vita, considero un onore il fatto di essere prigioniero di guerra, una guerra contro la schiavitù interspecifica e contro la mercificazione! Non anteporremo mai gli interessi economici alla vita degli esseri senzienti! E non smetteremo mai di informare, protestare ed avversare i colpevoli della morte della nostra Madre Terra e delle sue Nazioni Animali. Fratelli e sorelle vegan, la nostra vita non ci appartiene. L'egoismo è il sentiero degli ingordi, pervertiti e dispensatori di ingiustizia. Si dice che tutto ciò che basta al male per vincere è che le persone buone non oppongano resistenza. Viceversa, quanto di necessario per fermare la schiavitù, l'uso, l'abuso e l'uccisione degli animali non umani è la determinazione a lottare per loro!
Tutta la rabbia e l'amore presenti nel mio cuore sono ancora vivi e palpitanti. Ogni qualvolta verrà liberato un animale e la sua gabbia sarà distrutta, il mio cuore batterà! Tutte le volte che un attivista si rifiuterà di chinare il capo davanti alle leggi che tutelano gli assassini, batterà! E batte ogni volta che il cielo della notte si illumina per le fiamme che sanciscono la rovina di un altro sfruttatore di animali! Questo è tutto, Vostro Onore, sono pronto ad andare in prigione.”


(Dichiarazione di Walter Bond alla corte di Glendale, nel Colorado).

OUR COUNTRY di John Mellencamp

Posso stare fianco a fianco
Di chi lotta per ideali che ritengo giusti
E posso stare fianco a fianco
Di chi ritiene dover stare in piedi e lottare
Credo
Ci sia un sogno per ciascuno
Questo è il nostro paese

C'è abbastanza spazio qui
Per la scienza della vita
E c'è abbastanza spazio qui
Per la religione del perdono
E per provare a capire
Tutta la gente di questa terra
Questo è il nostro paese

Dalla costa orientale
Fino alla costa occidentale
Giù per la Dixie Highway
e indietro fino a casa
Questo è il nostro paese

La povertà potrebbe essere
Solo un altra brutta cosa
E il bigottismo potrebbe essere
Visto solo come un'oscenità
E quelli che governano questa terra
Potrebbero aiutare il povero e l'uomo comune
Questo è il nostro paese

Dalla costa orientale
Fino alla costa occidentale
Giù per la Dixie Highway
e indietro fino a casa
Questo è il nostro paese

Il sogno è ancora vivo
E un giorno si avvererà
E questo paese appartiene
A gente come me e voi
Quindi lasciate che la voce di libertà
Canti sgorgando da questa terra
Questo è il nostro paese

Dalla costa orientale
Fino alla costa occidentale
Giù per la Dixie Highway
e indietro fino a casa
Questo è il nostro paese

Dalla costa orientale
Fino alla costa occidentale
Giù per la Dixie Highway
e indietro fino a casa
Questo è il nostro paese

IL MORBO DEL SINDACALISMO

Ogni movimento incontrollato in cui, per quanto embrionalmente, una critica sociale e culturale venga abbozzata, prova immediatamente il bisogno di definire un nuovo campo di significati e di affermare una nuova verità, ma il discorso del potere si installa nel cuore di ogni comunicazione, diventa la mediazione onnipresente e necessaria e riesce così a infiltrare, controllandolo dall’interno, ciò che lo contesta.
E così il sindacato diventa la  malattia paralizzante e mortale che colpisce un movimento di base fra i lavoratori allorché questo cessa di discutere senza intermediari tutto ciò che è discutibile, e di agire di conseguenza.
Il morbo raggiunge la virulenza in particolare allorché un simile movimento si rassegna ad abbandonare all’arbitrio del datore di lavoro – altrimenti detto leggi dell’economia – la definizione del contenuto e degli scopi della propria attività per ridursi a contrattarne il prezzo, l’orario e le condizioni esterne in genere (e, anche queste, più di diritto che di fatto). Sintomi evidenti del progredire della malattia sono, ad esempio: omettere, nel corso delle riunioni, di parlare per fare piuttosto degli interventi; preoccuparsi di dire, al posto di ciò che si vive e si pensa, ciò che ci si immagina viva e pensi il lavoratore medio; accettare che qualcuno pretenda di parlare a nome di altri da cui non abbia ricevuto un mandato imperativo, revocabile e verificabile; guardarsi bene dal porre avanti, nel movimento, le contraddizioni sociali ed umane di fondo che si vivono sulla propria pelle, tacendo, per giocare il gioco degli interessi, tutto ciò che a prima vista non sembra immediatamente passibile di soluzioni concrete; introiettare il principio del rispetto di tutte le compatibilità con ogni esigenza esistente eccetto che con le proprie.


