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giovedì 29 maggio 2014

Il passamontagna del Subcomandante


Perché vogliono farci diventare un partito politico se noi non vogliamo il potere? Non riescono a capire che un movimento politico possa non essere interessato al potere politico? Ci sono già abbastanza partiti politici. Perché dovremmo aggiungerne un altro? Non vogliamo. Noi non stiamo promuovendo niente. Noi non chiediamo il governo. Noi vogliamo abbattere il governo. Noi vogliamo vivere in pace, in democrazia, libertà e giustizia".
Non ci siamo sollevati in armi per il gusto di uccidere e morire. Siamo stati in molti ad aver tagliato i ponti in quell'alba del primo gennaio e ad aver intrapreso questo oneroso percorso con un passamontagna a celare il nostro volto. Siamo stati in molti a muovere questo passo senza ritorno, sapendo da subito che alla fine ci aspetta una morte probabile o l'improbabile possibilità di assistere alla vittoria. La presa del potere? No, qualcosa di più difficile: un mondo nuovo.
Noi già vivevamo senza pace, i nostri figli sono bambini e bambine come i vostri, ma infinitamente più poveri. Per i nostri bambini e bambine non ci sono scuole né medicine, non ci sono vestiti né alimenti, non c'è un tetto dignitoso sotto cui riparare la nostra povertà. Per i nostri bambini e bambine c'è solo lavoro, ignoranza e morte. La terra che abbiamo non serve a niente. Per poter guadagnare qualcosa per i nostri figli siamo andati a cercare un salario nelle terre di altri, i potenti, che pagano il nostro lavoro una miseria.
Non ne potevamo più e allora siamo stati costretti a scendere sul sentiero di guerra, perché ciò che chiedevamo a viva voce non é stato ascoltato. E noi non chiediamo elemosine o carità, chiediamo giustizia: un salario giusto, un pezzo di buona terra, una casa dignitosa, una scuola vera, medicine che guariscono, pane sulle nostre tavole, rispetto per le nostre tradizioni, libertà di dire quello che pensiamo aprendo la bocca, affinché le parole ci uniscano agli altri in pace e senza morte. Questo abbiamo sempre chiesto e non hanno mai ascoltato ciò che la nostra voce reclamava. E allora abbiamo impugnato un'arma, allora abbiamo trasformato gli attrezzi da lavoro in strumenti di lotta, e allora la guerra che ci facevano, la guerra che ci uccideva l'abbiamo rivolta contro di loro, i grandi, i potenti, quelli che hanno tutto e non meritano nulla.

Lo specchio del Paese, adesso è un passamontagna, e il Paese si chiede cosa ci sia dietro, il perché di questo passamontagna. Alla fine noi scompariremo così come siamo comparsi. Ciò che forse adesso il paese non capisce è che questo passamontagna non vuole essere l'emblema di un potere egemonico.
Se non puoi avere ragione e forza, scegli sempre di avere ragione e lascia al nemico la forza. In molti combattimenti, la forza può uscire vittoriosa, ma la lotta nel suo insieme è vinta solo dalla ragione. Il potente non potrà mai avere ragione con la forza, ma noi possiamo sempre ottenere forza dall'aver ragione.

SE CERCATE LA NORMALITÀ NELLE ABITUDINI

La cellula di programmazione cibernetica vomerese, presa visione del passaggio dell’era dei Pesci a quella dell’Acquario, annuncia:
A tutte le individualità robotizzate e programmate alla produzione universale, alle isteriche capo-reparto Sit-Siemens, ai cattedratici paria universitari: QUESTO FOGLIO NON È PER VOI!
Se cercate la normalità nelle abitudini
se cercate calze e tutù da ballerina
se cercate il biscotto nel caffelatte
Pasquale non fa per voi.
Pasquale non si fa mai mettere il granone
sotto le ginocchia quando fa il birichino  
Pasquale non porge mai l’altra guancia
Pasquale piace ancora Pappamoscia.
Ma chi è Pasquale
Pasquale non è in bianco e nero
Pasquale è a colori
Pasquale non ama le camere buie
Pasquale è uscito allo scoperto
Pasquale si sveglia tardi alla mattina
Pasquale entra sempre alla seconda ora
ed esce alla terza.
Pasquale è più fuori che dentro
Pasquale forse non ha capito.
Pasquale è impazzito
Pasquale è sempre presente
ma talvolta è latitante
Pasquale è 5000 Lire a settimana più mance
Tra Pasquale ed un Levi’s solo un vetro.
Pasquale va a teatro con i trentasette
Pasquale sta con i diciassette e passa.
Pasquale sa fare i suoi conti
anche se non ha studiato
Pasquale è seconda elementare
Pasquale lo vuole stabile e sicuro
ma non in culo
Pasquale a gambe nude lo vende alla gente
Pasquale è trucco illuminato sul marciapiede
Pasquale e polivinile ardente nelle vene
Pasquale è sui tetti delle carceri
Pasquale è nelle strade
Pasquale è sulla Metropoli
Pasquale se la fa col movimento
trallallero trallallà

