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giovedì 25 giugno 2015

Della domesticazione

Nessuno può restare indifferente davanti all'intollerabile sproporzione che esiste tra il numero di quanti comandano e di coloro che ubbidiscono. Allo stesso modo, nessuno può sottovalutare la violenza sempre più devastante delle moderne forme di sopruso e il moltiplicarsi degli inganni della domesticazione sociale, che i primi infliggono ai secondi. Perché non sono più le configurazioni politiche ed economiche dell'impero dei capitali quelle che contano, ma le ragioni segrete che lo hanno inverato, che ora lo proteggono dal doverle rivelare. Ragioni che smentiscono ogni sogno rivoluzionario degli ubbidienti, infangando la loro storia.  Quanto ai risultati, è sufficiente riflettere sul crepuscolo della nuda vita e sulla efficacia delle forme di corruzione della società introdotte dall'idealismo nella società spettacolare, un regno che ha fatto del profitto un dio. Ma c'è che ha dedicato altari alla peste. C'è chi denunciò questa sproporzione - questo stato di eccezione della nuda vita - era tanto convinto della grossolana e disonorevole ingiustizia contenuta in essa, che non volle pronunciare nessuna esortazione al popolo affinché si liberasse dal tiranno. Sarebbe stato superfluo, considerati che, perché tutti gli uomini si lascino assoggettare è necessario una delle due: essere costretto o ingannati. Appuntò, piuttosto, la sua attenzione sull'evidenza infamante della condizione di sudditi, una condizione educativa più di qualunque appello alla rivolta recitata dai tribuni di turno, di per sé, uno stimolo potente a riprendersi la libertà adesso, rifiutando qualsiasi consolatoria visione di future e ideali forme di governo. Una esortazione che nella storia europea è progressivamente caduta nel vuoto, almeno da quando l'individuo civilizzato è divenuto una preda dell'insieme delle consuetudini e delle abitudini che determinano la vita corrente.

Per organizzarci


Molti segni indicano oggi che il divario tra la condizione di vita dei proletari e la ricchezza dei loro bisogni, tra l'oppressione del controllo sociale e la qualità dei comportamenti autonomi di lotta, si è approfondito ed esteso in maniera irreversibile. 
Al punto in cui siamo non si può restare fermi. Occorre che la ribellione sociale, già consolidatasi in alcuni settori di classe, si arricchisca degli strumenti organizzativi necessari a far fronte adeguatamente al processo di ristrutturazione statuale e padronale. 
L'urgenza, la qualità e le forme del processo organizzativo si presentano, a nostro avviso, come la questione cruciale di questa nuova stagione politica.
Su questo tema la discussione interna al movimento ed anche all'area dell'Autonomia Operaia organizzata, si è andata approfondendo già prima dell'estate rispetto ai problemi posti, ma non risolti, dal movimento del '77; sia rispetto a quelli connessi al caso Moro e sia rispetto al progressivo diffondersi di comportamenti autonomi dal sindacato tra i lavoratori occupati. 
Le stesse analisi fatte da riviste come Controinformazione e Primo Maggio, che introducono nuovi (per loro) elementi di valutazione teorica sull’autonomia operaia e con le quali riteniamo giusto intraprendere un dibattito a partire dai prossimi numeri, testimoniano dell'attualita di questo tema. Ma l'analisi dell'autonomia e dei suoi comportamenti, così come l'analisi della ristrutturazione del capitale, non bastano se di pari passo non si avvia concretamente il processo organizzativo. 