ASSOLTO

"Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per i suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana.
A questo servivano le cesoie: a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta agli atti della mia conversazione telefonica. Allora si incrimina il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori.
Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata.
La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato"

giovedì 15 ottobre 2015

L’addomesticamento della vita

L’addomesticamento è il processo usato dalla civiltà per indottrinare e controllare la vita secondo la sua logica. Questi meccanismi di subordinazione collaudati nel tempo comprendono: la doma, l’allevamento selezionato, la modificazione genetica, l’addestramento, l’imprigionamento, l’intimidazione, la coercizione, l’estorsione, la speranza, il controllo, la schiavizzazione, il terrorismo, l’assassinio … l’elenco continua e comprende quasi tutte le interazioni sociali del mondo civile. Questi meccanismi e i loro effetti si possono osservare e percepire nell’intera società, e sono imposti attraverso istituzioni, riti e costumi. L’addomesticamento è anche il processo attraverso il quale popolazioni umane precedentemente nomadi passano a una esistenza sedentaria tramite l’agricoltura e la zootecnia. Questo tipo di addomesticamento comporta un rapporto totalitario sia con la terra che con le piante e gli animali da addomesticare. Se allo stato selvatico tutte le forme di vita condividono le risorse e competono per adoperarle, l’addomesticamento distrugge questo equilibrio. Il paesaggio addomesticato (per esempio i terreni tenuti a pascolo, i campi coltivati e, in minor misura l’orticultura e il giardinaggio) esige la fine della libera condivisione delle risorse che esisteva in precedenza: ciò che una volta era di tutti, adesso è mio.
Questa nozione di appropriazione gettò le fondamenta per la gerarchia sociale con la comparsa della proprietà e del potere.
Non solo l’addomesticamento trasforma l’ecologia da ordine libero a ordine totalitario, ma schiavizza anche tutte le specie addomesticate. In generale, quanto più un ambiente è controllato, tanto meno è sostenibile. L’addomesticamento degli stessi esseri umani richiede molte contropartite rispetto al modo di vita nomade basato sulla raccolta di ciò che si trova in natura. Merita rilevare che gran parte dei passaggi dal modo di vita  nomade all’addomesticamento non sono avvenuti autonomamente, ma sono stati imposti con la lama della spada o la canna del fucile. 

LA CASA SI PRENDE L’AFFITTO NON SI PAGA

A Torino, alle Vallette, a Milano, a Quarto Oggiaro, a Roma e a Napoli con i baraccati, la lotta autonoma di quartiere ha dimostrato cosa la classe operaia intende veramente per “riforma della casa”:
Occupare le case vuote
Non pagare l’affitto delle case abitate
Così mentre i sindacati contrattano con il governo per un “equo canone”, per il “blocco degli affitti” e soprattutto per inserire il loro potere nella Gescal e nello IACP, la classe operaia si organizza autonomamente nei quartieri per conquistarsi senza nessuna contrattazione i propri obiettivi di classe.
Nei quartieri si riversa in tal modo una lotta che, nata e sviluppata in fabbrica, individua i suoi fronti d’azione in tutti i luoghi e in tutti i momenti dello sfruttamento che il capitale organizza sulla classe operaia.
L’autonomia della lotta conquista quegli obiettivi che i sindacati balbettanti cercano di contrattare con i ministri. La strategia delle riforme, come il controllo delle lotte operaie a garanzia della “pace sociale” voluta dai padroni dopo la firma dei contratti, dopo essere saltata in fabbrica, va in pezzi anche nelle lotte dei quartieri.
Altro che “equo canone”, “blocco degli affitti”, “controllo sindacale degli enti”!
-equo per chi?
Tra sfruttatori e sfruttati non esistono rapporti economici e politici “equi”; lo sfruttamento è sempre sfruttamento anche se definito “equo”.
- ma quale blocco?
Bloccare l’affitto a 30-40.000 lire al mese vuol dire pigliare per il culo la gente.
- controllo sindacale?
Controllo sindacale, padronale e burocratico, sempre controllo è. Il problema è un altro: la classe operaia deve pagare con le trattenute sulla busta paga per una casa che solo pochi riusciranno ad avere, e quei pochi  dovranno pagarla un’altra volta, magari con un bell’affitto “bloccato” sulle 40.000 lire!
Allora che ci sia il sindacato e il P.C.I. a dirigere la Gescal e lo IACP può far comodo, appunto, al sindacato e al P.C.I., non agli operai.
Quando il proletariato si organizza autonomamente e occupa le case come a Torino, a Napoli, a Roma, oppure come a Quarto Oggiaro, dove metà popolazione (70.000 abitanti) non paga più l’affitto da più di un anno, ai padroni salta la mosca al naso e scatenano i pulotti: 500 poliziotti per sfrattare una famiglia a Quarto Oggiaro, per non parlare delle Vallette dove gli scontri dopo l’occupazione delle case sono durati un pomeriggio e una sera. Anche i sindacati e i partiti se ne hanno a male: come si permette la classe operaia di prendersi subito e direttamente quello che loro (i sindacati e il P.C.I.) gli avrebbero indicato come obiettivo di lunga, difficile e … perdente lotta riformistica!
Allora: dagli all’estremista, alla demagogia, alle teste calde!
Un discorso che la classe operaia capisce sempre meno.