(Foglio di Movimento, Napoli 1977) 


Il Libero Amore di Èmile Armand

Non classifico i godimenti in utili o nocivi, in favorevoli o sfavorevoli. Utili sono quelli che mi fanno apprezzare ed amare di più la vita. Nocivi sono quelli che me la fanno odiare o disprezzare. Favorevoli sono per me i godimenti che fanno sì che io mi senta vivere più ampiamente; sfavorevoli quelli che contribuiscono a diminuire in me la sensazione della vita.
Sono queste le premesse perché possa esplicarsi interamente il concetto di libero amore, della massima libertà sessuale tra gli individui. Si parte dall’idea che la vita amorosa non può essere codificata entro norme prestabilite perché, anch’essa, non può che seguire l’incessante flusso vitale che spinge gli essere umani, di volta in volta, ad amarsi come a respingersi. L’unione libera tra individui consenzienti è certamente da preferire al matrimonio e, in generale, ad ogni legame sessuale vincolato. Secondo il punto di vista individualista, nemmeno l’amore può sottrarsi alla logica della libertà e della spontaneità, secondo cui il problema sessuale va considerato alla stregua di un qualunque capitolo della storia naturale. Gli individualisti rivendicano per ciascun individuo adulto e consenziente la facoltà piena e assoluta di scegliersi la tendenza amorosa che meglio può assecondare la propria natura, favorire il proprio sviluppo, corrispondere alle proprie aspirazioni. Questa concezione spinge per una vita sessuale a misura individuale, nel senso che l’infinita eterogeneità degli esseri umani dimostra la possibilità di stabilire una gamma vastissima di relazioni amorose rispondenti agli scopi più diversi. Perciò il libero amore comprende una varietà adattabile ai temperamenti amorosi od affettivi: costanti, volubili, teneri, appassionati (…) e riveste un numero infinito di forme varianti dalla monogamia pura e semplice alla pluralità simultanea: unioni passeggere o durevoli, multiple, poligeniche o poliandriche, unioni uniche o plurime ignoranti la coabitazione; affezioni preminenti basate su delle affinità d’ordine piuttosto sentimentale o intellettuale. Gli individualisti/e  concepiscono l’esperienza amorosa per puro egoismo, per trarne un godimento, un piacere sia fisico che sentimentale, per aumentare la loro felicità; perché essi la considerano come una delle manifestazioni più reali della loro gioia di vivere, una delle realizzazioni più immediatamente afferrabili della voluttà di vivere.

domenica 25 maggio 2014

giovedì 22 maggio 2014

La libertà passa per l’abolizione del lavoro

Il ritmo della società mercantile ha fin troppo determinato i corpi nella danza della paura, del disprezzo, dell’umiliazione, della vendetta, la danza dei carnivori, dei cacciatori, dei poliziotti, dei terroristi, dei burocrati. Non presentite la marcia felina e imprevedibile dei partigiani della vita ad oltranza, dei guerriglieri del godimento, dei poeti dell’autonomia improvvisamente coalizzati in una irreprimibile forza?
Come esiste una contaminazione del rapporto mercantile, così esiste anche un contagio della volontà di vivere. È adesso che daremo il colpo di grazia alla civilizzazione della morte, non con la forza delle cose, ma con il godimento che la dissolverà.
Le crisi si moltiplicano, e le scosse che fanno tremare il vecchio edificio statale ed economico non si contano più. C’è da credere che basterebbe un gran risata per seppellirlo.
Creare per il piacere, non è forse questo che si fa oggi nei luoghi stessi che hanno servito da modello all’organizzazione della nostra vita quotidiana, le fabbriche della produzione industriale? Un sabotaggio sempre più disinvolto trasformerà un reparto di costruzioni in una sala da gioco, cambierà un magazzino in un centro di distribuzione gratuita, si farà beffe delle parole dei capi e dei discorsi degli agitatori. Chi oserà impadronirsi della fabbrica per organizzare un’altra forma di lavoro? Tutto è stato prodotto, rubando alla creatività di milioni di operai. Perché stupirsi di veder uscire dallo smembramento sistematico delle fabbriche, dei reparti di progettazione, perché dubitare che possa nascere dalle rovine di questi modelli inariditi della merce, di che costruire le nostre dimore, i nostri piaceri, i nostri sogni, le nostre avventure, la nostra musica, i nostri vagabondare di terra, d’acqua, d’aria e di fuoco? 

