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giovedì 30 maggio 2013

GLI INDESIDERABILI DELLA TERRA

Ci sono sempre più indesiderabili nel mondo. Ci sono troppi uomini e troppe donne per cui questa società non ha previsto alcun ruolo, se non quello di crepare per far funzionare tutti gli altri. Morti al mondo o a se stessi: la società non li desidera che così. Senza lavoro, essi servono per spingere chi ce l’ha a qualsiasi umiliazione pur di tenerselo stretto. Isolati, essi servono per far credere ai cittadini che si pretendono tali di avere una reale vita in comune (tra le carte bollate dell’autorità e i banconi delle merci). Immigrati, essi servono per dare l’illusione di avere delle radici a chi, proletario senza nemmeno più la prole, è disprezzato dai propri figli, solo con il suo nulla in ufficio, in metropolitana o davanti alla televisione.
Clandestini, essi servono per ricordare che la sottomissione salariale non è il peggio – esistono anche il lavoro forzato e la paura del controllo che stringe ad ogni pattugliamento. Espulsi, essi servono per ricattare, con la paura del viaggio verso una miseria senza ritorno, tutti i rifugiati economici del genocidio capitalista. Prigionieri, essi servono per minacciare con lo spettro del castigo chi non vuole più rassegnarsi a questa miserabile esistenza. Estradati in quanto nemici dello Stato, essi servono per far capire che nell’Internazionale del dominio e dello sfruttamento non c’è spazio per il cattivo esempio della rivolta.
Poveri, isolati, ovunque stranieri, carcerati, fuorilegge, banditi, cassaintegrati: le condizioni di questi indesiderabili sono sempre più comuni. Comune può farsi allora la lotta, sulla base del rifiuto di una vita ogni giorno più precarizzata e artificiale. Cittadini o stranieri, innocenti o colpevoli, clandestini o regolarizzati: le distinzioni dei codici statali non ci appartengono.
Fratelli e sorelle sta tornando il tempo di una nuova solidarietà anonima e sediziosa, senza capi né mediatori. Il tempo di una nuova congiura.


CONTRO LA SOCIETA’ DI MASSA

La maggioranza degli anarchici e dei rivoluzionari dedica una parte significativa del proprio tempo a studiare piani e meccanismi di produzione, distribuzione, assegnazione e comunicazione fra un gran numero di persone, in altre parole, il funzionamento di una società complessa. Tuttavia, non tutti gli anarchici accettano la premessa del coordinamento e dell’interdipendenza a livello sociale, politico ed economico globale (o persino regionale), o l’organizzazione necessaria alla sua amministrazione. Rifiutiamo la società di massa per motivi pratici e filosofici. Innanzi tutto, rifiutiamo la rappresentanza intrinseca e necessaria al funzionamento di situazioni che esulano dal campo dell’esperienza diretta (modi di vivere completamente decentrati). Non vogliamo gestire la società, né organizzare una società diversa, vogliamo un quadro di riferimento completamente differente. Vogliamo un mondo in cui ciascun gruppo sia autonomo e decida come vivere in base ai propri principi, in cui tutte le iterazioni si basino sull’affinità, siano libere, aperte e non coercitive. Vogliamo una vita da vivere, non una vita da gestire.
La società di massa cozza brutalmente non solo con l’autonomia e con l’individuo, ma anche con la terra. È semplicemente insostenibile proseguire con la società di massa (in termini di sistemi di estrazione di risorse, trasporto e comunicazione necessari per qualsiasi sistema economico globale) o prevedere piani alternativi per una società di massa. Anche in questo caso, un decentramento radicale sembra indispensabile per permettere l’autonomia e metodi di sussistenza non gerarchici e sostenibili. (Green Anarchy)

