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giovedì 31 ottobre 2013

La Resistenza e la Difesa della Terra e del Territorio

Per noi, popoli del Mondo, la terra è la madre, la vita, la memoria ed il riposo di nostri antenati, la casa della nostra cultura e del nostro modo. La terra è la nostra identità. In lei, da lei e per lei siamo. Senza lei moriamo, anche se ancora vivi. 
La terra per noi non è solamente il suolo che calpestiamo, seminiamo e sul quale crescono i nostri discendenti. La terra è anche l'aria che, fatta vento, scende e sale per le nostre montagne; l'acqua che come sorgenti, fiumi, lagune e piogge, si fa vita nelle nostre semine; gli alberi e le foreste che creano frutti ed ombra; gli uccelli che ballano nel vento e cantano tra i rami; gli animali che con noi crescono, vivono e si alimentano. La terra è tutto ciò che viviamo e moriamo.
La terra per noi non è una merce, nello stesso modo in cui non sono merce né gli esseri umani né i ricordi né i saluti che diamo e riceviamo dai nostri morti. La terra non ci appartiene, apparteniamo a lei. Abbiamo ricevuto l'incarico di essere suoi guardiani, di averne cura, di proteggerla, così come lei ci ha curato e protetto in questi anni di dolore e resistenza.
Noi siamo guerrieri. Non per vincere e soggiogare il diverso, che vive in un altro luogo, che ha altri modi. Siamo guerrieri per difendere la terra, nostra madre, la nostra vita. Per noi questa è la battaglia finale. Se la terra muore, noi moriamo. Non c'è domani senza la terra. Chi vuole distruggere la terra è tutto un sistema. Questo è il nemico da vincere. "Capitalismo" si chiama il nemico.
Noi pensiamo che non è possibile vincere questa battaglia se non ci accompagniamo nella lotta con gli altri popoli, se non lottiamo insieme agli altri che hanno altri colori, tempi e modi, ma soffrono anch'essi degli stessi dolori. Per questo camminiamo, con l'udito ed il cuore aperti, per gli angoli del nostro paese. Per cercare e trovare quelli che dicono o vogliono dire "Basta!", quelli che hanno scoperto che il nome del loro nemico è lo stesso che ci uccide e fa soffrire.
Noi pensiamo che non basta più solo resistere ed aspettare l'attacco, uno dopo l'altro, del prepotente e del denaro. Crediamo che la forza ora necessaria per sopravvivere, sia sufficiente per farla finita con le minacce. È l'ora.
Né all'albero né al bosco. Noi, per capire e sapere che cosa fare, guardiamo in basso. Non in segno di umiltà, non per consegnare la nostra dignità, ma per leggere ed apprendere quello che non è scritto, per cui non ci sono parole ma sentimenti, per vedere nella terra le radici che sostengono, là in alto, le stelle.

SOLO UNO SCIOCCO SI SCIOCCA

Solo uno sciocco si sciocca
A vederli passare. 
Di mestiere raccolgono fucili che cadono dalle mani dei cadenti e se lo passano.
Diteci voi i vostri, di mestieri, se ne avete il coraggio!
Fu così che arrivai dopo in piazza e chiesi a un vigile 
“il corteo dov’è”
“già andati” – mi rispose
“erano tanti?”
“uh, centomila …”
“ma violenze, sussulti, casini, turpitudini?”
“macché, tutta gente che lavora”.
E corsi alla rincorsa giù dal corso – lì li vidi passare belli e torvi, riconobbi Fosco e Ludmilla (bellissima lei, le bandoliere incrociate sul petto, urlava: “non è una tetta è una Berretta”) sciolta le trecce morbide scandiva il passo ognuno esibendo la cosa tra le dita, mia figlia cantilenò
“44 magnum in fila per tre col resto di due …”
(Dario ha colpito ancora scrivendo sul diario: “andai per amarli e li trovai che cospiravano”).
Cospirate, cospirate, qualcosa resterà..
Io cospiro col respiro – per controllare e sviluppare le mie emozioni – tu cospiri e non respiri egli respira e non cospira – ahimè – volevo tremare al vibrare delle tue ciglia e invece NON POSSUMUS 
“cossiga ridendo mores”
Dove sei finito Totò, ora che abbiamo bisogno di te.
(Wow,  Milano aprile 1977) 

  