BROKEN ENGLISH di Marianne Faithfull

Sarebbe potuto succedere in ogni momento,
freddo, solitario puritano.
Per che cosa stai combattendo?
Non per la mia sicurezza.

È solo una vecchia guerra,
neanche una guerra fredda
Non lo dire in russo,
non lo dire in tedesco.
Dillo in inglese incerto,
dillo in inglese incerto.

Perdi padre e marito,
madre e figli.
Per che cosa stai morendo?
Non per la mia realtà.

È solo una vecchia guerra,
neanche una guerra fredda
Non lo dire in russo,
non lo dire in tedesco.
Dillo in inglese incerto,
dillo in inglese incerto.

Per che cosa stai combattendo?
Per che cosa stai combattendo?
Per che cosa stai combattendo?
Per che cosa stai combattendo?^

Per che cosa stai combattendo?

(Questa canzone è dedicata a Ulrike Meinhof)


Sono un rivoluzionario incompatibile di Jean Marc Rouillan

Io non sono un pentito, e neppure un dissociato, gli atti di cui i magistrati mi accusano ne sono la testimonianza. Appartengo anima e corpo alla comunità dei rivoluzionari incompatibili! Fin dalle prime parole la mia scrittura non ha cercato quindi di strapparmi a questa natura inespugnabile. Né a rendermi vendibile e perciò accettabile agli occhi di una folla di comparse che mi ha demonizzato e condannato perché la nostra lotta di rottura ha rivelato l’ampiezza della loro collusione con i regimi predatori dei centri imperialisti.
Non sono un intellettuale e non mi porto dietro nessun bagaglio universitario. Clandestino precoce, la mia educazione l’hanno fatta la lotta e la galera. I vecchi parlavano giustamente dell’università del popolo. Solo la pratica e lo spirito di resistenza intrattengono e sviluppano la cultura antagonista degli oppressi. È in questo filone che iscrivo le mie parole. Descrivono condizioni di sfruttamento e di oppressione, cioè situazioni di classe. Sono testimonianze. Né un’immagine, né un bel ritornello mi allontanano da questo impegno.
La scrittura di resistenza slegata dalla pratica reale non è nulla o è ben poca cosa. Solamente parole. Parole orfane, parole senza musica.
Dopo più di 20 anni di galera, di cui 10 in isolamento totale e 10 in carcere di massima sicurezza, la mia scrittura non sa che farsene degli stati d’animo. Assume tutto il suo senso e la sua ragion d’essere nella mia condizione di attore e quindi di testimone principale. Descrivo i meccanismi e i disastri della prigione cellulare che io stesso vivo giorno per giorno e a cui resisto. Lo scritto partecipa al mio rifiuto di soccombere. E al rifiuto di dimenticare la nostra storia e il motivo della rivolta della nostra generazione.
… Così, ad ogni passo in avanti, la mia scrittura non mi allontana mai dalle cause profonde del mio impegno per un mondo senza classi… né prigioni. 
(Carcere di Lannemzan Luglio 2007)