La questione del lavoro



Visti i molti tentativi da parte dei vari partiti politici, "imprenditori" o "personaggi colti", di risolvere la questione del lavoro e avendo scrupolosamente esaminato l'idea ed i risultati della confisca da parte dello Stato (nazionalizzazione) dei mezzi e strumenti della produzione operaia (le miniere, le comunicazioni, le officine, le fabbriche, ecc.) nonché degli organismi operai stessi (sindacati, comitati di fabbrica e di officina, cooperative, ecc.), possiamo affermare con certezza che esiste una soluzione vera ed equa alla questione del lavoro: il trasferimento di tutti i mezzi, strumenti e materiali del lavoro, della produzione e dei trasporti, non sotto il totale controllo dello Stato - questo nuovo padrone e sfruttatore che usa la schiavitù salariale ed è tanto oppressivo nei confronti dei lavoratori quanto lo sono gli imprenditori privati - bensì alle organizzazioni ed unioni dei lavoratori naturalmente e liberalmente associati, in collaborazione con le organizzazioni contadine tramite i loro soviet economici.
Siamo convinti che solamente una simile soluzione della questione del lavoro potrà liberare l'energia e l'attività delle masse operaie, dando una nuova spinta alla ricostruzione dell'economia industriale devastata, rendendo impossibili lo sfruttamento e l'oppressione, e ponendo fine alla speculazione e alle truffe che hanno come conseguenza l'aumento artificiale dei prezzi e l'irrefrenabile ascesa del costo della vita. Siamo giunti alla convinzione che solo i lavoratori, con l'aiuto delle proprie organizzazioni e libere unioni, potranno assicurarsi la liberazione dal giogo dello Stato e del Capitale (privato o di Stato che sia), assumere la gestione della lavorazione delle riserve minerarie e di carbone, rinnovare la gestione di fabbriche ed officine, stabilire scambi equi dei prodotti tra le diverse regioni, città e campagne, far ripartire il traffico ferroviario; in altre parole, rianimare il corpo moribondo della nostra organizzazione economica.
Nessuna autorità, nessun partito, nessun apparato per la direzione e supervisione dei lavoratori, nessun commissario, ufficiale, attivista politica o altro può, secondo la nostra ferma opinione, raggiungere tali obiettivi. 
Per poter essere sicuri che tale organizzazione sia attiva e che il suo sviluppo sia fruttuoso, è assolutamente necessario che i congressi e le conferenze dei lavoratori siano, anzitutto, fondati su basi veramente libere, senza alcuna pressione o imposizione da parte di partiti o individui. Soltanto i congressi liberi e le conferenze libere avranno la capacità di trovare una soluzione efficace a tutte le questioni urgenti della vita lavorativa e della costruzione sociale opera dei lavoratori, mediante politiche necessarie e meditate.

(esercito insorto rivoluzionario -makhnovosta- dell'Ucraina 1919)

giovedì 23 maggio 2013

VIVERE SENZA TEMPI MORTI


Vivere senza tempi morti e godere senza ostacoli è, ancora oggi, un primo criterio chiaro per definire la linea di demarcazione tra due progetti opposti. Da un lato tutti coloro che agiscono per il gioco e il godimento e dall’altro quelli che operano giustificando comunque il sacrificio implicito nella fatica di vivere.
Tutte le idee del mondo finiscono per separarsi su questo punto pratico.
Noi dobbiamo andare fino in fondo a questa opposizione. La dose di fatica e di difficoltà, obiettivamente presente in ogni attività, non ha niente a che fare con il lavoro, finché la vita resta praticamente l’azione diretta di un gioco desiderabile. E nessuna società egualitaria sarà il regno della libertà e della fraternità finché la fatica sarà risentita e vissuta dal corpo come un dovere ineluttabile.
L’idea di un ritorno a una società agraria è assurda quanto l’allontanamento dalla natura imposto agli uomini dall’industrializzazione.
L’enorme compito di rivoluzionare questo pianeta, diventato quasi invisibile, merita sempre di proporsi la realizzazione di condizioni di vita degne di signori senza schiavi. Noi possiamo operare nella natura in accordo con la parte di godimento del contadino risoluto a realizzarsi, a emanciparsi dalla fatica, come hanno sempre desiderato tutti gli esseri umani. Non esiste dunque alcuna ragione morale né pragmatica per vietarsi a priori un’utilizzazione controllata di un certo numero di macchinari tra quelli che esistono o che si possono ancora inventare. La vera finalità è quella di abolire o trasformare tutto quanto impedisce, ostacola, allontana o diminuisce il godimento di essere al mondo. Le stesse macchine devono essere utilizzate, adattate e dosate a questo scopo da una sensibilità umana biologica, liberata dall’alienazione economica e dalle sue antitesi: le ossessioni moralizzatrici.
Uscire dalla società industriale passerà anche per un impiego deturnato di tutti i mezzi che questa civiltà ha utilizzato per i suoi fini intollerabili, ogni volta che lo riterremo opportuno.
Nessun ritorno indietro è possibile e neppure auspicabile.