Nestor Makhno il contadino

Chi era in realtà Nestor Makhno? Contadino che si era emancipato fino a diventare rivoluzionario, operaio e organizzatore politico. Non era mai stato un maestro di scuola, come si diceva. A sedici anni non ancora compiuti era entrato nel movimento rivoluzionario; prese parte alla prima rivoluzione del 1905 e nel 1908, in seguito a un attentato, fu arrestato e condannato a morte. Solo in considerazione della giovane età la pena fu commutata nei lavori forzati a vita. È in prigione che Makhno studia e diventa anarchico. In prigione conosce Arsinov, che avrà una parte di primo piano nella lotta partigiana e che diverrà in seguito biografo di Makhno e della makhnovcina. In prigione Makhno si ammala di tubercolosi (la malattia che lo stroncherà ancora giovane a Parigi nel 1934, dove esule camperà facendo l’operaio). 
Sarà liberato solo dall’insurrezione del marzo 1917.
Nell’agosto del 1921, ferito alla testa da una pallottola durante l’ultimo combattimento, si rifugia in Romania ove viene subito internato. Dopo qualche mese riesce a fuggire dal campo di concentramento e penetra in Polonia ma viene di nuovo catturato e rinchiuso in un lager ancora più infame. Fugge di nuovo e aiutato dai suoi seguaci che si trovano in Germania, raggiunge Berlino. Riunitosi ai vecchi compagni, riprende la lotta, questa volta con la penna.  Da Berlino passa a Parigi, ove conduce un’esistenza più calma ma di grande miseria materiale. Comincia a scrivere le sue memorie, che la morte prematura interrompe al periodo 1917-18, all’inizio del movimento che prese il suo nome.
“La makhnovcina non è anarchismo. L’armata makhnovcina non è un’armata anarchica, non è formata da anarchici. L’ideale anarchico di felicità e uguaglianza generale non può essere raggiunto attraverso lo sforzo di una qualsiasi armata, anche se formata esclusivamente di anarchici. L’armata rivoluzionaria, nel migliore dei casi, potrebbe servire alla distruzione del vecchio e aborrito regime; nel lavoro costruttivo, nell’edificazione e nella creazione, qualunque armata, che logicamente non può che fondarsi sulla forza e il comando, sarebbe completamente impotente e persino nociva.
Perché la società anarchica diventi possibile, è necessario che in ogni luogo, in ogni città, in ogni villaggio, si risvegli tra i lavoratori il pensiero anarchico; è necessario che gli stessi operai nelle fabbriche e gli stessi contadini nei loro paesi e villaggi, si pongano alla costruzione della società anti-autoritaria, senza attendere da alcuna parte i decreti-legge. Né le armate anarchiche, né gli eroi isolati, né i gruppi, né la Confederazione anarchica, creeranno per gli operai e i contadini una vita libera. Soltanto i lavoratori stessi, con sforzi coscienti, potranno costruire il loro benessere senza Stato né padrone". 