giovedì 15 maggio 2014

Stato di polizia incrementale

Le precedenti dittature fasciste e militari hanno molto in comune con le attuali democrazie tecnocratiche per quanto concerne gli interessi capitalistici, per quanto concerne l'idea di merce, di umanità, di rispetto e dignità, vi è una sostanziale continuità fra esse per come intendono il controllo sulle popolazioni che loro opprimono. Ma ci sono differenze importanti nel come nascano e si vadano a realizzare.
In genere storicamente le dittature a carattere fascista prendono il potere con la forza e la violenza, mettono al bando tutti i partiti dell'opposizione, eliminano le strutture sindacali e chiudono i parlamenti eletti.
Le attuali dittature democratico-tecnocratiche ottengono il potere dalle élites politiche della democrazia oligarchica - una transizione apparentemente pacifica, almeno nelle sue fasi iniziali.
Vengono conservate le facciate elettorali, ma vengono svuotate di contenuti e mutilate, come entità certificate senza obiezioni per offrire una sorta di pseudo-legittimazione, che seduce la stampa finanziaria, e si fa beffe dei cittadini  narcotizzati e ingannati dalla somministrazione sempre più intensiva di programmi televisivi banalizzanti e social media sempre più avvolgenti.
Se le dittature in precedenza si imponevano sin da subito come stati di polizia determinati ad eliminare nel minor tempo possibile tutto il dissenso e l'opposizione. Le attuali democrazie tecnocratiche dittatoriali si fanno precedere da un ingannevole consenso narcotizzato e quindi procedono ad eliminare poco per volta tutto ciò che è ostacolo al profitto, alla mercificazione dell'esistente, donne, uomini, animali e territori vengono piegati dall'ideologia del profitto, tutto diviene merce, tutto è sacrificabile.
Per fare questo si crea uno stato di polizia incrementale si aggravano le pene contro i restitenti, si creano, si immaginano nuovi reati, si ripropongono i reati di opinione, qualunque azione di difesa e di resistenza viene criminalizzata, ogni azione contro diviene atto di terrorismo da sanzionare con detenzioni durissime e lunghissime, Nel contempo si santifica sempre di più il corpo poliziesco, sempre di più la polizia diviene braccio armato del pensiero unico, sempre di più ferisce, picchia, uccide in nome di quel pensiero unico. Il progetto complessivo è chiaro è quello di eliminare ogni dissenso, di eliminare ogni traccia di vita vera, di pensiero, di criticità, il progetto è quello di  rimarcare il potere assoluto della merce, di costringere all'emarginazione qualunque pensiero deviante ed emarginare i devianti  in ghetti sempre più marginali.
Non ci sono quindi sostanziali diffenze fra le dittature fasciste e le dittature democratiche sono versioni più moderne della stessa natura.
Presto o tardi saranno fermati dalle "tracce di vita" che ancora esistono e che ancora pensano, malgrado tutto.  

MONOLOGO DELLA DONNA CHE LAVA L'ACQUA di Juan Manuel Roca

Lavo l'acqua, che è
come lavare la liquidità del tempo
sotto i ponti. 
Fontaniera sono
della segreta rubinetteria del fiume.
Lavo l'acqua, che è
come suonare l'arpa della pioggia,
come far esplodere le chiuse del tempo.
Lavo l'acqua
perché l'albero raddoppi i suoi frutti
nello specchio che si dilegua.
Perché la ragazza nuda
o il bimbo che mangia pesche polpose
lavino la loro pelle con pelle di nuvola.
Lavo l'acqua
perché gli annegati del mondo
realizzino la loro danza muta
in mezzo a un banco di pesci.
Perché il ragno
cammini come un piccolo profeta
sopra il lago,
tocco le acque come la chioma
di un violino.
Sono la piccola adoratrice,
idolatra dal bastone di madreperla.
Sono fatta di tempo,
come l'acqua nel prato,
come l'acqua nell'acqua, come l'acqua.