(SINISTRA Proletaria, foglio di lotta del C.P.M. Giugno 1970)

Noi siamo per la descolarizzazione

Abbiamo cercato per generazioni di migliorare il mondo fornendo una quantità sempre maggiore di scolarizzazione, ma sinora lo sforzo non è andato a buon fine. Abbiamo invece scoperto che obbligare tutti i bambini ad arrampicarsi per una scala scolastica senza fine non serve a promuovere l’uguaglianza, ma favorisce fatalmente colui che parte per primo, in migliori condizioni di salute o piú preparato, che l’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto, e che il sapere trattato come merce, elargito in confezioni e considerato come proprietà privata, una volta acquisito, non può che essere sempre scarso. Ci si è improvvisamente resi conto che l’istruzione pubblica attuata mediante la scolarizzazione obbligatoria ha perso ogni legittimità sociale, pedagogica ed economica.
L’abolizione dell’istituzione scolastica quindi è divenuta inevitabile. Alla fine dell’era della scolarizzazione potrebbe seguire l'era di una scuola globale che solo per il nome si differenzierebbe da un manicomio globale o da un carcere globale e, dove istruzione, correzione e adattamento diverrebbero sinonimi. Lo sfacelo della scuola ci deve far guardare al di là della sua fine imminente, per valutare quelle che sono le alternative fondamentali. Se noi mettiamo i bambini di una certa età in gruppi di una trentina, sottoposti all’autorità di un insegnante ufficialmente abilitato, per 500, 1.000 o piú ore l’anno, dove il programma esplicito sia rivolto a inculcare i principi del fascismo, del liberalismo, del cattolicesimo, del socialismo o della liberazione, purché all’istituzione sia riconosciuto il potere di stabilire quali attività siano da considerare istruzione legittima. Non importa che lo scopo della scuola sia quello di produrre dei meccanici oppure dei medici, purché non si possa essere a pieno titolo cittadino o medico senza aver preso un diploma. Non fa differenza dove avvengano le riunioni – in un’autofficina, in un’assemblea legislativa o in un ospedale – purché valga il principio della frequenza. La cosa essenziale nel programma globale è che gli studenti imparino che l’istruzione ha valore se acquisita a scuola attraverso un processo di consumo graduato; che la misura del successo che l’individuo avrà nel mondo dipende dalla quantità di sapere che avrà acquistato; e che imparare cose sul mondo è piú importante che impararle dal mondo.
Noi siamo per la descolarizzazione della società che altro non è che una mutazione culturale, mediante la quale un popolo ricupera l’uso effettivo delle proprie libertà: la libertà di apprendere e di insegnare esercitata da uomini che sanno di essere nati liberi, non che vengono educati alla libertà…

