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giovedì 27 novembre 2014

L'intensità iatrogena dell'impresa medica contemporanea

L'intensità iatrogena dell'impresa medica contemporanea è solo un esempio particolarmente doloroso delle frustrazioni generate dalla sovrapproduzione, le quali si manifestano, in eguale misura, sotto forma di accelerazione del traffico che si risolve in perdita di tempo; di staticità nelle comunicazioni; di addestramento a una perfetta incompetenza nell'istruzione; di sradicamento come risultato dello sviluppo urbanistico; di supernutrizione distruttiva.
Fondamentalmente essa non è dovuta solo a errori tecnici o allo sfruttamento di classe, bensì alla distruzione, provocata dal regime industriale, delle condizioni ambientali, sociali e psicologiche che sono necessarie per lo sviluppo dei valori d'uso non-industriali e non professionali.
La distorsione industriale del nostro comune senso della realtà ci ha reso ciechi al grado di contraddittorietà raggiunto dall'impresa contemporanea.
Viviamo in un'epoca in cui l'apprendere è pianificato, l'abitare standardizzato, lo spostamento motorizzato, la comunicazione programmata, e in cui per la prima volta nella storia dell'umanità gran parte delle derrate alimentari che si consumano proviene da mercati lontani.
In una società così intensamente industrializzata, la gente è condizionata a RICEVERE le cose anziché FARLE; è educata ad apprezzare ciò che si può comprare e non ciò che essa stessa può creare. Vuol essere istruita, trasportata, curata, guidata, anziché apprendere, muoversi, guarire, trovare la propria strada. L'azione di guarire non è più considerata compito del malato. Dapprima diventa la mansione di singoli riparatori del corpo, e poi subito da prestazione personale si trasforma nell'"output" di un ente anonimo. Le scuole producono istruzione, i veicoli a motore locomozione, e la medicina produce assistenza.
Questi "outputs" sono articoli che hanno tutte le caratteristiche di merci.
I loro costi di produzione si possono aggiungere o sottrarre al prodotto nazionale lordo, la loro scarsità si può misurare in termini di valore marginale e se ne può stabilire il prezzo in equivalenti monetari. Per la loro stessa natura questi prodotti creano un mercato.
Come l'istruzione scolastica e il trasporto motorizzato, la cura medica è il risultato di una produzione di merci ad alta intensità di capitale. Spesso si trascura che ognuna di queste merci continua a essere in concorrenza con un valore d'uso non commerciabile che gli individui producono liberamente, ciascuno per proprio conto.
L'essere umano impara osservando e facendo, si muove sulle proprie gambe, guarisce, si prende cura della propria salute e contribuisce alla buona salute degli altri.
Tutte queste attività hanno dei valori d'uso che non sono alienabili su un mercato.
L'apprendimento dotato di valore, il movimento corporeo, l'azione di guarire, per la maggior parte non figurano nel prodotto nazionale lordo.
La gente impara la lingua materna, si muove, fa figli e li alleva, recupera l'uso di ossa rotte, prepara il cibo locale, e fa queste cose con maggiore o minore competenza e piacere.
Queste sono tutte attività ricche di valore che non si fanno né possono essere fatte per denaro, ma che cessano di avere valore se c'è troppo denaro in giro.