Antonin Artaud per gli analfabeti

L'anarchia, senza ordine né legge, le leggi e i comandamenti non esistono senza il disordine della realtà, il tempo è la sola legge. Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io.
La rivolta generale degli esseri è stata un sogno che ho osservato come un albero, nel mio angolo, con l'epidermide delle mie mani, e non ero morto, né distrutto, ma nel corpo da qualche parte.
Sono una macchina che funziona benissimo e parte al primo colpo e sono gli esseri che, con la dialettica, fanno sorgere falsi problemi per comprendere esplicitamente quello che dico: che la mia testa funziona.
seguo la mia strada nell'onestà, nel contegno, l'onore, la forza, la brutalità, la crudeltà, l'amore, l'acredine, la collera, l'avarizia, la miseria, la morte, lo stupro, l'infamia, la merda, il sudore, il sangue, l'urina, il dolore. 
Non sono l'intelligenza o la coscienza ad aver fatto nascere le cose ma il dolore mistero del mio utero, del mio ano, della mia enterocolite, che non è un senso, caro signor Freud, ma una massima ottenuta solo soffrendo senza accettare il dolore, senza rivendicarlo, senza imporselo, senza starselo a cercare [...]
Non c'è scienza, c'è solo il niente, e non la supereranno la loro scienza se credono. Non si può vivere con tutti questi parassiti mentali attorno. Io sono colui che ha voluto rendere inutile il segno della croce.
Il dubbio, l'incostanza, l'ignoranza, l'inconseguenza non costituiscono uno stato alterato, ma il solo stato possibile, non esiste l'essere innato che avrebbe infusa la luce, la luce si fa vivendo, ma la sua natura reale è tenebrosa, non riempie mai lo spirito di consapevolezza, ma della necessità di accatastare il suo essere, di raccoglierlo al centro delle tenebre, affermazione consistente di un essere, di una forma che con la sua misura e i suoi appetiti si affermerà, l'essere, non dio, nessun principio innato.
Io non sono mai andato a dire agli intellettuali: che cosa volete? Neppure li ho biasimati, li ho solo scandalizzati con la lingua e i colpi. L'idea che ho di me è che non so nulla e sento sempre qualcosa di diverso in merito a un'idea del dolore e dell'amore che non può non uscirne.
Non ho mai amato l'atmosfera delle case di correzione e non accetto che me la si applichi.
Lo ripeto, a guidarmi non è l'orgoglio letterario dello scrittore che vuole piazzare e veder pubblicato il suo prodotto. Sono i fatti che racconto che voglio che nessuno ignori, i gridi di dolore che lancio e che voglio siano sentiti.
No io, Antonin Artaud, no e poi ancora no, io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come che divori il proprio ventre, da dentro.
Sotto la grammatica si nasconde il pensiero che è un obbrobrio più difficile da battere, una vergine molto più renitente, molto più difficile da superare quando lo si prende per un atto innato.
Perché il pensiero è una matrona che non è sempre esistita.
E che le parole gonfie della mia vita si gonfino nel vivere dei bla-bla dello scritto.
Io scrivo per gli analfabeti.

giovedì 8 maggio 2014

Sullo schermo della televisione non c’è nessuna immagine

Sullo schermo non c’è nessuna immagine: quel che vediamo è solo lo scintillio fosforescente di migliaia puntini luminosi che si accendono e si spengono in rapidissima successione 35 volte al secondo dando vita alle ombre. È una totale illusione ottica, fatta di luce fittizia, di forme fittizie, di movimenti fittizi, che crea un mondo di spettri. L’accendersi e spegnersi di migliaia puntini luminosi, di cui noi non abbiamo coscienza per via della velocità estrema del movimento provoca un effetto di scintillazione simile a quello della luce al neon. Si era pensato che non avesse effetti su di noi, ma ne ha, e come!
Effetti psichici: prima fra tutti la trance ipnotica che sta alla base della sua attrazione, fa della TV una droga vera e propria.
Noi nella vita non smettiamo mai di pensare, lo facciamo automaticamente, è la nostra attività mentale. Ma quando guardiamo la TV, lei ci riempie di immagini, e non pensiamo più. Lei non ci dà il tempo di pensare, non ci dà il tempo per elaborare, interpretare quello che vediamo. È come ingurgitare continuamente senza masticare mai. La norma è una TV fatta si dice per rilassare, calmare, scaricare. In realtà oltre a questo ci inebetisce riempiendoci di immagini. È noi ci perdiamo dentro.
Mentre l’automobile ci ha cambiato il paesaggio del corpo, la TV ci ha cambiato il paesaggio della nostra mente. 
La nostra natura è ormai la TV, ed è una natura morta. E morte sono le mattine e le sere, morte le corte giornate d’inverno e le lunghe sere d’estate, morte le stagioni, morte ammazzate dai milioni di schermi che producono ombre, fantasmi di vite artificiali tutte costruite per scopi che ci sono alieni. Finzioni organizzate, in fondo, per farci consumare e produrre, produrre e consumare, senza altro orizzonte.
E cosa è successo, allo spettatore felice, in tutti questi anni di regno della TV?
È diventato più solo, meno vicino ai parenti, ai vicini di casa, agli amici. È diventato più ingordo, più avido, più insofferente, più insicuro. È diventato più mercenario e più menefreghista. È diventato più competitivo, più arrivista, più egoista. Più schiavo di miti di bellezza, ricchezza e giovinezza che lo schermo gli ha cacciato in testa: sottili digitali indistruttibili catene mentali.  