Occorre, per essere più espliciti, chiarire che cosa fare e come farlo, per uscire tanto dalle secche del qualunquismo di sinistra generato principalmente da Lotta Continua, quanto per superare la vocazione minoritaria dimostrata da alcune componenti dell'Autonomia Operaia come Rosso e Senza Tregua.
 E’ questo un impegno a cui, da oltre un anno, ci siamo dedicati unitamente ai compagni di altre situazioni organizzate dell'Autonomia Operaia del Nord e del Sud. La proposta che facciamo, quindi, il Movimento dell'Autonomia Operaia, è la risultante di questo sforzo collettivo e intendiamo metterla in discussione nel movimento per verificarla ed arricchirla dei contributi che, Collettivi o singoli compagni, riterranno di dare, fino ad approssimarne sempre più le tappe della sua realizzazione attraverso momenti di confronto su temi specifici e generali, quali certamente, ma non esclusivamente, il Convegno Operaio a Ottobre e l’Assemblea nazionale a Novembre che, come scrivevamo nel numero cinque del giornale, e tutta da costruire. 
Per assolvere a questo compito "I Volsci" diventeranno meno "romani" e si arricchiranno dei contributi di tutte le popolazioni barbare del territorio nazionale, non per fare del giornale il "portavoce dell'organizzazione", ma per renderlo uno strumento adatto alla sua promozione. 

(Tratto da: I VOLSCI, N°6, mensile dell’Autonomia Operaia, ottobre 1978)

Spontaneità e dittatura

Noi rivoluzionari-anarchici, fautori dell'istruzione generale del popolo, dell'emancipazione e del più vasto sviluppo della vita sociale e di conseguenza nemici dello Stato e di ogni statalizzazione, affermiamo, in opposizione a tutti i metafisici, ai positivisti e a tutti gli adoratori scienziati o no della scienza deificata, che la vita naturale precede sempre il pensiero, il quale è solo una delle sue funzioni, ma non sarà mai il risultato del pensiero; che essa si sviluppa a partire dalla sua propria insondabile profondità attraverso una successione di fatti diversi e mai con una serie di riflessi astratti e che questi ultimi, prodotti sempre dalla vita, che a sua volta non ne è mai prodotta, indicano soltanto come pietre miliari la sua direzione e le varie fasi della sua evoluzione propria e indipendente.
In conformità con queste convinzioni noi non solo non abbiamo l'intenzione né la minima velleità di imporre al nostro popolo, o a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o inventato da noi stessi ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati dalla loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo deve, per la sua medesima essenza e per la sua posizione fuori del popolo o sopra di esso, deve necessariamente mirare a subordinarlo a un'organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di un'organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando, organizzandosi dal basso in alto per mezzo di associazioni indipendenti e assolutamente libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti, creerà esso stesso la propria vita.
Queste sono le convinzioni dei socialisti rivoluzionari e per questo ci chiamano anarchici. Noi non protestiamo contro questa definizione perché siamo realmente nemici di ogni autorità, perché sappiamo che il potere corrompe sia coloro che ne sono investiti che coloro i quali devono soggiacervi. Sotto la sua nefasta influenza gli uni si trasformano in despoti ambiziosi e avidi, in sfruttatori della società in favore della propria persona o casta, gli altri in schiavi.
(M. Bakunin da "Stato e Anarchia", 1873)

