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giovedì 25 luglio 2013

Eliseo Reclus e la violenza rivoluzionaria

Eliseo Reclus spiega la sua triplice posizione di pazienza, di etica e di tolleranza nei confronti della violenza rivoluzionaria: "Tra il difensore della giustizia e il complice del crimine non ci son vie di mezzo! In questo campo, come in tutte le altre questioni sociali, si pone il grande problema che si discute tra Tolstoi e gli altri anarchici, quello della non-resistenza o della resistenza al male. Da parte nostra, pensiamo che l'offeso che non resiste consegna in anticipo gli umili ed i miseri agli oppressori ed ai ricchi. Resistiamo senza odio, senza rancore né spirito di vendetta, con tutta la dolcezza serena del filosofo e la sua volontà intima in ciascuno dei suoi atti, ma resistiamo!" (...) "Dal punto di vista rivoluzionario, mi asterrò dal preconizzare la violenza e sono desolato quando degli amici trasportati dalla passione si lasciano andare all'idea della vendetta, tanto poco scientifica, sterile. Ma la difesa armata di un diritto non significa violenza" (...) "Quotidianamente si compiono tante ingiustizie, tante crudeltà individuali e collettive che non ci si stupirebbe di vedere nascere continuamente tutta una messe di odii... e l'odio è sempre cieco" (...) "Naturalmente, ammiro la nobile personalità di Ravachol, come si è andata rivelando persino durante gli interrogatorii di polizia. È pure superfluo aggiungere che considero ogni rivolta contro l'oppressione come un atto buono e giusto. "Contro l'iniquità la rivendicazione è eterna". Ma dire che "i mezzi violenti sono gli unici davvero efficaci", oh no, sarebbe come dire che la collera è il più efficace dei ragionamenti! Essa ha la sua ragion d'essere, ha il suo giorno e la sua ora, ma la lenta penetrazione della parola e dell'affetto nel pensiero ha tutt'altra potenza. Già per definizione, la violenza impulsiva non vede che lo scopo; sollecita la giustizia con l'ingiustizia; vede "rosso", ossia l'occhio ha perduto la sua chiarezza. Ciò non impedisce affatto che il personaggio di Ravachol, così come lo vedo io e come lo tramanderà la leggenda, non sia una figura grandissima".

WOMAN IS THE NIGGER OF THE WORLD di John Lennon

La donna è la negra del mondo
Sì lo è… pensaci
La donna è la negra del mondo
Pensaci… fa’ qualcosa in proposito
La costringiamo a dipingersi la faccia e a ballare
Se non vuole essere una schiava, le diciamo che non ci ama
Se è vera, le diciamo che cerca di essere un uomo
Mentre la umiliamo, fingiamo che ci si sia superiore
La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi
Ah, sì… meglio che tu lo gridi forte
La costringiamo a portare in grembo e allevare i nostri figli
E poi la lasciamo avvilita perché è diventata una femmina vecchia e grassa
Le diciamo che a casa è l’unico posto dove deve stare
E poi ci lamentiamo che è troppo ingenua per esserci amica
La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi
Sì… va bene… pensaci!
La insultiamo tutti i giorni in TV
E ci meravigliamo perché non ha coraggio o fiducia
Quando è giovane uccidiamo la sua voglia di essere libera
Mentre le diciamo di non essere così brillante 
La disprezziamo per essere così stupida
La donna è la negra del mondo
Sì lo è… se non mi credi
Dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi
Sì lo è… se mi credi, è meglio che tu lo grida forte
La costringiamo a dipingersi la faccia e a ballare