MARAT-SADE di Peter Brook

La persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell'ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade
Nel manicomio di Charenton, alla presenza di uno scelto pubblico di invitati, il Marchese De Sade dirige i ricoverati nella rappresentazione di un dramma che rievoca l’uccisione di Marat da parte di Carlotta Corday. L’azione scenica viene spesso interrotta dagli interventi degli infermieri e delle suore, che reprimono gli eccessi dei pazzi più intemperanti, e dagli interventi censori del direttore del manicomio Coulmier, che chiede cambiamenti del testo. Alla fine, i ricoverati esplodono in una ribellione che travolge le catene della repressione fisica e ideologica.
De Sade e Marat sono figure che incarnano in modo schematico, didattico, due opposte posizioni ideologiche. Il primo è convinto che la natura sia di per sé portatrice e creatrice di negatività, e che non sia possibile cambiare la vita umana con una rivoluzione, il secondo crede nelle masse popolari, nell’azione rivoluzionaria, nell’utopia socialista. La disputa è dunque fra un’individualismo irrazionale, pessimista e disperato, e un socialismo scientifico, ottimista, coscientemente severo. Nonostante De Sade sia l’unico sano di mente fra i partecipanti alla rappresentazione, il confronto dialettico fra quelle due tesi è equilibrato, soprattutto in virtù dell’importante ruolo rivestito nella vicenda dal popolo-coro dei ricoverati.
Nella sequenza finale, la rivolta dei pazzi non è soltanto una furia devastatrice che parzialmente accontenta le istanze irrazionali e apocalittiche espresse da De Sade, ma è soprattutto cosciente ribellione contro la repressione fisica e ideologica esercitata su di loro.
Come il popolo è protagonista della storia, così i ricoverati del manicomio sono motore dell’azione e ispiratori del dibattito ideologico. La rivolta finale non rappresenta quindi l’esplosione dell’aggressività di un gruppo di pazzi eccitati dal ricordo delle vicende della Rivoluzione Francese, ma la volontà di rovesciare una condizione umana degradata. Il manicomio è un elemento del sistema repressivo costruito dalla classe che è al potere per dominare i diversi; come tale, simboleggia lo stato di oppressione in cui il popolo è costretto dal potere borghese tout court. Particolarmente efficaci sono i mezzi, finemente ironici, con cui Peter Brook individua la classe dominante dell’epoca della Restaurazione come la splendida sequenza in cui i pazzi cantano la Marsigliese e tutto il pubblico si alza in piedi.
In Marat-Sade la follia diventa metafora privilegiata e più autentica della passione o il logico approdo di qualsiasi forte emozione.

DIFFIDATE DELLA REALTA'

Abbiamo lentamente sentito la vostra decomposizione nella translucida follia che guidava i vostri soviet girotondi trasformati in meccanicistici gesti rituali.........
Vi abbiamo osservato a lungo at/raverso i nostri profetici caledoscopi...
Abbiamo visto le mille immagini frantumate e ingiallite dei vostri volti decomposti dalla MILIZIA INDIANA.........
Abbiamo visto i vostri occhi incavati nelle fosse dell'ironia iconoclasta che ha spezzato la vostra umanità..per gioco.........
Abbiamo lentamente sentito la vostra decomposizione e ridacchiando l'abbiamo accelerata....... 

IL GIOCO NON CI VA......UACHIUARIUARIUA'
ma non ci basta aspettare che il vento porti via i vostri
cadaveri....... Ci sono ancora non morti che trascinano i loro colori imposti tra le cristalline foreste mummificate dell'aggregazione.......
Canticchiando con Arianna abbiamo spezzato il filo che vi avrebbe permesso di uscire dal labirinto metropolitano... perchè LO SWING E' NELLA P.38 CON ALLEGRIA... SHABADABADA'! DISPERAZIONE E' BELLO....VOGLIAMO RENDERVI LA GIOIA WAM WAM!
IL MOVIMENTO E' UN FLUSSO CREATIVO DI VIBRAZIONI INCRISTALLIZZABILI E LA FLUIDITA' NE E' L'ESSENZA DIS/AGGREGANTE.
PARTITO COMBATTENTE O PARTITO INDIANO?! OASK?! TUTTO E SUBITO SENZA MEDIAZIONI!!!!!!!!!!! 