giovedì 24 ottobre 2013

UNA VOLTA

Una volta, le strutture di base del patriarcato era la famiglia nucleare e a chiedere la sua abolizione è stata una richiesta radicale. Ora le famiglie sono sempre più frammentate: nonostante questo, quanto, di fondo, si è ampliato il potere delle donne o l’autonomia dei bambini?
Una volta, si poteva parlare di una cultura sociale e culturale tradizionale e la stessa sottocultura pareva sovversiva. Ora, per i nostri capi la diversità è un bene prezioso, e la sottocultura un motore essenziale della società dei consumi: quante più identità, tanti più mercati.
Una volta, la gente cresceva nella stessa comunità di genitori e nonni, e viaggiare poteva essere considerato una forza destabilizzante, capace di interrompere configurazioni sociali e culturali statiche. Oggi la vita è caratterizzata da un costante movimento nel quale la gente lotta per stare al passo con le richieste del mercato; al posto di configurazioni repressive, abbiamo una transitorietà permanente e l’atomizzazione universale.
Una volta, i lavoratori si fermavano per anni o decenni nel solito impiego, sviluppando legami sociali e punti di riferimento comuni tali da rendere possibili i sindacati vecchio stile. Oggi, l’occupazione è sempre più temporanea e precaria, e sempre più lavoratori passano dalle fabbriche alla flessibilità obbligatoria  e i sindacati al settore dei servizi.
 Una volta, il lavoro salariato era una sfera distinta della vita, era facile riconoscerlo e ribellarsi contro i modi in cui veniva sfruttato il nostro potenziale produttivo. Ora, ogni aspetto dell’esistenza sta diventando lavoro, nel senso di attività che produce valore per l’economia capitalistica: guardando il proprio account di posta elettronica si aumenta il capitale di coloro che vendono pubblicità. Al posto di ruoli distinti e specializzati nell’economia capitalistica, vediamo sempre più la produzione collettiva e flessibile di capitale, in gran parte non pagata.
Una volta, il mondo era pieno di dittature nelle quali il potere era dichiaratamente esercitato dall’alto e poteva essere contestato in quanto tale. Ora stanno cedendo il passo a democrazie che sembrano includere più persone nel processo politico, legittimando così i poteri repressivi dello Stato.
Una volta, l’unità essenziale del potere statale era la nazione, e le nazioni competevano tra loro per far valere i propri interessi individuali. Nell’era della globalizzazione capitalista, gli interessi del potere statale trascendono i confini nazionali e il modello dominante di conflitto non è la guerra, ma il controllo poliziesco. A volte viene utilizzato contro le nazioni canaglia, ma è attuato continuamente nei confronti delle persone.
Il punto non è condannare il corso della storia o lagnarsi del fatto che ci hanno rubato le invenzioni, ma capire come alcune delle nostre stesse forme di resistenza siano diventate parte del mondo che cerchiamo di cambiare.

KILL FOR PEACE - Fugs

Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Nel vicino, nel medio e nell'estremo Oriente
Nel lontano, nel vicino o nel medio Oriente

Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Se non ti piace quella gente
o il modo in cui parlano,
Se non ti piace come si comportano
o il modo in cui camminano

Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace

Se non li ammazzi
ti ammazzeranno i cinesi
Se non vuoi che l'America
giochi un ruolo di secondo piano
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace

Se li lasci vivere
potrebbero aiutare i russi
Se li lasci vivere
potrebbero amare i russi
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace

Ammazzali, ammazzali, punisci quegli stronzi di musi gialli!

Il solo muso giallo 
di cui un americano può fidarsi
è quello che gli hanno
rotto la testa gialla.

Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ti farà

sentire così bene,
come il mio capitano
disse che dovrebbe essere
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace

Ammazzare ti darà
sollievo alla mente
ammazzare ti darà
una grande liberazione

Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace
Ammazza, ammazza, ammazza per la pace

Intossicati dalla credenza in un avvenire migliore



Intossicati dalla credenza in un avvenire migliore, gli individui cessano di fidarsi del proprio giudizio e chiedono che gli si dica la verità su ciò che «sanno». Intossicati dalla credenza in un migliore decision-making, stentano a decidere da soli e ben presto perdono fiducia nella propria capacità di farlo. La crescente impotenza dell’individuo a decidere da solo incide sulla stessa struttura delle sue aspettative. Mentre una volta gli uomini si disputavano risorse realmente scarse, oggi reclamano un meccanismo distributore per colmare una carenza che è solo illusoria.
Gli individui, che hanno disimparato a riconoscere i propri bisogni, come a reclamare i propri diritti, divengono preda del sistema che definisce in vece loro le loro esigenze e rivendicazioni. La persona non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. L’uomo arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede dinanzi allo schermo e tace.
Le regole del senso comune che permettevano alla gente di unire e scambiarsi le proprie esperienze sono distrutte. Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l’uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone.

La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. Riponendo la propria fede nell’esperto, l’uomo si spoglia prima della sua competenza giuridica e poi di quella politica. La fiducia nell’onnipotere della scienza induce i governi e i loro amministrati a cullarsi nell’illusione di poter eliminare i conflitti suscitati da un’evidente rarefazione dell’acqua, dell’aria o dell’energia, a credere ciecamente agli oracoli degli esperti che promettono miracolose moltiplicazioni.
Nutrita del mito della scienza, la società abbandona agli esperti persino la cura di fissare i limiti dello sviluppo. Una simile delega di potere distrugge l’intero funzionamento politico; alla parola come misura di tutte le cose sostituisce l’obbedienza a un mito, e alla fine legittima in un certo senso anche la conduzione di esperimenti sull’uomo. L’esperto non rappresenta il cittadino, fa parte di una élite la cui autorità si fonda sul possesso esclusivo di un sapere non comunicabile; ma questo sapere, in realtà, non gli conferisce alcuna particolare attitudine a definire i confini dell’equilibrio della vita. L’esperto non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana: è la persona che la determina, nella comunità; e questo suo diritto è inalienabile.