giovedì 8 ottobre 2015

Abolizione delle leggi sui malati mentali

Noi stabiliamo che la psichiatria dato che non è disposta a rinunciare all'uso della forza, della coercizione e della violenza, è colpevole di crimini contro l'umanità: della deliberata distruzione di dignità, libertà e vita. Soprattutto attraverso la categorizzazione giuridica del "malato mentale" la quale consente una totale privazione dei diritti umani e civili, nonché delle leggi del diritto naturale.  Inoltre, la psichiatria non può ambire all'arte della cura avendo essa violato il Giuramento di Ippocrate attraverso un uso conscio di farmaci dannosi, i quali hanno causato l'epidemia mondiale di discinesia tardiva, e attraverso altri interventi che noi consideriamo torture: il ricovero coatto, la somministrazione forzata di farmaci, il letto di contenzione, l'elettroshock, tutte le forme di psicochirugia e di vincoli sanitari ambulatoriali.  Queste pratiche e quest'ideologia permisero agli psichiatri, durante il periodo nazista, l'estremismo del genocidio di massa sistematico degli internati con il pretesto della "cura".  La psichiatria non solo si rifiuta di deporre il potere ricevuto dallo Stato, bensì assume anche il ruolo di organo sociale di controllo ben retribuito e rispettato, nonché di forza di polizia internazionale per la condotta e la repressione delle devianze politiche e sociali.  Noi riteniamo la psichiatria colpevole di aver combinato potere esecutivo e immunità giudiziaria - la classica definizione dei Sistemi Totalitari. Esigiamo quindi l'abolizione delle leggi sui malati mentali come primo passo verso l'imputabilità sociale della psichiatria.

BESTIARIO SENZA NOME di Hans Arp

L’elefante è innamorato del millimetro

la lumaca è fiera
col copricapo d’oro
il cuoio calmo
il riso di flora
ed anche col suo fucile di gelatina

l’aquila ha gesti di vuoto presunto
la sua mammella rigurgita di lampi
il leone ha baffi
in puro gotico fiammeggiante
e scarpe pallide e purgate
come un neo-soldato
dopo una disfatta lunare

l’aragosta scende dall’asta
cambia la canna con una bacchetta
e risale col suo bastone
lungo il tronco dell’albero

la mosca con uno sguardo enfatico
riposa il naso su uno zampillo d’acqua

la vacca prende il sentiero della cartapecora
che si perde in un libro di carne
ogni pelo del libro
pesa una libra

il serpente sobbalza con prudore e prudore
attorno a bacinelle d’amore
colme di cuori trafitti

il pavone impagliato
diventa un pavone impapagliato

l’usignolo fratello della sfinge
innaffia stomaci cuori cervelli e trippe
cioè gigli rose garofani e lillà

la pulce si mette il piede sinistro
dietro l’orecchio destro
e la sua mano sinistra nella mano destra
e salta sul piede sinistro
sopra il suo orecchio destro

Per una Società libera

Nella società industriale dello sviluppo ad ogni costo la concentrazione di popolazioni massificate in spazi asfaltati e urbanizzati, le conurbazioni, sottomesse a una classe dominante alquanto mobile e gerarchizzata, ha bisogno di un apparato di potere complesso e rafforzato, una sofisticata megamacchina. Nei periodi di transizione il mantenimento delle condizioni essenziali al capitalismo costringe lo Stato non solo a sacrificare la politica autonoma ma anche a ridurre il personale burocratico, di modo che risulti infondata l’alternativa tra uno Stato democratico che trabocca di rappresentanti e un altro autoritario in cui le cariche arbitrarie siano cumulative. In una società schiava dei mercati lo Stato non ha altra scelta che quella di diventare creditore o debitore: l’uno può nascondersi dietro un’immagine più democratica quando si tratta di imporre le misure terroristiche necessarie al buon funzionamento dell’economia;  l’altro deve piegarsi agli ordini di istanze esterne dettate da uno Stato più potente, come ad esmpio la Germania.
Al contrario, una società libera dai condizionamenti politici, quindi emancipata tanto dallo Stato quanto dal mercato. È una società senza cariche elettive, senza decisori né assessori, senza dirigenti né esperti, che deve funzionare al di fuori della politica professionale e dell’economia divenuta autonoma. Questo significa che deve ricreare al suo interno le condizioni non capitaliste sufficienti a garantire delle modalità di funzionamento democratico orizzontale abbastanza solide da rendere possibile un’esistenza senza capitale né Stato. Per citare Proudhon, essa deve: ”trovare una forma di transazione che, riducendo a unità la divergenza degli interessi, identificando il bene particolare e il bene generale, cancellando la diseguaglianza della natura per mezzo dell’educazione, risolva tutte le contraddizioni politiche ed economiche; in cui ogni individuo sia ugualmente e sinonimicamente produttore e consumatore, cittadino e principe, amministratore e amministrato; in cui la sua libertà aumenti sempre, senza che egli debba mai alienare nulla; in cui il suo benessere cresca indefinitamente, senza che egli possa subire, da parte della Società e dei suoi concittadini alcun pregiudizio, né nella sua proprietà, né nel suo lavoro, né nel suo reddito, né nei suoi rapporti d’interesse, di opinione e di affetto verso i suoi simili”.