AQUALUNG dei Jethro Tull


Seduto su una panchina al parco
Adocchia le bambine con cattive intenzioni.
Il naso gli cola,
Si pulisce le dita unte sui suoi abiti sudici.
Si asciuga al sole freddo,
E nel frattempo continua a guardarle.
Si sente a disagio,
E sputa pezzi della sua sfortuna.

Freddi raggi di sole,
Un vecchio che vaga da solo.
Passa il tempo
Nell' unico modo che conosce.
Le gambe gli fanno male
Mentre si piega a raccogliere un mozzicone,
Poi va al cesso
E si riscalda i piedi.

Si sente solo,
L' esercito è in giro
Salvezza alla moda
E una tazza di tè
Aqualung amico mio
Non scostarti pieno di imbarazzo
Povero diavolo non vedi che sono solo io?

Ti ricordi ancora
La nebbia gelata di dicembre,
Quando il ghiaccio
Attaccato alla tua barba
È dolore lancinante?
E ti conquisti i tuoi ultimi respiri a fatica
Che suonano come quelli di un palombaro,
E i fiori sbocciano
Come la pazzia a primavera


Freddi raggi di sole,
Un vecchio che vaga da solo.
Passa il tempo
Nell' unico modo che conosce.
Le gambe gli fanno male
Mentre si piega a raccogliere un mozzicone,
Poi va al cesso
E si riscalda i piedi.

Si sente solo,
L' esercito è in giro
Salvezza alla moda
E una tazza di tè
Aqualung amico mio
Non scostarti pieno di imbarazzo
Povero diavolo non vedi che sono solo io?  

Aqualung amico mio
Non scostarti pieno di imbarazzo
Povero diavolo non vedi che sono solo io?

Seduto su una panchina al parco
Adocchia le bambine con cattive intenzioni.
Il naso gli cola,
Si pulisce le dita unte sui suoi abiti sudici.
Si asciuga al sole freddo,
E nel frattempo continua a guardarle.
Si sente a disagio,
E sputa pezzi della sua sfortuna