giovedì 18 giugno 2015

L’ecologia sociale di Murray Bookchin

Nell’ecologia sociale di Bookchin spicca in particolare il suo considerare il dominio dell’uomo sulla natura il risultato di una degenerazione avvenuta nel corso della storia dell’umanità che portò, attraverso complicati spostamenti, da una società egualitaria (e in perfetta simbiosi con la natura) ad una basata sul dominio dell’uomo sull’uomo, pervasa dal dualismo, dal conflitto, dall’ostilità nei confronti di ogni «alterità». In tal senso la dissennata distruzione delle risorse ambientali non sarebbe che il prodotto di una razionalità strumentale e manipolativa che ha la sua origine nei rapporti sociali. Il dominio dell’uomo sull’uomo precede così, per Bookchin, quello dell’uomo sulla natura e ne è la causa.
Alla luce di ciò l’ecologia non può che essere ecologia sociale, attenta cioè innanzitutto a «depurare» i rapporti sociali da ogni forma di costrizione o di gerarchia e a valorizzare invece al loro interno la varietà, la simbiosi, la libertà. È la natura stessa, secondo Bookchin, a fornire all’umanità le indicazioni per la creazione di un’etica autenticamente ecologica.
La risoluzione della crisi ambientale deve passare attraverso il riconoscimento da parte dell’uomo di essere natura fattasi autocosciente e capace di scelta. Di essere in grado cioè di continuare, non più sulla base di «leggi necessarie» (come nel mondo inorganico) o, della determinazione istintuale (come nel mondo animale), ma appunto per libera scelta, la tendenza dell’evoluzione naturale verso la complessità delle forme di vita e delle interazioni, di cui l’homo sapiens è fin qui il più alto prodotto.
L’ecologia sociale di Bookchin racchiude una serie di concezioni che imprimono una direzione utopica e radicale al dibattito sulle tematiche ambientali e culturali. Essa si caratterizza dunque per una precisa scelta di campo che conduce Bookchin a considerare la crisi ecologica non già un problema congiunturale risolvibile con più o meno semplici riaggiustamenti quantitativi all’interno del sistema vigente, ma una crisi strutturale per superare la quale occorre creare una nuova cultura, fondare nuovi valori. Gli esiti degli sforzi di Bookchin appaiono stremamente interessanti. Ciò soprattutto per quanto concerne la ricostruzione della genesi e dello sviluppo storico delle strutture di dominio istituzionali e culturali che oggi permeano i rapporti sociali ed economici. La stessa concezione dell’evoluzione naturale, per quanto inevitabilmente fondata in modo metafisico, fissa una serie di principi euristicamente fecondi e preziosi per superare alcune delle difficoltà fondamentali del pensiero contemporaneo. Si pensi in particolare al dualismo natura-umanità, biologia-società, necessità-libertà. Da ciò deriva una posizione filosofica in grado di riconoscere all’umanità prerogative assolutamente uniche, ma non aliene, all’interno del panorama naturale, non per questo però intenzionata ad attribuire alla natura un ruolo di pura resextensa, di puro «magazzino degli utensili » a disposizione dell’uomo.

BELLY BUTTON WINDOW di Jimi Hendrix

Sono qui, in questo  grembo e guardo intorno
guardo dalla mia finestra ombelicale
e vedo molti cipigli intorno
e mi chiedo se non è perché non vogliono
che io nasca.
Cos’è questa confusione
qual è l’inclinazione?
Se non mi vogliono questa volta
sarò contento di tornare indietro
nella terra dello Spirito.
E di riposare prima di riscendere di nuovo il canale
l’ultima volta, ricordo bene,
mi stavano dando la caccia
allora se non mi volete ora, prendere o lasciare,
avete ancora 200 giorni per pensarci
perché non ho intenzione di tornare per questa strada
troppo spesso.
Sapete che ci sono pillole, fremiti e spinte,
ma penso che ora sia troppo tardi.
Allora entrerò in questo mondo,
papà, senza curarmi dell’amore e dell’odio
siederò nel tuo letto, mamma,
e farò smorfie davanti al tuo viso
mangerò tutti i vostri cioccolatini,
e spero di non essere in ritardo.
Se ci sono problemi, prendete una decisione
Dovete prendere o lasciare,
i problemi nella vostra mente
prendere o lasciare,
avete solo 200 giorni.
Qui, in questo grembo guardo tutt’intorno. 
Lei lo sta pedinando ed io guardo
dalla mia finestra ombelicale
e mi chiedo se mi vogliono in giro …