giovedì 1 ottobre 2015

Ridefinizione della lotta di classe

Parliamo di ridefinizione perché siamo preceduti da una definizione della conflittualità storica, alla quale nel periodo pre-imperiale si rapportava ogni destino: la lotta di classe. Questa definizione non è più operativa. Essa condanna alla paralisi, alla malafede e alla chiacchiera. Nel corso di un’altra epoca, non si può scatenare alcuna guerra, nessuna vita può essere vissuta. Per continuare la lotta, oggi, occorre liquidare la nozione di classe e, con essa, tutto il corteo di origini certificate, di sociologismi rassicuranti, di protesi identitarie. La nozione di classe, oggi, può servire tutt’al più a sciacquettare nel bagnetto di nevrosi, separazione e accusa continua con il quale, ci si diletta così morbosamente e da così tanto tempo in tutti gli ambienti della intellighenzia chic. 
La conflittualità storica non oppone più due ammassi molari, due classi, gli sfruttati e gli sfruttatori, i dominanti e i dominati, i dirigenti e gli esecutori, tra i quali è possibile collocare ogni caso individuale. La linea del fronte, che non passa più nel bel mezzo della società, passa ormai nel bel mezzo di ciascuno, tra ciò che fa di ognuno un cittadino, i suoi predicati e il resto. Inoltre, in ogni ambiente si scatena la guerra tra la socializzazione imperiale e ciò che fin d’ora le sfugge. Un processo rivoluzionario può avere inizio da qualunque punto del tessuto biopolitico, da qualunque situazione singolare, accentuando fino alla rottura la linea di fuga che l’attraversa. Nella misura in cui intervengono tali processi, tali rotture, c’è un piano di consistenza comune, quello della sovversione anti-imperiale. 
Ciò che fa la generalità della lotta è lo stesso sistema di potere, tutte le forme di esercizio e di applicazione del potere.
Far parte di un movimento rivoluzionario significa a grandi linee fissare le forme di vita nella loro diversità, intensificare, rendere più complesse le relazioni, elaborare tra noi nel modo più libertario possibile la distruzione di questa società.