La TAV della tirannia

I promotori del disastro arrivano ora essi stessi a deplorare la degradazione della vita alla quale siamo giunti. Unendosi ai piagnistei, proponendo perfino i loro servigi (secondo il principio del racket) per rimediare illusoriamente a quanto hanno realmente distrutto, tentano di far dimenticare la loro parte preponderante nel saccheggio. Continuano così ad insinuare che se il corso dell’Economia sfuggisse visibilmente a tutti, nessuno in particolare ne trarrebbe vantaggio e avrebbe interesse al proseguimento di questa demenza. I più falsi, pensiamo ai politici, il cui compito principale consiste nel persuadere le popolazioni che è loro interesse affidarsi totalmente a loro e ammettere che le loro scelte arbitrarie servono l’interesse generale, hanno l’impudenza di atteggiarsi a servi devoti che si fanno carico nell’avversità dei problemi collettivi; sono gli stessi ovviamente che mandano l’esercito quando la società pensa a percorrere strade diverse dalle loro. E proclamano poi, dopo aver annientato le prospettive che si formavano, che nient’altro è possibile e che è irresponsabile voler mettere in discussione la sottomissione di tutta la vita agli imperativi dei loro affari.
Per far accettare il tracciato della TAV e per dissimulare i loro banali interessi nell’affare, la propaganda dei decisori dispone di una vasta tavolozza di menzogne; appoggiandosi talvolta a menzogne antiche per forgiarne di nuove, mettono in luce l’arbitrarietà iniziale e così l’enormità a cui giungono: sicché, se si crede che senza Economia non si può vivere in società, e se si ammette poi che senza TAV l’Economia s’infiacchirebbe, bisogna logicamente concludere che senza TAV non si potrebbe più vivere in società.
È questo il nodo nevralgico del conflitto sul tracciato, poiché gli oppositori sono persuasi con ragione, del contrario, cioè che la società si decompone sotto i colpi di tali installazioni. 
L’unico interesse generale che meriti di essere discusso in questo inizio di secolo, è il tentativo di mettere fine al saccheggio della vita, e non di guadagnare qualche decina di minuti per attraversare l’Europa. E l’unica crescita che valga la pena di affermare è quella, qualitativa, dell’esistenza umana, l’unica che permetta di uscire da questa oscura preistoria economica.

Libertà per Chiara, Claudio, Mattia, Niccolo' 

Il mutuo appoggio di Petr A. Kropotkin

Per spiegare il mutuo appoggio Kroptkin considera centrale demistificare la concezione conflittualistica del mondo (bellum omniun contra omnes che va da Hobbes a Huxley): qualora infatti risultasse che essa risponde a verità, sarebbe impossibile pensare ad una società anarchica che, al contrario pone l’armonia, l’uguaglianza e l’amore tra gli esseri umani quali premesse indispensabili per il suo stesso costituirsi.
Kropotkin afferma che il mutuo appoggio tra gli individui è un fatto della più alta importanza per il perpetuarsi della vita, per la conservazione di ogni specie e per il suo superiore sviluppo, anzi è il fatto dominante in natura, per cui vi sono migliori probabilità di sopravvivenza per quelli che sanno meglio aiutarsi nella lotta per la vita. La solidarietà tra gli esseri viventi è una legge della natura ed un fattore dell’evoluzione progressiva, tanto da poter dire che la guerra di ciascuno contro tutti non è la legge della natura. 
Kropotkin ha cura di precisare, naturalmente, che l’aiuto reciproco all’interno di ogni specie non costituisce il fattore dell’evoluzione, ma uno dei principali fattori; esso è una legge della natura quanto la lotta, e a differenza di Darwin e del darwinismo, nega che il conflitto tra gli individui all’interno della stessa specie costituisca la condizione generale dell’evoluzione, anche se ammette l’esistenza del conflitto tra le specie.
Kropotkin quindi vede una correlazione strettissima tra la pratica del mutuo appoggio e la tendenza associativa, nel senso che queste forme sono aspetti di un’unica realtà: quella della vita in generale. La vita animale è di per se stessa eminentemente sociale. L’associazione è la regola, la legge della natura perché si riscontra in tutti i gradi dell’evoluzione, essendo all’origine stessa dell’evoluzione nel regno animale, tanto da delinearsi come l’arma più potente nella lotta per la vita, intesa nel senso più largo del termine. Ugualmente la vita umana risponde alla medesima tendenza. Poiché non esiste soluzione di continuità tra il regno animale e quello umano, ne deriva che in quest’ultimo l’associazione, oltre ad assumere le stesse funzioni, diventa più cosciente. Essa perde il carattere semplicemente fisico, cessa di essere unicamente istintiva, diventa ragionata.