il processo a Faugoux, Chevenet e Etievant

Il processo a Faugoux, Chevenet e  Etievant per la dinamite di Soisy  sous Etiolles. L'indomani della fine del processo per le vie di Parigi, in ogni pubblico ritrovo sulle cantonate di ogni via e particolarmnte sui pubblici edifici, capeggiava il seguente appello:
AGLI ANARCHICI
Quattro compagni ancora sono caduti sotto la vendetta della borghesia infame: la ferocia chiama la ferocia.
Gli anarchici hanno iniziato gridare al vecchio mondo schiacciato dalla servitù, ch'essi intendono vivere liberi sulla terra libera; al loro grido nessuno ha badato.
Hanno compreso che otterrebbero la libertà soltanto con la rivolta e si sono ribellati.
La borghesia che soffre degli attacchi sempre più frequenti e più violenti mossegli dagli anarchici s'illude di poter distruggere il germe delle ribellioni incoercibili, perseguitando, imprigionando, ghigliottinando gli anarchici.
Evidentemente essa fa i conti senza la nostra energia, compagni.
E' l'ora delle rappresaglie. Alla condanna di Ravachol seguì l'esecuzione di coloro che lo vendettero. Altre seguiranno, e se l'esempio troverà imitatori, governanti, magistrati, poliziotti, delatori, candidati, cesseranno di vivere.

giovedì 18 luglio 2013

Non voleva lavarsi

Il decreto formale per l’internamento in manicomio di Carlo Cafiero venne emesso dal Tribunale di Firenze il 13 febbraio 1883. Il 7 marzo 1883 il Tribunale di Firenze dispone la definitiva associazione di Cafiero al Regio Manicomio di Bonifazio; sia l’autorità sanitaria che quella giudiziaria sono orientate contro l’eventualità di una liberazione, sia pure condizionata alla custodia domestica.
Dai documenti che accompagnano i ricoveri vari del povero Cafiero, allora, si ricava una serie di elementi che vanno a costituire il suo paradigma psichiatrico.  
Alcuni esempi di questi elementi – ascrivibili al versante medico-igienico: 
Cafiero non voleva più lavarsi 
Si denudava (si tagliava addosso i vestiti, anche) 
Si alimentava di soli liquidi, o pesce, o cioccolata 
Parlava da solo (anche in francese, o in tedesco) 
Fumava molto 
Diceva di ricevere benefici influssi dai pavimenti 
Era ipocondriaco 
Rideva in modo strano (come un grido di pavone) 
A volte era aggressivo con i medici (ma raramente) 
Si tagliava più peli che poteva (e diceva che aspettava la crescita delle penne, per volare) 
Almeno in un caso si è dato all’iconofagia (mangiando fotografie di persone care, per purificarsi) 
Poi, (per la sezione meno tradizionalmente medicalizzata del paradigma): 
Era darwinista e, al contempo, creazionista: materia e forza sono eterne, uomo, bestie e piante si possono trasformare ma sono creati ab eterno 
Sostiene che l’ultima fase dell’evoluzione sarà la spiritualizzazione della materia 
Quindi, è teleologista 
Vorrebbe unire i socialisti con i gesuiti 
Parla dell’occhio della mente 
Firma apponendo una croce cristiana dopo il proprio nome 
Credeva in una sorta di simbolismo cromatico 
Invia “telegrammi” gestuali (comunicazione telepatica) 
Ipotizza l’esistenza di una macchina duplicatrice 
Sogna di fare il marinaio nella Marina Inglese 
E, a quanto pare, per un anno intero non ha “consumato” il matrimonio. 