giovedì 17 ottobre 2013

PAURA E LIBERTA'


L’effetto più crudele e più efficace  che la società delle merci ha prodotto sugli individui, e che più di ogni altro ne condiziona le scelte, si identifica in un  disagio psichico invalidante e costante, che ne compromette ogni forma di razionalità, di felicità, di passione e di sentimento di solidarietà. L’origine di questo stato mentale, si colloca in quella dimensione di grande paura architettata ad arte dal Sistema Potere, in virtù della quale è in grado di influenzare e suggestionare i comportamenti individuali, omologandoli ai suoi interessi particolari e più nefandi. Questa eccezionale forma di omologazione, dettata dalla paura, costringe gli individui ad adeguarsi ad una sottocultura dominante, inattiva e monolitica, impedendo ogni impulso liberatorio e rivoluzionario. La paura di essere additato come “diverso” fa precipitare in uno stato di angoscia persistente che solo un rientro nell’omologazione, può attenuare. Questo è lo spaccato delle nostre moderne società liberiste, che per tale motivo, non sono in grado di aspirazioni, personalizzazioni e di rivoluzioni. L’uso politico della paura, brandita come arma, attraverso l’opera di mistificazione della verità e di contraffazione della realtà, si prefigge lo scopo di allertare e dissuadere la gente da scelte personali, incompatibili con le strategie populiste e perverse del potere. La paura indotta dall’incertezza economica, dalla precarietà del lavoro, dall’assenza di futuro, dal trauma della separazione, e ancora, la paura del diverso, sono le forme patologiche della paura, indotte da una condizione sociale e ambientale già oltre i ragionevoli limiti della comprensione. Tutte quante insieme, sono l’estensione di quel primario disagio esistenziale che si identifica nella paura della morte.
Un tale stato di cose, non è che risultato dell’assenza di spiritualità, congiunta alla perdita di autonomia, di autosufficienza e indipendenza culturale e, più in generale, di quella autentica libertà che trasforma in civile una società devastata dalla barbarie.

Abbiamo mercificato le nostre originarie responsabilità individuali, rinunciando agli indispensabili parametri di riferimento, in cambio di subdole dipendenze, effimera vanità e quotidiana trasgressione. Ci hanno spacciato licenza per libertà, e omologazione per benessere, e tutto questo si è tradotto in paura, incertezza e frustrazione. La paura, coincide con la perdita della speranza e con l’impossibilità di intravedere un futuro. Questo perché, l’uomo tecnologico si è trasformato in un idolatra,  in perpetua adorazione di un mondo che ha mitizzato vergogne, menzogne e infamia, a fronte di paura e schiavitù.
Solo se saremmo in grado  di  riaffermare la nostra autonomia, se saremo capaci di non delegare ad alcuno le nostre aspettative di felicità, le nostre speranze, se torneremo a gestire noi stessi le nostre capacità, se saremo fino in fondo meravigliosamnete disubbidienti, se scacceremo gli stregoni del mercato, gli stregoni del lavoro, gli stregoni della conoscenza e della medicina, potremo liberarci dalla paura e tornare a ricostruire comunità di uomini liberi.