giovedì 20 novembre 2014

L'uomo nella sua sofferenza è solo merce

In ogni società la classificazione della malattia (nosologia) rispecchia l'organizzazione sociale. Il male che la società produce viene battezzato dal dottore con nomi che sono molto cari ai burocrati. La incapacità di apprendimento, la ipercinesia o la disfunzione cerebrale minima spiega ai genitori perché i loro bambini non imparano, servendo da alibi all'intolleranza o all'incompetenza della scuola; la pressione alta serve da alibi per lo stress che aumenta, la malattia degenerativa per l'organizzazione sociale che produce degenerazione. Più la diagnosi è persuasiva, più appare preziosa la terapia, più è facile convincere le persone che esse hanno bisogno una dell'altra, e meno è probabile che esse si rivoltino contro la crescita industriale. Prima che la malattia fosse considerata essenzialmente una anomalia organica o del comportamento, chi si ammalava poteva ancora trovare negli occhi del medico un riflesso della propria angoscia e un qualche riconoscimento dell'unicità della sua sofferenza. Oggi, ciò che vi trova è lo sguardo fisso di un contabile di biologia assorto in un calcolo costi/ricavi. Il suo malessere gli viene sottratto per diventare materia prima di un'impresa istituzionale. La sua condizione è interpretata secondo una serie di regole astratte in una lingua che lui non può comprendere. Gli si insegna che esistono certe entità ostili che la medicina combatte, ma dicendogli solo quel tanto che il dottore ritiene necessario per ottenere la collaborazione del paziente. Il linguaggio diventa proprietà esclusiva del medico; il malato rimane privo di parole significative con cui esprimere la sua angoscia che viene così ulteriormente aggravata dalla mistificazione linguistica. Non appena l'efficacia della medicina venga valutata in linguaggio corrente, si vede subito che la maggior parte delle diagnosi e delle cure efficaci, non va oltre il livello di comprensione raggiungibile da qualunque profano. Infatti gli interventi diagnostici e terapeutici che statisticamente risultano più utili che dannosi presentano nella stragrande maggioranza, due caratteristiche: richiedono mezzi materiali estremamente economici, e possono essere dosati e predisposti per l'uso personale diretto o per l'impiego nell'ambito della famiglia.
Insomma, un uso più austero della tecnologia metterebbe in grado tutti di curarsi nella maggior parte dei casi da soli. Ma non è l'efficacia dell'intervento ciò che interessa la medicina della società massificata, la sua regola è invece andare più possibile incontro alle esigenze di un consumatore per il quale domina la mitologia dell'efficienza medica.
l'uomo nella sua sofferenza e angoscia è ancora una volta solo merce!

Per una vacanza d’evasione da S. Vittore all’Ucciardone

Grazie alla benevolenza di un ministro di polizia, quale da molti anni (40?) non si ricordava, il problema delle vacanze, assillo periodico della nostra gioventù, è stato, per una parte consistente di giovani (non si conosce ancora la cifra ufficiale) felicemente risolto.
Non più spiagge affollate e prezzi proibitivi, ma lunghe e riposanti giornate al fresco dei nostri rinomati bagni penali.
La gamma (gamma) a disposizione è veramente varia: si và dal castello medievale, all’antico austero convento francescano, allo splendido scenario di pittoreschi picchi marini, ma anche chi vuole restare in città non viene certamente deluso.
I reclusi più fortunati, oltre al vitto e all’alloggio gratis, potranno usufruire dei numerosi servizi particolari che lo Stato mette generosamente a loro disposizione. Sedute periodiche, collettive o individuali, di massaggio per chi vuole mantenere alto il livello fisico (molti nostri angeli di custodia sono appositamente addetti a questo compito) lunghi periodi di vero isolamento in apposite celle serviranno a restituire il naturale equilibrio ai troppo esuberanti, per coloro che hanno la cella in direzione del sole, un’occasione veramente eccezionale: potranno in breve ostentare la famosa abbronzatura a scacchi che, si dice, furoreggerà tra poco. E/ saltanti balzi di temperatura per i detenuti in zone montane corroboreranno il fisico e il morale (non dimentichiamoci del morale). Insomma veri e propri paesi della cuccagna di cui la nostra penisola è veramente costellata. Si spiega così la frenetica corsa alla galera che ha portato in breve al tutto esaurito; ma gli altri giovani non si scoraggino! Il sopracitato ministro ha promesso un posto per tutti coloro che ne fanno implicitamente richiesta.
La prassi è abbastanza semplice: farsi notare a qualche manifestazione (meglio funebre) o incappare nei numerosi trabocchetti legislativi in continuo e confortante aumento; ma anche il caso ha spesso un ruolo determinante: il proprio nome su un’agenda rappresenta una chance notevole!
Quindi non disperino i giovani anche perché è imminente una grossa sorpresa: il FERMO GARANTITO!!! Almeno 48 ore di sana conversazione a tu per tu con i più famosi servitori del regime e chissà… questo è il primo passo…
(COSPIR/AZIONE, un foglio per respirare insieme, Torino 1977) 