I MAKHNOVISTI


I Makhnovisti sono operai e contadini che insorsero fin dal 1918 contro la tirannia del potere della borghesia germano-magiara, austriaca e hetmanita in Ucraina. I Makhnovisti sono quei lavoratori che per primi innalzarono lo stendardo della lotta contro il governo di Denikin e tutte le altre forme di oppressione, di violenza e di menzogna, qualunque fosse la loro origine. I Makhnovisti sono quei lavoratori sulla cui fatica la borghesia in generale, ed ora quella sovietica in particolare, ha costruito il proprio benessere ed è divenuta grassa e potente.
Ci chiamiamo Makhnovisti, perché per la prima volta durante i giorni più oscuri della reazione in Ucraina, abbiamo visto tra noi un amico leale, Makhno, la cui voce di protesta contro ogni forma di oppressione dei lavoratori risuonò per tutta l'Ucraina, esortando alla lotta contro tutti i tiranni, i malfattori e i ciarlatani della politica che ci ingannavano, Makhno, che ora marcia deciso al nostro fianco verso la mèta finale, l'emancipazione del proletariato da ogni forma di oppressione.
Per noi l’emancipazione è il rovesciamento dei governi monarchici, di coalizione, di repubblicani, socialdemocratici e del partito comunista bolscevico, cui deve sostituirsi un ordine indipendente di soviet dei lavoratori, senza più governanti né leggi arbitrarie. Perché il vero ordine dei soviet non è quello instaurato dal governo socialdemocratico-comunista bolscevico, che ora si definisce potere sovietico, ma una forma più alta di socialismo anti-autoritario e anti-statale, che si manifesta nell'organizzazione di una struttura libera, felice e indipendente della vita dei lavoratori, nella quale ciascun individuo, così come la società nel suo complesso, possa costruirsi da sé la propria felicità e il proprio benessere secondo i principi di solidarietà, di amicizia e di uguaglianza. I lavoratori devono scegliersi da soli i propri soviet, che soddisferanno i desideri dei lavoratori cioè, soviet amministrativi, non soviet di stato. La terra, le fabbriche, gli stabilimenti, le miniere, le ferrovie e le altre ricchezze popolari devono appartenere a coloro che vi lavorano, ovvero devono essere socializzate.
Makhnovisti potranno realizzare i loro obiettivi con una rivoluzione senza compromessi e una lotta diretta contro ogni arbitrio, menzogna ed oppressione, da qualunque fonte provengano; una lotta all'ultimo sangue, una lotta per la libertà di parola e per la giusta causa, una lotta con le armi in mano. Solo attraverso l'abolizione di tutti i governanti, distruggendo le fondamenta delle loro menzogne, negli affari di stato come in quelli economici, solo con la distruzione dello stato per mezzo della rivoluzione sociale potremo ottenere un vero ordine di soviet e giungere al socialismo.
(Sezione Culturale-Educativa dell'Esercito degli Insorti Makhnovisti, 27 aprile 1920)

giovedì 16 maggio 2013

Lo sciopero

Lo sciopero si giustificava storicamente in un sistema di produzione, come violenza organizzata per strappare alla violenza inversa del capitale una frazione del plusvalore, se non il potere. Ora, questo sciopero è morto:
1) Perchè il capitale è in grado di lasciare marcire tutti gli scioperi - e questo perché non si è più in un sistema di produzione (massimizzazione del plusvalore). Perisca il profitto, purché la riproduzione della forma del rapporto sociale sia salva!
2) Perché questi scioperi in fondo non cambiano niente: il capitale ridistribuisce oggi da se stesso, è per lui una questione di vita o di morte. Nel migliore dei casi, lo sciopero strappa al capitale ciò che questo avrebbe comunque concesso a termine, secondo la propria logica.
Se quindi i rapporti di produzione, e con essi la lotta di classe, affondano nelle sabbie mobili dei rapporti sociali e politici orchestrati, è chiaro che può fare irruzione in questo ciclo solo ciò che sfugge all'organizzazione e alla definizione della classe come: istanza storica rappresentativa, istanza storica produttiva.
Solo quelli che sfuggono al mulinello della produzione e della rappresentazione possono guastarne i meccanismi e fomentare, dal fondo della loro condizione cieca, un capovolgimento della "lotta di classe" che potrebbe essere la sua fine pura e semplice come luogo geometrico del "politico". E' qui che l'intervento degli immigrati acquista il suo senso negli scioperi recenti.
Poiché milioni di lavoratori, a causa del meccanismo della loro discriminazione, si trovano privi di qualsiasi istanza rappresentativa è, la loro irruzione sulla scena occidentale della lotta di classe a portare la crisi a livello cruciale della rappresentanza. Tenuti "fuori classe" da tutta la società, ivi compresi i sindacati (e con la complicità economico-razziale della loro "base" su questo punto: per la "classe" proletaria organizzata, centrata sul proprio rapporto di forza economico-politica con la classe borghese capitalistica, l'immigrato è "oggettivamente" nemico di classe), gli immigrati fungono, a causa di questa esclusione sociale, da analizzatori del rapporto fra lavoratori e sindacati e, più generalmente, del rapporto fra la "classe" e qualsiasi istanza rappresentativa della "classe". Devianti per quanto riguarda il sistema della rappresentanza politica, essi infettano della loro devianza tutto il proletariato, che impara anch'esso a poco a poco a fare a meno del sistema della rappresentanza e di qualsiasi istanza pretenda di parlare in suo nome.