NON TUTTI SONO DISPOSTI A SALIRE SU QUEL TRENO

I padroni del cemento e dei camion, gli specialisti della menzogna e della repressione sono al lavoro, in val di Susa, nel Veneto, in Emilia, Toscana, fino a Napoli. Ognuno a proprio modo si sta dando da fare, questa volta con il TAV, a piegare la nostra vita ai loro criteri. In nome di una crescita economica presentata come indispensabile (e mai raggiunta), di un’Economia a cui bisogna sacrificare tutte le energie umane vogliono, nel caso del Treno ad Alta Velocità farci credere che la posta di tonnellate di cemento, il livellamento di colline, le gallerie nelle montagne, la distruzione irreversibile del territorio in cui viviamo sia un bene collettivo o il male minore da accettare. Una menzogna evidente, incapace di dissimulare gli affari e gli interessi organizzati di quanti nel business sono coinvolti. La gente sente che si sta compiendo un’altra spoliazione, un altro grave attentato alla propria vita.
L’evidenza del disastro di cui il TAV è un tassello incomincia a far agire le persone, ad allargare il numero di quanti iniziano a rovesciare l’ansia sterile e sventurata per un proprio futuro di senzalavoro, senza merce, senza spettacolo, in riappropriazione del presente.
Questo fa paura. E agiscono cercando di sterilizzare, di recuperarci alle loro miserie, di dividere, di confondere e di reprimere.
Per il TAV cercano di occultare i disastri che stanno facendo e le rapine che hanno già fatto con le tangenti, uccidendo e imprigionando, spingendo i loro mezzi d’informazione a montare campagne criminalizzatrici per nascondere il rumore delle ruspe; incriminano e imprigionano per reclamare la militarizzazione dei territori e impedire ogni opposizione.
Il TAV è l’ennesima operazione per piegarci, per costringerci a muoverci alla loro velocità, per raggiungere più velocemente la miseria di Torino partendo da quella di Milano, Trieste o Napoli, tra paesaggi desolati, in una corsa sterile di uomini senza vita tra luoghi senza vita.
Non tutti sono disposti a salire su quel treno. 
(Volantino distribuito da El Paso Nautilus Fottinprop Torino 04-04-1998)

KRONSTADT 1921

Gli anarchici hanno dato ampio contributo allo sviluppo della Rivoluzione in Russia perché da politica si trasformasse in sociale.
Eppure a Pietrogrado, nella primavera del 1921, lo stato d’assedio continuava ed era quasi impossibile aggirarsi per le strade. Pietrogrado sembrava una città morta; circolavano soltanto soldati e operai armati. Non si trovava un solo anarchico in libertà. solo a Mosca qualche gruppo viveva di vita stentata: la Federazione anarchica, il gruppo anarco-sindacalista Golos Truda, quello degli Universitari. Si vedevano qualche volta i militanti più famosi, come Emma Goldman appena giunta dagli Stati Uniti che l’avevano messa al bando, Aleksandr Berkman e altri che non facevano parte di nessun gruppo: ma erano sorvegliatissimi. Molti di questi anarchici avevano collaborato fino a quel momento col governo bolscevico. Che cosa era dunque successo? Due eventi storici gravissimi: la repressione in Ucraina contro i Maknovisti e la distruzione del Soviet dei marinai di Kronstadt, in cui erano rappresentati comunisti, anarchici e altre forze rivoluzionarie.
La città fortezza di Kronstadt, principale base della flotta russa nel Baltico, posta a difesa della capitale Pietrogrado, fu costruita nel 1710 da Pietro il Grande. Lungo tutta la storia del movimento rivoluzionario russo, e in particolare negli eventi che portarono alla vittoria la rivoluzione sovietica, la guarnigione di Kronstadt ebbe funzione di guida e di esempio. I marinai di Kronstadt, onore e gloria alla rivoluzione, come li aveva definiti Trotzki nel 1917, testimoni appassionati del logoramento dello spirito rivoluzionario e della fame terribile di cui pativano le masse lavoratrici russe, insorgono nel tentativo di restaurare la democrazia operaia  diretta nel partito. La rivolta dura dal 28 febbraio al 18 marzo 1921 e viene spietatamente repressa dall’Armata Rossa.
Con la parola d’ordine liberi Soviet i marinai della base navale del golfo di Finlandia si ribellarono contro il governo bolscevico, che pure avevano aiutato a conquistare il potere, e fondarono una comune rivoluzionaria che sopravvisse 18 giorni, prima di soccombere di fronte alle truppe inviate contro di loro attraverso il ghiaccio. I marinai avrebbero potuto difendersi bombardando e spezzando il ghiaccio, ma non lo fecero. La battaglia fu, comunque lunga e selvaggia e le perdite gravi da entrambe le parti.
Gli anarchici scampati al massacro sostengono che si tratta della prima gravissima manifestazione di terrore di tipo staliniano ai danni della sinistra rivoluzionaria, e sottolineano il fatto che gli stessi bolscevichi autori diretti o indiretti della repressione finiranno vittime della controrivoluzione stalinista.
E così decine e decine di vecchi bolscevichi, nomi noti e meno noti che accorsero a battersi contro i rivoltosi di Kronstadt convinti di difendere la rivoluzione, mentre in realtà aprivano la strada alla dittatura staliniana, che si impadroniva del partito approfittando della fame, dell’arricchimento dei contadini, della morte dei veri rivoluzionari nella guerra civile, e soprattutto delle condizioni in cui versava la Russia, sola e arretrata.   