Le strutture della modernità sono sempre repressive

C'è un modo di essere comunisti che non deriva dal sapere delle scienza sociali, nè dall'assalto della classe degli sfruttati ai bastioni del Capitale, provvede la vita corrente.
E' un costume inebriante di vivere il proprio tempo, spesso nella forma di un'avventura, sempre nelle vesti di una tragedia.
L'esperienza ha mostrato che questa avventura, finora, non è mai durata più di quanto duri un sogno, con il quale, per altro, condivide certi poteri, terrorizza i nemici e i cativi compagni di strada, spaventa i dogmatici, rovescia le tavole delle ideologie e le illuminate illusioni della borghesia.
Questa materna epifania della storia dell'uomo è quella che porta all'espressione più alta del vissuto, è quella che salda e dà un senso a tutte le passioni, anche le scellerate. Essa non consente mediazioni nè ritorni alle posizioni di partenza, così, gli eletti sono le sue vittime, destinati al massacro perchè la ferocia degli idealismi, nessuno  escluso, da quelli che diffondono la peste religiosa a quelli che si piegano ai meriti delle democrazie borghesi e alla signoria delle armi,  non lasciano scampo.
E' successo a parigi nel 1871, a Monaco e a Budapest, nel 1919, a Kronshtadt, nel 1921. Questa ultima avventura, in particolare, è stata la più breve e la più crudele delle primavere della rivolta. Diciotto giorni appena.
In ogni caso, dallo sventurato destino della Comune di Kronshtadt ne è derivata una lezione importante per i suoi figli, le strutture della modernità sono sempre e inevitabilmente repressive, non importa il credo che le anima. A Parigi, come a Pietrogrado, come a Barcellona, Varsavia e ancora a Budapest, i versaillesi sono puntualmente dietro l'angolo, nell'ombra, ad affilare i coltelli. Nascosti e protetti dietro l'oscuro e vuoto spazio da cui la forma di capitale gestisce le strutture irrazionali che governano lo spettacolo della politica e la lebbra della alienazione sociale, questo lievito che muta la vita corrente in merce.

giovedì 11 giugno 2015

Moltiplicare le zone d'ombra


Creare dei territori. Moltiplicare le zone d’ombra.  Sempre più riformisti oggi convengono sul fatto che avvicinandosi al  peak oil e per ridurre le emissioni di gas bisogna rilocalizzare  l’economia, favorire le produzioni regionali, i circuiti brevi della  distribuzione, rinunciare alla facilità delle importazioni da paesi lontani  ecc. Quello che dimenticano è che la specificità economica di tutto ciò  che si fa localmente è commerciare in nero, in maniera informale; che  questa semplice misura ecologica di ri-localizzazione economica implica  niente meno che l’affrancamento dal controllo statale, o la sottomissione senza riserve.  Il territorio attuale è stato prodotto da secoli di operazioni poliziesche. Abbiamo cacciato i popoli fuori dalle loro campagne, poi fuori dalle loro  strade, poi fuori dai loro quartieri e infine fuori dai cortili delle loro case, nella speranza demente di contenere tutta una vita nelle quattro mura sudaticce  del privato. per noi la questione del territorio non si pone come per lo Stato. Non si tratta di tenerselo. Si tratta di intensificare  localmente le comuni, le circolazioni e la solidarietà fino al punto in cui il  territorio diventi illeggibile, opaco per ogni autorità. Non è questione di occupare, ma di essere il territorio.  Ogni pratica fa esistere un territorio - territorio di spaccio o di  caccia, territorio di gioco per bambini, di innamorati o di sommossa, territorio del  contadino, dell’ornitologo o dello sfaccendato. La regola è semplice: più esistono territori che si posizionano su una zona  data, più c’è una circolazione fra loro, meno il potere fa presa.  Bistrots, stamperie, palestre, campi incolti, infoshops, mercati  improvvisati, kebab, garages, possono sfuggire facilmente alla loro  vocazione ufficiale per lasciare spazio alle complicità possibili.
L’autorganizzazione locale, imponendo la propria geografia alla  cartografia statale, la brucia, la annulla; produce la sua stessa secessione.

ADOLESCENTE di Vladimir Majakovskij

Per i ragazzi c'è un sacco di roba da studiare.
S'insegna la grammatica a scemi d'ambo i sessi.
A me invece
m'hanno scacciato dalla quinta classe.
Hanno cominciato a sbattermi nelle prigioni di Mosca.
Nel vostro
piccolo mondo
di appartamenti
crescono ricciute liriche per le camere da letto.
Che vuoi trovarci in queste liriche da cani pechinesi?
A me, per esempio,
ad amare
l'hanno insegnato
nelle carceri di Butyrki.
M'importa assai della nostalgia per il bosco di Boulogne,
e dei sospiri davanti ai panorami marini!
Io, ecco,
m'innamorai
dallo spioncino della cella 103,
di fronte alla "Impresa pompe funebri".
Chi vede tutti i giorni il sole
dice con sufficienza:
"Cosa saranno mai quei quattro raggi"!
Ma io
per un giallo illuminello
sopra un muro
avrei dato allora qualunque cosa al mondo.