BESTIARIO


Parlare di animali, di tutte le inutili crudeltà di stampo nazista alle quali vengono sottoposti, del loro essere relegati a merce, delle loro sofferenze, NON è un allontanarsi dagli “obiettivi principali” della nostra lotta, perché fa tutto parte dello stesso gioco: oppressione e sterminio di uomini e animali. Non vederlo vuol dire essere ciechi. Per cui né pietismo né un indefinito senso di altruismo di tipo damine di San Vincenzo, ma considerazione di questo problema come logica conseguenza della comprensione dei meccanismi repressivi del potere. È tipico del potere relegare a merce / fonte di profitto tutto ciò che esiste, usando assassinio e sterminio di massa se è necessario. Così la vivisezione è “necessaria”, assolutamente insostituibile: troppi interessi clientelari del baronato medico, troppa urgenza di dimostrare la superiorità dell’uomo sugli animali, troppo sadismo da sfogare per farla cessare. Se qualcuno si sente tranquillo al pensiero che tanto sono animali, pensi un attimo agli esperimenti su cavie umane del nazismo, alla lobotomia praticata in USA e URSS, alla tortura istituzionalizzata, alla sperimentazione di “nuovi farmaci” fatta IN QUASI TUTTE LE CARCERI D’ITALIA SENZA CHE I DETENUTI LO SAPPIANO. No, cari tranquilli benpensanti, il potere non fa tutte quelle distinzioni “etiche” tra uomini e animali.
Vengono sterminati migliaia di animali per farne pellicce, cosmetici,profumi, LACCHE PER CAPELLI. Tutte merci (pellicce escluse, presumo …) che poi anche NOI usiamo tranquillamente identificandoci così, anche solo per un attimo, col potere: sappiamo che se la gente smettesse di acquistare determinati prodotti la lotta avrebbe qualche risultato, ma continuiamo ad usarli. (Lacca all’olio di visone per avere capelli ben dritti, per essere più punk). Contro tutte queste cose si può e si deve agire, per esempio con un lavoro di volantinaggio / attacchinaggio davanti alle pelliccerie, ai giardini zoologici, alle facoltà universitarie di biologia e veterinaria o in qualunque altro posto, per sensibilizzare la gente, per instillare sensi di colpa a tutti quei merdosi / e che se ne passeggiano la domenica per le vie del centro con la pelliccia sulle spalle e il cagnolino al guinzaglio. È necessario un collegamento tra le persone che vogliono lottare anche contro questo aspetto della repressione del potere.
(Tratto da YETI n° 1283 Torino 1983)  

LO STATO di Michail Bakunin


Ma cos’è lo Stato? Ogni sua teoria logica e conseguente è fondata essenzialmente sul principio di autorità, che è idea eminentemente teologica, metafisica e politica. Lo Stato è l’autorità, la forza, l’ostentazione della forza e l’infatuazione per essa. Lo Stato non è la società, ma una sua forma storica tanto brutale quanto astratta. È nato storicamente in tutti i paesi dal matrimonio tra la violenza, la rapina, il saccheggio, in breve la guerra, la conquista, e gli dei creati dalla fantasia teologica delle nazioni. Esso è la sanzione divina della forza bruta e dell’iniquità trionfante, la storica consacrazione di ogni dispotismo e privilegio, la ragione politica di ogni servitù economica e sociale, il centro e l’essenza stessa di ogni reazione. Come suprema impersonificazione del principio di autorità sulla terra, lo Stato è per natura ente assoluto, espressione intrinseca della sovranità tout-court. In quanto astrazione politica è la negazione generale della società e degli interessi positivi delle regioni, dei comuni, delle associazioni e del più gran numero degli individui. Esso è un’universalità divorante, un’astrazione distruttrice della comunità vivente e dunque un grande macello e un immenso cimitero, ove generosamente, serenamente, vengono a lasciarsi immolare e seppellire tutte le aspirazioni reali, tutte le forze vive di un paese.
Il rapporto tra Stato e società è dunque un rapporto alienato, che scaturisce precisamente dalla natura astratta dell’entità statale rispetto alla concretezza reale della vita sociale. In virtù di questo Logos intrinseco, lo Stato esprime la sua profonda vocazione nell’espansione interna ed esterna: interna verso la società, esterna verso gli altri Stati sovrani. Verso la società perché la domina e tende ad assorbirla completamente, verso gli altri Stati sovrani perché vorrebbe espandersi a spese loro, con la conseguenza di una permanente tensione di guerra. L’esistenza di uno Stato sovrano ed esclusivo presuppone infatti l’esistenza e, se necessario, provoca la formazione di altri Stati similari, poiché è ovviamente naturale che gli individui al di fuori di esso e da esso minacciati nella loro esistenza e nella loro libertà, si associno, a loro volta, contro di lui. Abbiamo così l’umanità divisa in un numero indefinito di Stati stranieri, tutti ostili e minacciosi tra loro, per cui si deve concludere che Lo Stato è la più flagrante, la più cinica, la più completa negazione dell’umanità. Esso frantuma la solidarietà universale di tutte le persone sulla terra e li spinge all’associazione al solo scopo di distruggere, conquistare e rendere schiavi tutti gli altri.   