giovedì 10 ottobre 2013

IL MITO DEL CITTADINO

Per recuperare e disattivare la ribellione sociale, in primo luogo quella dei giovani, contraria alle nuove condizioni del dominio, quelle che obbediscono al meccanismo costruzione/distruzione/ricostruzione tipico dello sviluppo, si mette in movimento una visione degradata della lotta di classe, i cosiddetti movimenti sociali, tra cui quelli delle piattaforme. 
Per quelli che non desiderano un altro ordine sociale, il mito del cittadino può vantaggiosamente sostituire quello del proletariato nei nuovi schemi ideologici. Il cittadinismo è il figlio più legittimo dell’operaismo e del progressismo entrambi antiquati. Non nasce per seppellirli, ma per rivitalizzare il cadavere. In un momento in cui non c’è dialogo più autentico di quello che può esistere tra i nuclei ribelli, esso pretende di dialogare solo con i poteri, aprire breccia da cui provare a negoziare. Ma la comunità degli oppressi non deve cercare di coesistere pacificamente con la società che opprime, poiché la sua esistenza non trova giustificazione che nella lotta contro questa.
Un modo diverso di vivere non deve basarsi sul dialogo e sul negoziato con le istituzioni portati avanti nel modo servile di prima. Il suo rafforzamento non verrà dunque né da una transazione, né da una qualsivoglia crisi economica, ma da una secessione di massa, da una dissidenza generalizzata, da una rottura drastica con la politica e il mercato. In altri termini, da una rivoluzione di nuovo tipo, una rivoluzione da inventare strada facendo. Poiché la strada opposta alla rivoluzione conduce non solo all’infelicità e alla sottomissione ma anche all’estinzione biologica dell’umanità.

VOGLIO DARE UN COLTELLO AGLI UOMINI di Massimo Bontempelli

Voglio dare un coltello agli uomini 
per troncare l’Eternità.
Questa eternità che li ha triti.
E poi ne comincia una nuova
sopportano anche quella 
ma avranno imparato una volta 
che anche l’Eternità
è una mortale com’essi.
La maciullano a loro voglia 
fanno del tempo un giocattolo
rimpastano con le mani
le idee eterne che stanno in cielo
soffiano sulla luce al creatore.
Come si divertiranno gli uomini
quando avranno un coltello
per tagliare l’Eternità.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELLA MADRE TERRA

Preambolo
Noi, i popoli e le nazioni della Terra: Tenendo presente che facciamo parte di Madre Terra, una comunità indivisibile, viva, di creature in relazione e interdipendenti tra loro, con un destino comune; nel riconoscere con gratitudine che Madre Terra è la fonte della vita, del nutrimento e dell'apprendimento e che ci fornisce tutto l'occorrente per vivere bene; nel riconoscere che il sistema capitalista e tutte le forme di saccheggio, sfruttamento, abuso e contaminazione hanno provocato grande distruzione, degrado e sconvolgimento della Madre Terra, mettendo a rischio la vita per come la conosciamo oggi attraverso fenomeni quali i cambiamenti climatici; convinti che non è possibile, in una comunità viva e interdipendente, riconoscere solo i diritti degli esseri umani senza provocare uno squilibrio con la Madre Terra; nell'affermare che per garantire i diritti umani è necessario riconoscere e difendere i diritti della Madre Terra e di tutte le sue creature e che esistono culture, pratiche e leggi che fanno questo; consapevoli dell'urgenza di intraprendere un'azione collettiva risolutiva per trasformare  le strutture e i sistemi che provocano il cambiamento climatico e le altre minacce alla Madre Terra; proclamiamo questa
Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra
e ne chiediamo l'adozione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite come modello di realizzazione per tutti i popoli e tutte le nazioni del mondo, al fine che ogni individuo e ogni istituzione si assuma la responsabilità di promuovere il rispetto dei diritti riconosciuti in questa Dichiarazione, attraverso l'insegnamento, l'educazione e la presa di coscienza, per affermare, con misure e meccanismi nazionali e risoluti e illuminati, il loro riconoscimento universale ed efficace e il loro rispetto tra tutti i popoli e gli Stati del mondo