L’obiettivo della rivoluzione

Diversi milioni di uomini vivevano in un immenso fabbricato senza porte né finestre. Innumerevoli lampade ad olio con la loro debole luce rivaleggiavano con le tenebre che dominavano in permanenza. Com’era usanza, fin dalla più saggia Antichità, la loro manutenzione incombeva ai poveri, cosicché il corso dell’olio combaciava fedelmente con il corso sinuoso della rivolta e della bonaccia. Un giorno scoppiò un’insurrezione generale, la più violenta mai conosciuta da questo popolo. I capipopolo esigevano una giusta ripartizione delle spese di illuminazione; un gran numero di rivoluzionari rivendicavano la gratuità di quello che chiamavano un servizio di utilità pubblica; alcuni estremisti giungevano fino a reclamare la distruzione di una dimora che si sosteneva essere insalubre e inadatta alla vita comune. Come di consueto, i più ragionevoli si trovarono disarmati di fronte alla brutalità della lotta. Nel corso di uno scontro particolarmente vivo con le forze dell’ordine, un obice mal diretto sventrò il muro di cinta, aprendovi una breccia attraverso la quale si riversò la luce del giorno. Passato il primo momento di stupore, questo afflusso di luce fu salutato con grida di vittoria.
La soluzione fu immediata, bastava ormai spianare altre brecce. Le lampade furono gettate fra i rifiuti o relegate nei musei, e il potere toccò agli apritori di finestre. I sostenitori di una distruzione radicale furono dimenticati e la loro stessa liquidazione discreta passò, sembra, quasi inosservata. (Ci si disputava sul numero e la disposizione delle finestre). Poi i loro nomi tornarono alla memoria, uno o due secoli più tardi, quando, assuefatto a vedere grandi pareti vetrate, il popolo, questo eterno scontento, si mise a sollevare stravaganti questioni. “Trascinare l’esistenza in una serra climatizzata, è vita questa?” domandava.
Nel rispetto comune della funzione dirigente, le forze antagoniste hanno continuato ad alimentare i germi della loro coesistenza futura. Quando il capogioco prende il potere di un capo, la rivoluzione muore con i rivoluzionari. La terza forza quella non catalogata radicalizza le contraddizioni e le porta al superamento, in nome della libertà individuale e contro tutte le forme di costrizione. Il potere non ha altra risorsa che quella di soffocare o di recuperare la terza forza senza riconoscerne l’esistenza.  

giovedì 13 novembre 2014

Distruzione-costruzione permanente del non-luogo

Il reperimento sistematico e ininterrotto di dati, spesso senza finalità precise, entro e in prossimità di ciascun individuo, avviene seguendo il principio cardine del data mining (estrazione di dati), ovvero il principio secondo cui un dato personale, anche senza alcun significato se preso isolatamente, può produrre un’informazione utile, una volta combinato con altri dati giunti da fonti e con modalità anche molto diverse (dati genetici o biometrici, videosorveglianza, geolocalizzazione, navigazione in Internet, connessioni telefoniche, acquisti e operazioni automatizzate di vario tipo, programmi televisivi seguiti, "pulci" negli oggetti di uso quotidiano o "biopulci" impiantate nel corpo, ecc.).Il conseguente trattamento dei dati, volto alla costituzione di un «profilo», cioè di una sorta di raddoppiamento continuamente aggiornato del corpo e della coscienza individuale in un aggregato di dati numerici, avviene in seguito entro l’architettura delle cosiddette «basi di dati», che sono al tempo stesso punto terminale e punto di avvio di una catena di operazioni multiple, atta a captare ed elaborare informazioni molteplici ed eterogenee. Proprio l’insieme di tali operazioni costituisce, tra l’altro, uno dei principali terreni di coltura di quella che continua a chiamarsi «ricerca scientifica» contemporanea. In tale scenario, la strutturazione del sistema sui suoi due assi portanti dell’economico-capitalistico e del politico-statuale si rende esplicita nel partenariato tra le strategie di marketing, da una parte, e le strategie mirate alla «sicurezza» dall’altra. Forme fino a ieri parallele, oggi sempre piú interconnesse a determinare un nuovo apparato di poteri rappresentati dalle centrali di gestione, interpretazione e trattamento dei dati personali, dove una sorta di “delega” implicita accordata al settore privato “autorizza” di fatto (aggirando di volta in volta ogni possibile “ostacolo” giuridico) una cartografia sempre piú precisa dei comportamenti di ciascun individuo e della sua rete relazionale. Tali strategie (ripetiamo: marketing e «sicurezza») sono, pertanto, espressioni delle stesse forze economiche e statuali che concorrono alla distruzione-costruzione permanente di quel non-luogo che è il tessuto urbano generalizzato e interconnesso, entro il quale sempre di piú accade … ogni cosa.