PIPAUA E' IN OASK?!
DIFFIDATE DELLA REALTA'....DIFFIDATE DELLO STATO DI AGGREGAZIONE PRESENTE!!
FUORI DAL LABIRINTO METROPOLITENSE ESPLODE L'IPOTESI COMBATTENTE WOWDADAISTA PER LA DIS/AGGREGAZIONE DELLA NECESSITA' AGGREGANTE.. OASK?!
L'operosità operaia ci consente di s/guardare alla catena con allegria.... la nebbiolina gasata delle mozioni ci permette di aspettare con tranquillità che l'erba cresca..
il vostro leninismo ci dà la gioia di poter scendere dal treno blindato e andare autonomamente a piedi....
DIS/AGGREGHIAMO LO STATO MARCESCENTE DI AGGREGAZIONE PRESENTE NELL'ESPLOSIONE INCONTROLLABILE E VIOLENTA
DELL'AREA DELL'AUTONOMIA CREATIVA...........


(gli indiani metropolitani in dis/aggregazione sono in OASK!? Roma 1977)

giovedì 1 maggio 2014

Una SCUOLA altra

“Ciò di cui vi impadronirete vi apparterrà veramente soltanto se lo renderete migliore; nel senso in cui vivere significa vivere meglio. Occupate dunque gli edifici scolastici anziché lasciarvi possedere dal loro sfacelo programmato. Abbelliteli secondo il vostro gusto, che la bellezza incita alla creazione e all’amore, mentre la bruttezza attira l’odio e l’annientamento. Trasformateli in atelier creativi, in centri d’incontro, in parchi dall’intelligenza attraente. Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, come gli orti che i disoccupati e i più deboli non ancora avuto l’immaginazione di piantare nelle grandi città sfondando il bitume e il cemento.
Gli errori e i tentativi di chi intraprende di creare e di crearsi non sono niente a confronto del privilegio che conferisce una tale decisione: abolire il timore di essere se stessi che segretamente nutre e sollecita le forze della repressione.
Noi siamo nati, diceva Shakespeare, per camminare sulla testa dei re. I re e i loro eserciti di boia sono ormai polvere. Imparate a camminare soli e sfiorerete coi piedi quelli che, nel loro mondo che muore, non hanno che l’ambizione di morire con lui.
Sta alle collettività di allievi e professori il compito di strappare la scuola alla glaciazione del profitto e renderla alla semplice generosità dell’umano. Perché bisognerà presto o tardi che la qualità della vita trovi accesso alla sovranità che un’economia ridotta a vendere e a valorizzare il suo fallimento le nega.
Dal momento in cui voi formulerete il progetto di un insegnamento fondato su un patto naturale con la vita, non dovrete più mendicare il denaro di quelli che vi sfruttano e vi disprezzano approfittando di voi. Quel denaro lo esigerete perché saprete come e perché impadronirvene.
Si è al di sotto di ogni speranza di vita finché si resta al di qua delle proprie capacità”

(Tratto da Avviso agli studenti di (Raoul Vaneigem, 1995) 

La Rivoluzione bisogna farla e non aspettarla

In una parola, l'innamorato della vita vuol goderla pienamente. Non potrei definire ciò che è la felicità: però anche il refrattario che non si adatta all’ambiente prova soddisfazioni. Mi si dirà che questa lotta (per migliorare il domani)  è piena di ostacoli, che i cardi della via sono molti. Però, se vi piacciono ardentemente delle rose fragranti, rosse come il sangue che vi scorre generoso per le vene, e per coglierle, onde offrire all’essere più amato, dovete attraversare una palude od una spinosa boscaglia, sono sicuro che supererete questi ostacoli e, giungendo alla meta, infangati, insanguinati, e sgualciti, spunterà un sorriso trionfale, d’immensa soddisfazione, su le vostre labbra.
Non concepisco che vi siano individui i quali vivono la vita in modo burocratico. Ristagnano, vegetano e muoiono. 
Io opino che la Rivoluzione bisogna farla e non aspettarla. Ecco perché qualunque atto contro lo Stato e contro gli altri puntelli dell’attuale regime è necessario quindi plausibile. 
Il senso della vita in tutta la sua pienezza, nell’ambiente in cui viviamo, forma questa corrente d’azione che fa tremare l’ordine costituito.
(Severino Di Giovanni 1901 - 1931)  

PRIMO MAGGIO 2014