Due parole sugli Anni 70

Gli Anni Settanta in Italia, pur essendo così vicini a noi, rappresentano un nodo storico molto difficile da sciogliere. L’emergenza li definì come anni di piombo, come anni di degradazione dei rapporti sociali, come anni delle culture impazzite e perverse. Poiché l’emergenza portò alla distruzione di ogni traccia di quelle culture, è molto difficile oggi far rientrare gli Anni Settanta nella memoria collettiva per quello che essi furono.
A questo stato di fatto va aggiunto il processo di distruzione della memoria e di rifiuto del proprio passato messo in atto da molti protagonisti di quegli anni, i quali o con forme abbiette di pentimento – considerate virtù altamente civili – o con sapiente opportunismo o con il silenzio del pessimismo hanno contribuito in maniera determinante a deformare il passato.
L’emergenza in Italia ha cancellato movimenti di massa e culture che si sono posti il duplice problema “come affrontare la contraddizione capitale / lavoro oggi, come affrontare la crisi delle forme politiche di rappresentanza oggi”. Su questi laboratori culturali l’emergenza spande il suo napalm. Essa segna un cambiamento di regime, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica; è un passaggio mediante il quale l’Italia si allinea ai paesi occidentali, che compiono allora il massimo sforzo per imporre la flessibilizzazione della forza-lavoro.
Con l’emergenza l’Italia entra nell’era reaganiana. La lotta al terrorismo è stato un pretesto per cancellare alcuni dei lati migliori delle culture degli Anni Settanta. La classe operaia di fabbrica viene disgregata e passata al filtro della cassa integrazione. Il soggetto sociale che doveva e poteva esercitare un monitoraggio costante delle produzioni nocive, le organizzazioni di democrazia diretta e sindacali di base che dovevano costituire una rete di protezione minima dalle produzioni rischiose e inquinanti vengono trattati come “ terreno di cultura del terrorismo” ed estirpati.

(Ambiente e Ideologia in CLASSE N°2-3 1988)  

L’AUTOGESTIONE E L’INDIVIDUO

Le idee libertarie ed anarchiche hanno molte componenti ma almeno due ne sono i cardini: l'Autogestione e l'Individuo.
L'autogestione comporta un concetto astatale e quindi libertario. Implica infatti che gli unici enti autarchici originari siano le varie realtà sociali, produttive, etniche, linguistiche che si amministrano senza mediazione di burocrazie o di autorità a loro esterne. L'Individuo è il fine ultimo ma la sua realizzazione viene vista da questa appartenenza alla realtà autogestionaria. L'autogestione dunque malgrado la sua connotazione astatale, non esclude al suo interno forme decisionali di tipo democratico (maggioranza / minoranza) o di ampia delega. È su questa radice che si basa il federalismo "libertario" connaturato all'autogestione perché riconosciuto insito nelle mutevoli ma permanenti necessità consociative delle varie realtà consociative. Allo stesso modo che l'autogestione non esclude forme di ampia delega, il federalismo libertario non esclude forme di organizzazione statale ridotta alle funzioni essenziali e configura una costruzione dalla periferia al centro.
Il federalismo anarchico parte anch'esso dall'autogestione e del resto è l'anarchismo a porne il concetto, ma non si limita ad essere astatale. Il federalismo anarchico è antistatale perché pone come non ulteriore ma primario elemento autarchico l'individuo, che trova il legame con gli altri e le altre realtà non nel "bene comune" ma nella solidarietà volontaria.
Rifiuta così non solo il concetto di governo dall'alto ma anche quello della democrazia e della delega. Il federalismo anarchico non riconosce maggioranze o minoranze ma solo l'oggettivo prevalere di una soluzione "tecnica" su altre ed il diritto per chi non condivide quella prevalente di provare la propria.
Il concetto di autogestione e di federalismo diventa talmente peculiare nell'anarchismo da renderlo difficilmente compatibile con qualsiasi costruzione di tipo statico e assolutamente incompatibile con quella di tipo statale.
Il suo federalismo non è una costruzione dal basso all'alto ma nemmeno dalla periferia al centro, è tendenzialmente una costruzione orizzontale.