IO NON SO PIU, IO NON VOGLIO PIU di Marceline Desbordes-Valmore 

Io non so più, io non voglio più
Non so più da dove è nata la mia collera;
ha parlato…e le sue colpe sono scomparse.
I suoi occhi imploravano, la sua bocca voleva piacere:
dove sei fuggita mia timida collera?
non lo so più.

Non voglio più guardare ciò che amo
Non appena sorride, tutti i miei pianti svaniscono.
Invano, per forza o per dolcezza suprema,
l’amore e lui, vogliono ancora che io ami;
io non voglio più.

Non so più evitarlo nella sua assenza;
tutti i miei giuramenti sono ormai superflui.
Senza tradirmi, ho sfidato la sua presenza;
ma senza morire sopportare la sua assenza
io non so più.

Il mondo libero non è libero

Il mondo libero non è libero; il mondo comunista non è comunista. Il vecchio movimento proletario non è riuscito a rovesciare la società di classe e si è smarrito nelle varianti riformiste o burocratico-totalitarie del capitalismo classico. Ovunque nel mondo la gente è ancora alienata dalla propria attività (ciò che è obbligata a produrre le si rivolta contro come una potenza estranea) e dunque tutti sono alienati gli uni dagli altri. Lo sviluppo moderno del capitalismo ha generato un nuovo stadio di quest’alienazione: lo spettacolo, nel quale ogni comunicazione tra gli individui è mediata dalle immagini che sono presentate loro, dalle “informazioni” o dalle avventure vissute per procura fino alle lodi encomiastiche delle merci e dei burocrati.
Ma questo sistema non ha risolto tutte le sue contraddizioni; nel corso degli ultimi due decenni sono apparse, in tutte le regioni del mondo, nuove lotte che mettono in causa diversi aspetti del sistema e che tendono a rifiutare la mediazione burocratica. Il progetto fondamentale implicitamente implicato in queste lotte, è l’abolizione dello Stato e di ogni potere gerarchico, dell’economia mercantile e del lavoro salariato. Le precondizioni tecnologiche per una simile trasformazione esistono già. La forma di organizzazione sociale capace di realizzarla è stata prefigurata dai consigli operai che apparvero durante le rivoluzioni represse nei primi decenni di questo secolo: assemblee generali democratiche degli operai e di tutti gli altri che si riconoscono nel loro progetto, assemblee che dissolvono ogni potere esterno e si federano a livello internazionale, eleggendo delegati incaricati di compiti precisi e che possono essere revocati in qualsiasi momento.
Non si può contribuire a tale rivoluzione facendo ricorso ai metodi manipolatori che riproducono le relazioni gerarchiche dominanti. Il compito dei rivoluzionari è di favorire la coscienza, l’autonomia e la coerenza delle lotte radicali senza diventare una nuova direzione che le dominerebbe. Per questa ragione, ed anche perché l’opposizione costruttiva tende ad integrarsi nel sistema, le tattiche appropriate sono in grande misura negative o critiche: si tratta di attaccare le istituzioni e le ideologie che rafforzano la sottomissione al sistema, e di segnalare le possibilità ed i limiti delle lotte contro di esso, pur lasciando la gente libera di scegliere in che modo rispondere alle situazioni così esposte.
Si tratta di fronteggiare il mondo reale nel quale viviamo; di legare teoria e pratica in un’attività sperimentale, per resistere alla tendenza della teoria a pietrificarsi in ideologia. Tutto ciò che aveva qualche valore nell’arte o nella religione può essere realizzato soltanto superandole come sfere distinte, mettendo in gioco la creatività e la ricerca della realizzazione sul terreno della vita quotidiana. In una società che ha soppresso ogni avventura, la sola avventura possibile resta la soppressione di questa società.