giovedì 9 maggio 2013

Strategia della penuria e dell'abbondanza

E' ancora un illusione pensare che il sistema del capitale, a una certa soglia di riproduzione allargata, passi irreversibilmente da una strategia della penuria a una strategia dell'abbondanza. La crisi attuale dimostra che questa strategia è reversibile. L'illusione derivava ancora da una fede ingenua in una realtà della penuria o in una realtà dell'abbondanza, e quindi dall'illusione d'una opposizione reale tra i due termini. Mentre questi due termini sono semplicemente alternativi e la definizione strategica del neo capitalismo non è quella di passare alla fase dell'abbondanza (dei consumi, della desublimazione repressiva, della liberazione sessuale, etc.), ma alla fase della alternanza sistematica tra i due termini - penuria e abbondanza - perché essi non hanno più nessuna referenza, né quindi una realtà antagonistica, e perché quindi il sistema può servirsi indifferentemente dell'uno e dell'altro. Questo rappresenta lo stadio perfetto della riproduzione. Nel campo politico, questo stadio è raggiunto quando, neutralizzato qualsiasi antagonismo  fra la destra e la sinistra, l'esercizio del potere può servirsi dell'alternanza dell'uno e dell'altra. 
E' questa indeterminazione dei termini, questa neutralizzazione d'una opposizione dialettica in una pura e semplice alternanza strutturale che produce questo effetto così caratteristico d'incertezza sulla realtà della crisi.

SOLO di Edgar Allan Poe


Fanciullo, io già non ero
come altri erano, né vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni – né mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Né il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quel che amai, io l’amai da solo.
Allora – in quell’età – nell’alba
d’una procellosa vita fu derivato
da ogni oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m’avvince –
dai torrenti e dalle sorgenti –
dalla rossa roccia dei monti – 
dal sole che d’intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali –
dal celeste baleno
che daccanto mi guizzava –
dal tuono e dalla tempesta – 
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l’altro cielo)
di un dèmone alla mia vista -