giovedì 11 luglio 2013

Alienazione come condizione di sopravvivenza

Bisogna comprendere la funzione dell’alienazione come condizione di sopravvivenza in questo contesto sociale. Il lavoro dei non-proprietari obbedisce alle stesse contraddizioni del diritto di appropriazione particolare. Esso li trasforma in posseduti, in fabbricanti di appropriazione e in autori della loro stessa esclusione, ma rappresenta la sola possibilità di sopravvivenza per gli schiavi, i servi, i lavoratori, cosicché l’attività che fa durare l’esistenza svuotandola di ogni contenuto finisce per prendere un senso positivo attraverso un rovesciamento di ottica comprensibile e sinistro. Non soltanto il lavoro è stato valorizzato (nella sua forma di sacrificio dall’ancien régime, nel suo aspetto abbruttente nell’ideologia borghese e nelle democrazie pretese popolari) ma, già molto presto, lavorare per il padrone, alienarsi con la buona coscienza della sottomissione, è diventato il prezzo onorevole e appena contestabile della sopravvivenza. La soddisfazione dei bisogni elementari resta la miglior salvaguardia dell’alienazione, quella che la dissimula meglio giustificandola sulla base di un’esigenza inattaccabile. L’alienazione moltiplica i bisogni perché non ne soddisfa nessuno; oggi, l’insoddisfazione si misura a numero di auto, frigo, TV, telefonini, iPod: gli oggetti alienanti non hanno più l’astuzia né il mistero di una trascendenza, ma ci stanno intorno nella loro povertà concreta. Il ricco è oggi colui che possiede il più gran numero di oggetti poveri.
Sopravvivere ci ha, fino ad ora, impedito di vivere. È per questo che bisogna aspettarsi molto dall’impossibilità di sopravvivenza che si annuncia ormai con un’evidenza tanto meno contestabile quanto più il confort e la sovrabbondanza nel quadro della sopravvivenza ci spingono al suicidio o alla rivoluzione.

DOCUMENTO di Amelia Rosselli

La severa vita dei giustiziati rinnoverava
la scoperta d’un abisso che era e non
era il loro disinteresse ma una cosa
ben più sicura: la loro costanza, la
loro incostanza, il loro regime feudale
e le cagnotte tenute al laccio. La costanza
di questa loro interessata fedeltà che
era fedeltà tout court, quella loro
fedeltà a speranze perché venissero
deluse, quel loro sperare! cosi tragici
nell’immedesimarsi nella tragica farsa.

Un gioco o un altro, una carestia o
un’altra, un gioco di circostanze o
un altro, una fama mondiale o un dovere
obbedito – il resto è da cancellarsi
sì che il resto non appaia più fra le
liste degli annegati, i perseguitati
i rimpianti e le loro doleanze.

Cara vita che mi sei andata perduta
con te avrei fatto faville se solo tu
non fossi andata perduta. 

le 10 regole del controllo sociale


1 – strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élite politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
 2 – strategia dell'inganno. Si crea il problema e poi si offre la soluzione. Si crea cioè una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure  organizzare attentati e gestire direttamente gli atti terroristici per fare in modo che sia il pubblico stesso a pretendere le leggi sulla sicurezza  a discapito delle libertà. 
3 – strategia della gradualità. Per far accettare misure altrimenti inaccettabili, si stabilisce una gradualità di imposizioni, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche e politiche più confacenti agli interessi del momento delle élite politiche vengono imposte con la minima resistenza possibile: autoritarismo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantiscono redditi dignitosi.
4 – strategia del differire. Per far accettare decisioni impopolari occorre talvolta presentarle come “dolorose e necessarie” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato.
5 – strategia del buon padre. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa parole, rappresentazioni, discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente.
6 – strategia dell'emotività. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 –strategia dell’ignoranza. le super-specializzazioni, l'ìper- tecnologismo, fa si che la gente si senta incapace di comprendere  tecniche e metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere  più povera e mediocre possibile, ma al tempo stesso deve essere improntata dall'autoritarismo e dalla gerarchizzazione dei rapporti.
8 – strategia della mediocrità. Rapporti mediocri, analisi mediocre, comportamenti mediocri, assenza di senso critico,  volgarità divengono gli elementi sui quali si intrecciano i rapporti sociali. Le varie declinazioni della stupidità, della volgarità dell'ignoranza divengono le modalità standard di comunicazione pubblica e privata
9 – strategia del senso di colpa. l'individuo (de-individualizzato, ignorante, dipendente) diviene solo lui responsabile della proprie disgrazie, come tale non è più in grado di "vedere il nemico" di vedere colui che l'opprime  e anziché ribellarsi contro il sistema economico e politico si auto condanna all'inazione
10 – strategia della dipendenza. La tecnologia, le super-specializzazioni, la medicalizzazione diffusa, la scuola, il lavoro salariato, l'assenza di lavoro, hanno creato masse di uomini e di donne incapaci di agire criticamente come individui, incapaci di gestire autonomamente  e liberamente  le loro vite. Masse di persone sempre più divengono dipendenti da aggeggi super-tecnologici, da farmaci miracolosi che promettono l'assenza di malattia e che creano dipendenze fisiche e psichiche, scolarizzazioni obbligatorie  che determinano al tempo stesso marginalità e comportamenti massificati, l'assenza di lavoro come ricatto, il lavoro salariato come spersonalizzazione.