La limitatezza della nostra fantasia di Maria Luisa Berneri

La nostra è un’epoca di compromessi, di mezze misure, di male minore. I visionari vengono derisi o disprezzati e “gli uomini pratici” governano la nostra vita. Non cerchiamo più soluzioni radicali ai mali della società, ma miglioramenti; non cerchiamo più di abolire la guerra, ma di evitarla per un periodo di qualche anno; non cerchiamo di abolire il crimine, ma ci accontentiamo di riforme penali; non tentiamo di abolire la fame, ma fondiamo organizzazioni mondiali di carità. In un’epoca in cui l’uomo è tanto attirato da ciò che è realizzabile e suscettibile di immediata realizzazione, potrebbe essere salutare esercizio rivolgerci agli uomini che han sognato Utopie, che hanno respinto tutto ciò che non corrispondeva al loro ideale di perfezione. 
Spesso ci sentiamo umili quando leggiamo di questi Stati e di queste città ideali, perché comprendiamo la modestia delle nostre rivendicazioni e la limitatezza della nostra fantasia. Zenone predicava l’internazionalismo, Platone riconosceva l’uguaglianza tra uomini e donne, Tommaso Moro percepiva chiaramente il rapporto tra povertà e crimine che viene negato persino ai giorni nostri. All’inizio del XVII secolo, Campanella auspicava la giornata lavorativa di quattro ore e il predicatore tedesco Andreä parlava di lavoro gradevole e proponeva un sistema di educazione che potrebbe servire da modello ancora oggi. 
Troveremo la condanna della proprietà privata, il denaro ed il salario considerati immorali o irrazionali, la solidarietà umana accettata come cosa ovvia. Tutte queste idee che potrebbero essere ritenute temerarie oggi, vennero avanzate allora con una sicurezza che dimostra come, nonostante non venissero in genere accettate, nondimeno fossero immediatamente comprese. Alla fine del XVII e nel XVIII secolo, ritroviamo idee ancor più sorprendenti e audaci riguardo alla religione, ai rapporti sessuali, alla natura del governo e della legge. Siamo talmente abituati a pensare che i movimenti progressisti abbiano avuto inizio col XIX secolo, che ci stupiamo di vedere che la degenerazione del pensiero utopico comincia proprio allora. Le utopie, in genere, diventano timorose; la proprietà privata e il denaro vengono spesso giudicati necessari; gli uomini devono considerarsi felici a lavorare otto ore al giorno e non c’è nemmeno da pensare alla possibilità che il loro lavoro sia attraente. Le donne son sottoposte alla tutela dei loro mariti e i figli a quella del padre. Ma prima che le utopie venissero contaminate dallo spirito “realista” del nostro tempo, esse fiorirono con una varietà ed una ricchezza che ci fanno dubitare nella validità della nostra pretesa di aver ottenuto qualche avanzamento nel progresso sociale. 
Ciò non significa che tutte le utopie siano state rivoluzionarie e progressiste: la maggior parte di esse hanno avuto queste due qualità, ma poche sono state completamente rivoluzionarie. Gli scrittori utopistici furono rivoluzionari quando auspicavano una comunità di beni al tempo in cui la proprietà privata era ritenuta sacra, il diritto per ogni individuo di sfamarsi quando i mendicanti venivano impiccati, la parità delle donne quando queste erano considerate poco più che schiave, la dignità del lavoro manuale quando esso veniva ritenuto ed era reso un’occupazione degradante, il diritto di ogni bambino ad una infanzia felice e ad una buona istruzione quando questo era riservato ai figli dei nobili e dei ricchi. Tutto ciò ha contribuito a rendere la parola “Utopia” sinonimo di una forma felice e desiderabile di società. Utopia, a questo riguardo, rappresenta il bisogno degli uomini alla felicità, il loro segreto desiderio dell’Età dell’Oro, o, come altri l’immaginavano, del Paradiso perduto. 