giovedì 3 ottobre 2013

LA MAKHNOVCINA

Il filone reazionario della presenza contadina nella storia russa è spezzato dalla makhnovcina, la rivoluzione libertaria ucraina che prende nome da Nestor Makhno e che affonda le sue radici nella tradizione dei ribelli e della comune agricola. Nato a Gulae-Pole nel 1889, da poverissima famiglia contadina, Nestor Makhno era stato successivamente custode di vacche, lavoratore agricolo e operaio. Nella prigione Butirky di Mosca divenne amico di Piotr Arsinov, un vecchio operaio metallurgico ed ex bolscevico convertitosi all’anarchismo, il quale fece conoscere al giovanissimo ribelle le idee di Kropotkin e Bakunin. Liberato nel febbraio 1917, Nestor ritornò al paese natale per organizzare un’associazione di contadini di Gulae-Pole.
Gulae-pole era allora una cittadina di circa 30.000 abitanti, con diverse fabbriche. Un certo sviluppo della produzione e del commercio dei cereali aveva fatto sì che in questa zona scarsamente popolata si affermasse l’uso di manodopera salariata e di macchine al posto dei servi.
L’associazione dei contadini di Gulae-Pole s’impadronì delle terre dei latifondisti locali e le distribuì tra i contadini poveri. Vennero fondate comuni a partecipazione volontaria con 100-300 membri. Gli operai gestirono le piccole fabbriche e i cereali vennero scambiati con i manufatti delle città.
Per difendere questa piccola società anarchica, Makhno organizzò unita guerrigliere a cavallo capaci di grande mobilità e dotate di mitragliatrici montate su piccoli carri trainati da cavalli (tacanki). Si trattava di guerriglieri che potevano riunirsi con grande rapidità e disperdersi altrettanto rapidamente tra i contadini che li avvertivano in caso di attacchi controrivoluzionari. I comandanti erano in maggioranza contadini, ma non mancavano gli operai.
Alla fine del 1919, momento di maggior diffusione del movimento makhnovista, gli effettivi qi questa armata anarchica superarono le cinquantamila unità, che disponevano di armi strappate al nemico, compresi cannoni, treni e autoblinde. Dal 1917 al 1921 la bandiera nera dell’anarchia sventolò libera al vento proteggendo i lavoratori liberati dal lavoro salariato: la makhnovcina, forza di combattimento autonoma, funzionava come una repubblica di tacanki. Essa si rifiutò di accettare la cessione dell’Ucraina all’Austria - Ungheria e ai suoi alleati ucraini, che i bolscevichi avevano dovuto subire col trattato capestro di Brest – Litovsk.
Nestor Makhno

In diverse occasioni Makhno aveva collaborato con i bolscevichi per respingere l’invasione dei russi bianchi, e nell’autunno del 1919 aveva dato un contributo fondamentale alla sconfitta del generale Denikin che avanzava al nord. Ma profonde restavano le differenze di metodo, di ideologia, di pratica politica e sociale. Trotzki, il fondatore e capo dell’Armata Rossa, era impegnato nella costruzione di un saldo potere rivoluzionario centrale, e aveva definito banditi i seguaci di Makhno. Né Trotzki né Lenin potevano ammettere l’esistenza di una forza alternativa organizzata. Il governo aveva messo in giro informazioni deformate su Makhno e nell’intera URSS bastava essere tacciato di makhnovista per rischiare la fucilazione.
Nel 1921 al primo congresso dei Sindacati Rossi, il leader bolscevico Bukharin intervenne per difendere le misure repressive del governo, accusando tutti gli anarchici di essere dei banditi che avevano lottato armi alla mano contro il governo di Mosca.
(continua)     