giovedì 4 luglio 2013

Sul mangiar carne


Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi! Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono turgidi grappoli d'uva sulle viti! Ci sono erbe dolci e tenere [...]. La terra nella sua generosità vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue [...]. Che enorme delitto è ingurgitare viscere altrui nelle proprie, far ingrassare il proprio corpo ingordo a spese di altri corpi, e vivere, noi animali, della morte di altri animali! Ti par possibile che tra tanto ben di dio che produce la terra, ottima tra le madri, a te non piaccia masticare altro coi tuoi denti crudeli che carne ferita?» (Ovidio - da Le metamorfosi, libro XV, 72-93)

Tu mi chiedi in base a quale ragionamento Pitagora si sia astenuto dal mangiare carne: io invece domando, pieno di meraviglia, con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato 'cibi prelibati' quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l'uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi, come l'olfatto resse il fetore? Come una tale contaminazione non ripugnò al gusto, nel toccare le piaghe di altri esseri viventi e nel bere gli umori e il sangue di ferite letali? (Plutarco “sul mangiar carne”)

...l’antispecismo è il movimento filosofico, politico e culturale che lotta contro lo specismo, l’antropocentrismo e l’ideologia del dominio veicolata dalla società umana. Come l’antirazzismo rifiuta la discriminazione arbitraria basata sulla presunzione dell'esistenza di razze umane, e l’antisessismo respinge la discriminazione basata sul sesso, così l’antispecismo respinge la discriminazione basata sulla specie (definita specismo) e sostiene che l’appartenenza biologica alla specie umana non giustifica moralmente o eticamente il diritto di disporre della vita, della libertà e del lavoro di un essere senziente di un’altra specie. Gli antispecisti lottano affinché le esigenze primarie degli Animali siano considerate fondamentali tanto quanto quelle degli Umani, cercando di destrutturare e ricostruire la società umana in base a criteri sensiocentrici ed ecocentrici che non causino sofferenze evitabili, alle specie viventi e al pianeta. (proposta per un manifesto antispecista 2008)