giovedì 4 giugno 2015

L’illusione della libertà in RETE

La Rete avvolge il pianeta in un intreccio di informazione e comunicazione, un insieme di connessioni senza limiti e senza interruzioni. Assistiamo ad una frammentazione di infiniti dati, quindi: non più apprendere, ma documentarsi, non più studiare ma consultare, non più organizzare il sapere intorno a concetti e idee di fondo, ma accumulare dati relativi a parole chiave.
Si tratta, in poche parole, di ritrovarsi a gestire passivamente un grande flusso di notizie, volute solo apparentemente dai consumatori, ma strutturalmente definite secondo le strategie di mercato dei grandi gruppi economici, i quali mirano a rendere la comunicazione umana un mezzo prettamente adatto a promuovere un rapporto consumistico e tipicamente operativo con il mondo. Pertanto se la comunicazione viene ottenuta in base alla diffusione del consumismo inerente alla pubblicità della società delle immagini, la percezione della realtà finisce per uniformarsi in modo unidimensionale a quella massa di dati che vengono opportunamente filtrati e manipolati dal potere, mediante programmi adatti a svolgere quel tipo di elaborazione.
La Rete permette anche di realizzare quell'idea di assemblea permanente che è sempre stata parte integrante della pratica utopica anarchica; la rete permette di implementare un’organizzazione autonoma che sia in grado di prendere decisioni, di gestire i processi in atto e, al tempo stesso di non costituirsi in apparato strutturato di potere con gerarchie stabilite e lo fa per mezzo di una comunicazione elettronica orizzontale e di tecnologie che proprio perché sono tecnologie di individualizzazione e di autonomia alcuni le considerano tecnologie di libertà; questo non significa tuttavia che le tecnologie di per sé, producano libertà, producano autonomia.
Bisogna infatti essere ben consapevoli che gli stessi strumenti  che potenzialmente ampliano gli spazi di libertà sono anche utilizzati per la repressione e per un controllo accurato e costante sugli individui e sulle popolazioni. Due fonti di informazioni ormai pervasive, che ci portiamo tutti appresso e che forniscono dati fondamentali sulla nostra vita, sono la carta di credito e il cellulare, il quale continua a inviare dati sulla localizzazione e sui movimenti anche quando il telefono è spento. L’informatica pervasiva del sociale delinea in questo modo il rischio di un vero e proprio neo-totalitarismo. Bisogna riflettere criticamente allo scopo di comprendere una dinamica che è da sempre presente nella complessità delle strutture umane ma alla quale internet offre l’evidenza del quotidiano, il fatto che anche strutture orizzontali possono essere e diventare strutture di potere che funzionano ancor meglio di quelle gerarchiche.  Ricordiamoci sempre che il potere sta nella mente delle persone, e se controlli il modo in cui la gente si informa e comunica allora controlli il potere. Il dominio degli apparati è solo l’espressione di un dominio più profondo: il dominio delle menti.

THE EAST di Zal Batmanglij

La versatile attrice Brit Marling, trentunenne interpreta Jane, ex agente dell'FBI diventata spia modello per una grande agenzia di spionaggio industriale. La storia ha inizio quando la donna viene incaricata di infiltrarsi in un collettivo anarchico autore di attacchi eco-terroristici chiamato The East, per identificarne i componenti. Votata al suo lavoro Sarah (nome di battaglia) esegue il suo compito con estrema professionalità e il necessario distacco, senza mettere in conto il coinvolgimento emotivo che questo nuovo compito le chiederà. Trascinata a vivere nascosta con questi strani individui in mezzo a un bosco, in una realtà estranea, fatta di anacronistici rituali hippie e privazioni Sarah si troverà costretta a un'immersione totale in una natura ferita da un'umanità egoista che è esattamente ciò che questi rivoluzionari vogliono sfidare.
La donna capirà infatti che, seppur guidati dall'atavica legge
Zal Batmanglij
dell'occhio per occhio dente per dente e quindi anche da una sorta di desiderio di vendetta, questi attivisti compiono tutti i loro raid spinti da una impellente necessità di giustizia e verità. Capirà come questi anarchici vogliano al tempo stesso punire i padroni e i manager delle grandi multinazionali farmaceutiche o chimiche, responsabili di grandi disastri ambientali e di danni alle persone, e al tempo stesso salvare migliaia di persone dai danni da questi provocati. Nel loro mirino ci sono imperi costruiti senza scrupoli e in nome del solo dio denaro che mettono sul mercato medicine che provocano danni irreparabili e aziende che riversano le loro scorie cancerogene nelle acque di tranquille cittadine di provincia causando malattie e morti. 