SPIDER di David Cronenberg

Chi è Spider? Il nomignolo di Spider risale all'infanzia del protagonista, datogli dalla madre a causa della sua mania di tessere nella sua camera una grande ragnatela di tessuto. Nel passato la ragnatela servirà a Spider per proteggersi dal mondo che lo aspetta al di fuori della sua camera, nel presente gli servirà a catturare e imprigionare i suoi frammenti di ricordi. Citando Aitareya Upanisad "Noi siamo come il ragno. Tessiamo la nostra vita e poi ci muoviamo lungo essa. Siamo come il sognatore che sogna e poi vive nel suo sogno”.
Spider è un genietto di otto anni che costruisce ragnatele per fermare l’attimo fuggente e difendersi dall’ineluttabile panta rei (il tempo che scorre). Spider è un uomo di circa quarant’anni che,  dimesso dall’ospedale psichiatrico, cerca e ritrova il proprio passato in un quartiere periferico di Londra. Spider è un bambino che, in preda al complesso edipico, non riesce ad accettare che la madre ami lui ma anche il padre, e in maniera piuttosto diversa. Spider è un adulto disturbato che annota tutto il proprio passato su un block-notes in un linguaggio che è, a noi indecifrabile. Spider ha, da bambino, paura e timore del padre.
Spider rivede la madre nell’anziana istitutrice che dovrebbe aiutarlo a reinserirsi nella vita normale. Spider si sdraia in posizione fetale nella vasca, immerso nell’acqua, alla ricerca dell’utero materno. Spider detesta la "meretrice" che sottrarrà al padre e a lui stesso il caldo abbraccio della madre. Spider sa che il padre ha ucciso la madre in un momento di animalesco abbandono. Spider è consapevole che il gas, in tutta la faccenda, ha giocato un ruolo primario. Spider è uno psicopatico che ci racconta le tragedie che hanno costellato la sua esistenza, snocciolandole a morsichi e bocconi, tra un’apertura e l’altra della preziosa valigetta che conserva il "tesoro". Spider ha poche certezze: quattro camice indossate una sopra all’altra, un giro di spago che blocca un pezzo di cartone, le immancabili sigarette. E poi solo i ricordi. 
Spider si rivela un film magnifico, duro e freddo come una necroscopia, senza speranza ne soluzioni. Ispirato all'omonimo romanzo di Patrick McGrath, Spider tratteggia con rara potenza una metafora sull’ambiguità della narrazione cinematografica. Il virus, concetto caro a Cronenberg, qui è quello della follia, che sconvolge il meccanismo del racconto, stabilisce compresenze paradossali (lo Spider piccolo e grande che dividono le stesse inquadrature), rende impossibile ogni ricostruzione, ogni “spiegazione” definitiva. Un film che è una formidabile tela di ragno. L’intento dichiarato di Cronenberg e di McGrath era quello di riuscire a rappresentare, condizione umana quasi irrappresentabile, dall’interno della stessa, dal fondo delle sue oscure fondamenta, dal punto di vista dei suoi insondabili rebus.
Spider non è (solo) la troppo lineare messa in scena di un percorso di rievocazione, su basi psicoanalitiche, della follia di un uomo. Piuttosto è il salto in un cinema in cui la tensione e l'inquietudine derivano dal contrasto tra una lucidità che è coscienza completa di sé, dei propri mezzi di messa in scena e della storia narrata, e il sentimento istintivo e acuto provocato dalla distorsione sotterranea della realtà filtrata attraverso la tela della malattia, fatta di corde tese e ben in vista nella stanza, per le scale e fino alla cucina. Ma la cui razionale geometria nasconde un tragico ed ingenuo progetto di morte.



La domesticazione sociale

La pratica dell'agricoltura è per l'uomo una attività culturale recente. Questo non vale per alcune specie di formiche, che si coltivano nei loro giardini funghi e lieviti e non esitano a ricorrere ad alcune forme di concime per accrescere il rendimento del terreno. Lo stesso discorso vale per la domesticazione, giacchè esse proteggono il loro bestiame, che appare anche diversificato, considerato che spazia da alcune specie di pulci parassite delle piante alle coccinelle. Se poi intendiamo l'accudire come un prendersi cura di, questi insetti accarezzano il loro bestiame con le loro antenne per stimolare l'emissione di sostanze zuccherate e lo ricoverano nei loro formicai durante la brutta stagione. Tanto basta a sollevare un sospetto, che l'uomo non abbia fatto altro che re-inventare e devolvere queste pratiche per emulazione. Del resto, molte specie animali, come i lupi, hanno imparato a convivere con gli errori di caccia dell'uomo, così come questi ha appreso, dal fatto di sputare i noccioli dei frutti, la possibilità di allargare certe culture, visti i risultati accidentali. Per questo ed altre ragioni ancora, va notato come, di recente, molti studiosi abbiano definito la condizione dell'uomo cacciatore-raccoglitore più evoluta dell'uomo prigioniero della sua modernità. Da secoli i boscimani hanno la consapevolezza di poter resistere alla fame, considerato che nel corso dei secoli hanno selezionato nel loro ambiente molte dozzine di piante commestibili. La stessa cosa non si può dire per i civilizzati e cattolici irlandesi quando, nel 1840, una malattia devastò le loro culture di patate, condannandoli alla fame e alla morte, nonostante il fatto che Jonathan Swift avesse loro qualche tempo prima modestamente proposto il ricorso all'antropofagia.
La lunga marcia verso il progresso ha perso la sua poesia con la scoperta che la Terra non è il centro dell'universo, ciò non toglie che questa marcia abbia compiuto dei passi decisivi con l'agricoltura e la domesticazione animale. Alla agricoltura dobbiamo la crescita della produzione di cibo, al suo stoccaggio, l'origine della ineguaglianza sociale, la discriminazione sessuale, le malattie e, soprattutto il sorgere del dispotismo.