...abbiamo bisogno di un quadro di riferimento nuovo per superare  ostacoli fondamentali per poter vivere effettivamente lo slogan One struggle – One fight. Così il nucleo di tutto il processo è stata la sua trasformazione da chi si occupa di una singola tematica (la liberazione animale) in un approccio radicale che si fonda su un approccio storico-materialista alle relazioni sociali e che integra la liberazione animale a livello sia teorico che pratico. Aderiamo ancora alla liberazione animale considerandola una questione decisiva della lotta collettiva rivoluzionaria di oggi, ma le forme in cui siamo stati attivi, in cui abbiamo pensato e lavorato in questi anni non le riteniamo più adeguate. Dobbiamo lavorare insieme ad altri gruppi progressisti, ad altre organizzazioni e attivisti per formare un fronte di coloro che sono ancora convinti che abbiamo bisogno di un movimento che ponga fine alle terribili relazioni sociali che dominano la società di oggi in tutti i suoi aspetti. Quindi, la nostra trasformazione costituisce  una proposta per una nuova politica, per coalizioni nuove, nuove reti e nuovi modi di promuovere la liberazione animale come parte di un processo rivoluzionario anti-capitalista. Si deve fondare la lotta politica per la liberazione animale su una teoria critica della società, in cui l'esistente intero  umano e non umano è ridotto al rango di merce e profitto. La meravigliosa comprensione della  consapevolezza che lega la liberazione degli esseri umani e animali non umani è assolutamente travolgente. Noi pensiamo che una riconciliazione della natura e dell’uomo sia possibile solamente attraverso un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. (Assoziation Dämmerung estate 2011)


...ogni giorno di ogni mese di ogni anno ci sono persone che abbandonano la loro vita tranquilla e sicura e decidono di intraprendere l'arduo cammino che porta alla liberazione di tutti gli animali. Il lungo cammino verso la vittoria che è il solo traguardo per porre fine alla sofferenza e fermare questo massacro. E grazie ai sacrifici e all'impegno di tutte queste persone il cammino si fa sempre più breve, la vittoria si avvicina e il Movimento per la Liberazione degli animali diventa sempre più forte e determinato, mentre chi abusa degli animali è intimorito dalla sua risoluta e cocciuta fede nella vittoria. (- febbraio 1993 - Barry Horne morirà il 5 Novembre 2001 in seguito all'ennesimo sciopero della fame)