The East diretto dall'americano Zal Batmanglij, alla sua seconda regia. Molto apprezzato al Sundance Film Festival, dove è stato presentato, il film è stato scritto a quattro mani (come il precedente) dal regista e dalla protagonista Brit Marling.
The East ci mostra due visioni del mondo lontane e contrapposte. Da un lato il sistema, guidato dal profitto, divenuto oracolo assoluto di un capitalismo aggressivo e senza scrupoli, pronto a mettere a rischio la salute delle persone per servire l’interesse particolare. Dall’altro la protesta, portata avanti attraverso azioni terroristiche e dimostrative, per smontare, denunciare e punire i responsabili di un mondo confuso e impazzito. Da un lato il progresso infinito, acritica e ingenua misura del vivere contemporaneo; dall’altro la decrescita felice, utopico modello di sviluppo anti-sistema. 
Certi passaggi del cinema americano riescono ancora a sorprenderci. Abituati alla visibilità debordante dei film merchandising rimaniamo meravigliati di fronte a certe opere che pur continuando a ragionare all'interno di un sistema dominato dal profitto riescono a ritagliarsi lo spazio sufficiente per raccontare l'altra America, quella sparita dalla schermo per far posto ad effetti speciali e scontate amenità.
Siamo The East. Siamo la tua sveglia del mattino e non ci nascondiamo mai da te. Noi siamo te. Siamo il momento in cui sei sceso dal tapis roulant e hai iniziato a correre sotto il cielo. Siamo la prima volta che hai baciato qualcuno che ha risposto al tuo bacio. Siamo la notte d’insonnia, la notte che hai guardato il soffitto e hai pensato: Tutto qui? È questo il meglio che la vita può offrirmi? No, hai dentro una libertà che non conosce paure".



Ostilità verso questa civilizzazione

Ci hanno abituati a un’idea neutra dell’amicizia, come pura affezione  senza conseguenze. Ma ogni affinità è un’affinità in una comune verità. 
Ogni incontro è un incontro in una comune affermazione, foss’anche quella della distruzione.
Non ci si lega  innocentemente in un’epoca in cui  tenere a qualcosa e non demordere conduce regolarmente alla perdita  del lavoro, in cui bisogna mentire per lavorare e, poi, lavorare per conservare i mezzi della menzogna.
L’unione di chi, partendo dalla fisica quantistica, giurasse di trarne tutte le conseguenze in ogni campo sarebbe altrettanto politica di quella dei compagni che lottano contro una multinazionale agroalimentare. Sarebbero condotti, prima o poi, alla  defezione, e allo scontro.  
Gli iniziatori del movimento operaio avevano l’officina e poi la fabbrica  per trovarsi. Avevano lo sciopero per contarsi e smascherare i crumiri.  Avevano il rapporto salariale, che poneva lo scontro tra il partito del  Capitale e il partito del Lavoro, per tracciare delle solidarietà e dei fronti su scala mondiale.
Noi abbiamo la totalità dello spazio sociale per  trovarci. Abbiamo i comportamenti quotidiani d’insubordinazione per  contarci e smascherare i crumiri.
Abbiamo l’ostilità verso questa  civilizzazione per tracciare delle solidarietà e dei fronti su scala mondiale.