Monty Python and the holy grail

932 d.C. Re Artù persuade Sir Bedevere, Sir Lancillotto il Coraggioso, Sir Galahad il Puro, Sir Robin il Non-Tanto-Coraggioso e Sir Che non Compare in questo Film a unirsi ai Cavalieri della Tavola Rotonda. La loro prima meta è Camelot, ma Dio appare loro indirizzandoli alla ricerca del Santo Graal. Arrivati a un castello francese, vengono presi in giro da un Cavaliere Francese, che li bombarda con animali assortiti. Un Famoso Storico ci informa della decisione dei cavalieri di cercare il Graal individualmente. Ognuno dei cavalieri subisce diverse prove: Sir Robin incontra un polemico cavaliere con tre teste; Lancillotto salva una fanciulla in pericolo, accorgendosi solo dopo che si tratta di quell’idiota del Re del Castello della Palude; avvertiti da un indovino, Re Artù e Bedevere placano i cavalieri del Ni con un sacrificio. Intanto, la polizia comincia a investigare sull’assassinio del Famoso Storico. Finalmente riuniti, i cavalieri sono guidati da Tim l’Incantatore alla caverna di Caerbanog, dove combattono contro la Bestia di Aaaargh. Poi, attraversano il Ponte della Morte, ma solo Artù e Bedevere riescono nell’impresa. Voci guidano i due a una barca incantata che li trasporta al catello di Aaaargh, dove si trova il Santo Graal. Qui, vengono ancora affrontati dal sarcastico Cavaliere Francese, che getta su di loro del concime. Mentre Artù sta organizzando le truppe per la battaglia, arriva la polizia per arrestare i responsabili della morte del Famoso Storico, e il film finisce bruscamente.
Monty Python and the holy grail è un capolavoro di insuperata follia in cui i Monty Python offrono una loro versione del ciclo di Re Artù tra cavalieri senza cavallo, inseguimenti animati interrotti dalla “morte” del disegnatore Gilliam, indovini smemorati e poliziotti che arrestano i Cavalieri della Tavola Rotonda facendo bruscamente terminare il racconto.

Portatori di una irresistibile comicità, i Monty Python hanno rivoluzionato, sin dalla fine degli anni Sessanta, l’idea stessa di comicità e il modo in cui essa veniva espressa in televisione e al cinema. La loro radicale rottura rispetto alla norma è fondata sul nonsense (che ha guidato anche la scelta del nome), su una personale rilettura del music hall, sulla irrisione della middle class e delle tradizioni della società inglese e sull’annientamento sistematico degli standard televisivi. Il loro stile è segnato da un anarchico flusso di coscienza frammentato dalle animazioni di Gilliam in cui ogni logica è bandita o portata all’esasperazione. L’esplosiva macchina comica elaborata è sempre stata sostenuta da una notevole capacità interpretativa in grado di animare adeguatamente tutti i personaggi.   

Soffrire e piangere come devianza


Nel corso delle ultime generazioni il quadro delle malattie che affliggono le società occidentali ha subito spettacolari mutamenti. Generalmente, questo mutato stato di salute è ritenuto equivalente ad una minore sofferenza e attribuito ad una assistenza medica maggiore o migliore. Ma benché quasi tutti credano che almeno uno dei propri conoscenti non sarebbe vivo e vegeto se non fosse stato per l'arte di un medico, in realtà non esiste alcuna prova di un rapporto diretto tra questa mutazione della patologia e il cosiddetto progresso della medicina. I mutamenti sono variabili dipendenti di trasformazioni politiche e tecnologiche, che a loro volta si riflettono in ciò che i medici fanno e dicono; non hanno una relazione significativa con le attività che richiedono la preparazione, la qualifica e le costose attrezzature di cui vanno orgogliose le professioni sanitarie.
La medicina pregiudica la salute non soltanto con la diretta aggressione agli individui, ma anche per l'effetto della sua .organizzazione sociale sull'intero ambiente.  La iatrogenesi sociale designa una categoria eziologica che abbraccia molteplici manifestazioni. Insorge allorché la burocrazia medica crea cattiva salute aumentando lo stress e la paura della malattia, moltiplicando rapporti di dipendenza che rendono inabili, generando nuovi bisogni dolorosi, abbassando i livelli di sopportazione del disagio o del dolore, riducendo il margine di tolleranza che si usa concedere all'individuo che soffre, e addirittura abolendo il diritto di autosalvaguardarsi. La iatrogenesi sociale agisce quando la cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, un prodotto industriale; quando le case diventano inospitali per le nascite, le malattie e le morti; quando la lingua in cui la gente potrebbe fare esperienza del proprio corpo diventa gergo burocratico; o quando il soffrire, il piangere e il guarire al di fuori del ruolo di paziente sono classificati come una forma di devianza.