giovedì 6 novembre 2014

Appunti per una teoria sovversiva

Lo sviluppo della teoria-pratica sovversiva necessita di una responsabilità mutuale di ogni singolo soggetto e non dell’appartenenza ad una Organizzazione partitica anche extra-istituzionale.
La liquidazione dell’oggetto Organizzazione è un momento irrinunciabile per la creazione dell’organizzazione reale: l’autogestione completa della lotta.
I metodi della lotta devono essere valutati in base alle caratteristiche del nemico.
L’amministrazione capitalista non può che concepire che un antagonista a sé speculare: gerarchizzando l’eversività insorgente, cerca di recuperarla e riportarla a parametri per lei comprensibili e gestibili.
I funzionari del Capitale sono incapaci di reprimere un movimento reale che non prende ordini da nessun altro che da se stesso, che si sviluppa in modo rizomatico, senza alcuna direzione suprema, che sfugge al controllo in quanto rompe con la ritualità dell’agire ideologico.
Uscire dalle prigioni ideologiche significa lottare per la comunicazione reale, non mediata in cui riconoscersi e riconoscere i propri desideri, le proprie capacità creative (distruttive della ricreazione e della ripetitività), rompere il muro di parole-immagini che incatena il corpo nella gabbia mistificatoria del linguaggio stereotipato.
I sensi risvegliati, l’intuizione, l’imprevedibilità uniti alla lucidità dell’analisi e alla puntualità della critica sono gli ingredienti del cocktail esplosivo che abbatte i muri che ci separano dalla libertà.
Ognuno faccia la sua scelta: o auto-blindarsi nello spettacolo della propria sopravvivenza o espandersi, riscoprendo la comunicazione, l’erotismo, il piacere (l’autogestione complessiva e generalizzata).
Ad ognuno ritrovarsi sul terreno dell’insofferenza e della progettualità comune, ad ognuno praticare ciò che è irriducibile al dominio della società dello spettacolo neomoderno: l’avventura appassionante della vita contro la follia inanimata del Capitale. 