IL SIGNORE DELLE MOSCHE di Peter Brook

Terzo conflitto mondiale. I migliori cadetti delle prestigiose scuole inglesi vengono imbarcati su un aereo per essere salvati. Un incidente, però, li costringe ad ammarare su un’isola del Pacifico, vero paradiso terrestre. I ragazzi stabiliscono subito, in modo democratico, tramite una assemblea, come sopravvivere: alcuni costruiscono il riparo per la notte, altri raccolgono la frutta, alcuni devono tenere acceso il fuoco in cima alla montagna e infine altri vanno a caccia. Soli, travolti da istinti primordiali, senza la guida di nessun adulto, si ritrovano sopraffatti dalla violenza e annebbiati dall’odio sviluppando paure irrazionali e comportamenti brutali. L’isola, la bellezza di una natura incontaminata, rivela da subito l’inadeguatezza dell’uomo: anche se giovani, i ragazzi sembrano inclini ad una violenza innata. La ragionevolezza si è trasformata in una caparbia lotta per il potere e in pura lotta per la sopravvivenza.
Film di Peter Brook, uomo di spettacolo britannico, uno dei più grandi registi teatrali. Tratto dal capolavoro pubblicato nel 1954 di William Golding, Premio Nobel  per la Letteratura 1983, diventa da subito un classico della narrativa distopica. “L’uomo produce il male come le api producono il miele”, è la frase che sottende tutta l’opera. 
Il signore delle mosche è un apologo sulla manifestazione della malvagità umana rappresentato in forma simbolica. L’umanità è in procinto di scatenare una terza, decisiva, guerra mondiale e solo gli allievi di buona famiglia di un prestigioso college londinese possono sottrarsi al tragico destino trasferendosi in Australia. Se l’adulto è da sempre indaffarato a perseguire il male, il fanciullo deve necessariamente essere preservato da questa situazione e conservato nella sua presunta innata bontà. Il signore delle mosche ribalta questa prospettiva immettendo, dopo la sciagura aerea, ragazzi dai sette ai quattordici anni (nel libro erano dai sei ai dodici), che non hanno bisogni primari da soddisfare, in un ambiente naturale in cui debbano obbligatoriamente organizzarsi per poter sopravvivere. Dimentichi della teoria del “buon selvaggio” di Jean-Jacques Rousseau, i seguaci di Jack (che diventano la quasi totalità dei ragazzi presenti sull’isola) si abbandonano a un livello di ferinità tale da annullare la loro affettata educazione e lo stato di evoluzione che l’uomo dovrebbe aver raggiunto nel XX secolo (anche se la guerra da cui i giovani sono scappati dimostra sintomaticamente il contrario). Messi in una condizione estrema, privi cioè di quelle comodità alle quali sono naturalmente abituati, i ragazzi si affidano dapprima alla lucida razionalità incarnata dall’assennato Ralph, riconoscendo la necessità di avere una guida in grado di fornire quelle regole di cui hanno bisogno per vivere in pace e serenità; successivamente subentrano l’istinto di sopraffazione, l’irrazionalità (simboleggiata adeguatamente dalla paura di un mostro che nessuno ha mai visto ma di cui tutti hanno un viscerale terrore), la regressione a uno stato primitivo e selvaggio.
La guerra degli adulti viene inevitabilmente replicata dai ragazzi, in una sorta di pessimistica reciprocità che trova la sua giustificazione nella presenza congenita del male all’interno dell’uomo. La Cultura viene schiacciata dall’abbandono incoerente alla Natura attraverso la netta contrapposizione tra Ralph e Jack, le due immagini che restituiscono l’uomo in tutte le sue contraddizioni, pronto a far sfociare la sua placida serenità in un’aggressività profonda e immotivata, incurante dei deboli e bisognosa di violenza solo per ammansire il proprio istinto animalesco. L’uomo crea un microcosmo metaforico in cui si abbrutisce e perde addirittura le sue sembianze distintive, cospargendosi di creta e praticando uccisioni, le quali, perpetrate inizialmente soltanto allo scopo del sostentamento, diventano una sorta di ritualità da praticare per soddisfare la propria brama di aggressività. Azioni a cui è strettamente legato il concetto di religiosità: se i ragazzi uccidono per riconoscersi in un momento comune che allontani l’incubo irrazionale (il mostro), è proprio in virtù di un’uccisione (quella di un maiale, di cui l’isola è piena) che fa la sua comparsa un culto di morte e terrore (l’adorazione della testa di maiale in decomposizione) nel nome del quale si giustificano i peggiori abomini. Per Golding e Brook non esiste una fase dell’umanità pienamente positiva: sono le condizioni che creano le possibilità di arbitrio nell’uomo.

Così si muore

La rivoluzione biologica non passa più per alcuna mediazione razionale, per alcuna politica possibile. Non si tratta più di discutere su questioni distributive, su argomenti di ricchezza e povertà, su moralità di appropriatori e di espropriati, quando a vivere veramente non è più nessuno, quando a rischiare di morire sono indifferentemente tutti. Questa è la consapevolezza semplice e terribile che serpeggia velocemente dovunque, e di cui vediamo ogni giorno esplodere sempre più frequenti e vicini i fuochi sparsi ancora per poco. E questa è la matrice di una rivolta indomabile e irrecuperabile. Più nessuna controrivoluzione potrà stravolgere la potenza della negazione in energia della riproposizione, più nessuna controrivoluzione avrà spazi per i suoi automatismi integratori, quando ciascuno avrà finito di capire che non c’è più nient’altro da capire se non che così si muore. È di questo che gli ultimi potenti hanno il giusto terrore. È per questo che sognano la sopravvivenza della politica. È perciò che i più astuti di loro liquidano alla svelta la propria figura di onniscienti, svendono a derrate autocritica e contrizione: per rendere credibile l’ultima controrivoluzione – ma già fallita in partenza – quella che chiama a raccolta tutti i fedeli della Santa Carestia, mentre può aprire il fuoco sui nemici del “progresso” marchiati ad uno ad uno dalle memorie elettroniche delle squadre politiche.