I CANNIBALI di Liliana Cavani

Una grande rivolta riempie le strade di cadaveri; è la rivolta contro la nomenclatura, il potere, che basa la sua forza sulla alleanza tra il mitra, la croce e il denaro. Le Autorità hanno vietato a chiunque di spostare i cadaveri, i cui miasmi infettano l'aria; i corpi esposti devono servire da monito, così da togliere ogni idea di ribellione dalla mente di quanti sarebbero portati ad imitarli. Una ragazza, Antigone, vuole prendersi cura del cadavere del fratello, togliere il cadavere dal marciapiedi dove giace, proprio a ridosso dell'ingresso di un bar, dal quale continuano tranquillamente ad entrare ed uscire clienti, dargli una onorevole sepoltura. Nessuno vuole aiutarla, né la sorella che cerca di scoraggiarla: "la polizia è sempre in agguato”, dice, “e i delatori sono continuamente attaccati al telefono a denunciare simili atti, aperta sfida ai poteri costituiti”, né il padre, i fratelli, e neppure il fidanzato. Solo uomo Tiresia, venuto dal nulla, che parla una lingua che nessuno capisce, ma ricco di umana pietà, è l'unico a condividere la sua compassione per i morti. I due uniscono le loro energie e cominciano a prendersi cura non solo del fratello ma anche degli altri morti. La loro alleanza scatena le forze dell'ordine, che si mettono alla loro ricerca; si teme una escalation della disubbidienza, fondata sulla solidarietà. I due vengono arrestati e la loro fine è segnata. Ma il loro seme germina..
I Cannibali è la terza opera di Liliana Cavani, realizzata nel '70 che attualizzò, interpretandola, la tragedia "Antigone" di Sofocle. Essa mostrò infatti di voler oltrepassare la semplice enunciazione filosofica del problema del rapporto tra l'uomo e la Trascendenza, per giungere a calarlo in una dimensione persino psicologica dell'uomo-individuo e della società. Tema di fondo fu l'origine spiritualista della rivolta contro il disumano apparato del potere, ma l'opera continuò poi con l'infierire sull'alleanza tra chiesa, polizia e capitale, emblema e strumento delle forze detenenti il potere nel mondo occidentale cristiano. Lontano da una collocazione spazio-temporale immediatamente riconoscibile, sebbene la rivolta e la conseguente repressione siano ovviamente avvicinabili agli avvenimenti del ’68, la regista esaspera il contrasto tra l’Individuo e lo Stato e ne assolutizza i termini. L’architettura stessa della città, con le sue vie tentacolari costantemente sorvegliate, i quartier generali, le prigioni, i manicomi, è filmata come una proiezione della morsa dello Stato di polizia che si chiude fatalmente sui due ribelli e sul loro tentativo di ripristinare uno stato di Natura non normalizzato o politicamente plasmabile. I cannibali che aspirano a una purezza primitiva finiscono fagocitati da un sistema che si nutre del sangue dei ribelli perché, come asseriscono gli ambigui plutocrati che tentano di suggestionare Antigone, ogni potere ha un senso solo se c’è qualcuno che vuole rovesciarlo, e qualora non disponesse di un nemico reale, ne creerebbe uno immaginario contro cui combattere per riaffermare se stesso.
La diversità di Antigone sta nel suo rendersi estranea, sia al Potere sia alla contestazione, con Tiresia inizieranno un nuovo linguaggio ma anche un differente modo di resistenza. Antigone si farà spazio, seguendo l’esempio di Tiresia, tra le sovrastrutture della società, approdando ad uno stato naturale e ancestrale di esistenza; cercherà in se stessa «la propria natura animale, a lungo repressa da una educazione assurda e infausta» Pian piano si sbarazzerà delle leggi dello Stato, dell’educazione repressiva, della codificazione linguistica, e quindi della parola, della famiglia, ecc. Non approda però alla contestazione perché si tiene distante dalla ribellione politica codificata e collettiva. La sua ribellione, carica di una violenza arcaica, benché sia una disobbedienza civile, è un gesto etico e politico, che passa però attraverso un atto personale: spetta al singolo farsi carico del fardello dei morti. Antigone combatte come singola per la propria coscienza. 


Cos’é l’altruismo?

L’altruismo non è che il rovescio dell’inferno degli altri, la mistificazione che si dà questa volta all’insegna del positivo. La si faccia finita una volta per tutte con questo spirito da vecchi combattenti! Perché gli altri ci interessino, bisogna prima di tutto che noi troviamo in noi stessi la forza di un tale interesse. Bisogna che quanto ci lega agli altri appaia attraverso a quanto ci lega alla parte più ricca e più esigente della nostra volontà di vivere. Non l’inverso. Negli altri, è sempre noi che cerchiamo, e il nostro arricchimento, e la nostra realizzazione. Che ciascuno ne prenda coscienza e il ciascuno per sé portato alle sue ultime conseguenze sfocerà sul tutti per ciascuno. La libertà dell’uno sarà la libertà di tutti. Una comunità che non si edifichi a partire dalle esigenze individuali e dalla loro dialettica non può che rafforzare la violenza oppressiva del potere. L’altro in cui noi non ci cogliamo non è che una cosa, ed è precisamente all’amore delle cose che ci invita l’altruismo. All’amore del nostro isolamento.
Visto sotto l’angolatura dell’altruismo e della solidarietà – questo altruismo di sinistra – il sentimento di uguaglianza cammina con la testa in giù. Che cos’è se non l’angoscia comune ai societari isolati, umiliati, fottuti, battuti, becchi, contenti, l’angoscia di cellule separate, aspiranti a ricongiungersi non nella realtà ma in unità mistica, in una qualunque unità, quella della nazione o quella del movimento operaio, poco importa purché ci si senta come nelle serate di grande bevute tutti fratelli? L’uguaglianza nella grande famiglia degli uomini esalta l’incenso delle mistificazioni religiose. Bisogna avere le narici otturate per non stare male.
Per noi, non riconosciamo altra uguaglianza al di fuori di quella che la nostra volontà di vivere secondo i nostri desideri riconosce nella volontà di vivere degli altri. L’uguaglianza rivoluzionaria sarà indissolubilmente individuale e collettiva.