Il politico, il potere e la corruzione


La politica è il luogo dell’esercizio del male, della gestione del male, sparso nelle anime individuali e nelle forme collettive in tutti gli aspetti: quello del privilegio, quello del vizio e quello della corruzione. È la fatalità del potere assumere su di sé questa parte maledetta, mentre la fatalità degli uomini al potere è quella di essere sacrificati a essa – privilegio di cui scontano tutti i benefici secondari.
Gli uomini al potere hanno un doppio problema: nell’ordine politico quello di esercitarlo, nell’ordine simbolico quello di sbarazzarsene. È esattamente come per il denaro; il problema economico è di guadagnarlo e di farlo fruttare, il problema simbolico è di liberarsene ad ogni costo, di allontanare da sé questa maledizione. Ed è un compito quasi impossibile. Basta vedere quegli speculatori venuti dal nulla e divenuti improvvisamente miliardari che tentano disperatamente di fare donazioni a destra e a manca, di investire in tutte le fondazioni di beneficenza e di promozione artistica. Ahimè! Per un terribile malefizio, realizzano profitti ancora maggiori, il denaro si vendica moltiplicandosi. Lo stesso vale per il potere: malgrado tutti i riti di interazione, di partecipazione, di devoluzione, il potere non è solubile nello scambio, e i dominati sono troppo accorti per assumere veramente la loro parte: preferiscono vivere all’ombra del potere.
Si sogna di vedere la classe politica dimettersi tutta d’un colpo, perché si sogna di vedere come se la caverebbe un corpo sociale senza sovrastruttura politica formidabile sollievo, formidabile catarsi collettiva. In ogni processo, in ogni messa in stato di pubblica accusa di un politico o di uno statista, riaffiora l’esigenza millenaria, mai appagata, ovviamente, di un potere che si scagli contro se stesso, che si smascheri da solo, lasciando spazio a una situazione radicale, insperata, disperata, certo, ma da cui sia spazzato via il campo inestricabile della corruzione mentale.
La corruzione: non è mai accidentale. È inerente all’esercizio del potere. Da qualunque parte provengano, coloro che raggiungono il centro nevralgico degli affari sono immediatamente e dappertutto trasfigurati dalla corruzione, ed è in ciò che suggellano la loro autentica complicità. Perché la corruzione delle èlite è esattamente quella di tutti: la corruzione è uno psicodramma collettivo e, poiché si hanno sempre i dirigenti che si meritano, se li disprezziamo lo facciamo come riflesso del disprezzo che ciascuno porta a se stesso in quanto animale politico. 
La corruzione delle idee non fa eccezione. È questa astuzia a far si che, non appena sono investiti del potere, i politici si rivoltino automaticamente contro ciò o coloro che li hanno portati a esso, proprio come gli intellettuali si rivoltano molto presto contro le idee che li hanno ispirati. Inutile quindi lamentarsi di questo stato di corruzione, questa è la moneta vivente del potere.
Non esiste nessun altra soluzione se non l’abolizione di ogni forma di potere, lasciando il posto ad una società autogestita dove la gratuità e il dono saranno i soli rapporti sociali possibili.

giovedì 2 maggio 2013

Distinguere il vivere dal sopravvivere

Gli umani si differenziano dalle scimmie anche perché costruiscono e utilizzano strumenti. Il genere umano non si suddivide in stirpi e razze, ma in culture, ognuna delle quali si distingue per il suo set di strumenti. Tradizionalmente, questi strumenti si misurano a intensità di lavoro: la maggior parte dei bisogni percepiti dalle persone in qualsiasi tempo è determinata dalla loro conoscenza di uno strumento che esse possono produrre e con il quale andranno a soddisfare il loro bisogno. La persona cessa di appartenere alla sua specie quando non è più in grado di determinare i propri bisogni attraverso i più o meno validi strumenti che la sua cultura gli mette a disposizione. Le donne, o gli uomini, che finiscono con il dipendere dall'erogazione di pezzi in serie prodotti da strumenti che sono confezionati da anonimi altri, cessano di vivere una vita umana per tuttalpiù continuare a sopravvivere, anche se ricoperti di lustrini. In definitiva, essi perdono anche la capacità di distinguere il vivere dal sopravvivere. 

AGUIRRE, FURORE DI DIO di Werner Herzog


Nel 1560 un piccolo esercito di soldati spagnoli e schiavi indios guidati da Gonzalo Pizarro valica le Ande per addentrarsi nella foresta amazzonica alla ricerca del mitico regno di Eldorado. Giunto sulle rive dell’Urubamba al termine di un’estenuante marcia nella giungla, Pizarro decide di mandare in avanscoperta una spedizione su zattere al comando di Pedro Ursùa, cui affianca Lope de Aguirre, con lo scopo di reperire viveri e saggiare le reali possibilità di riuscita dell’impresa. La violenza del fiume, che causa la morte di dieci uomini e la distruzione delle zattere, convince Ursùa a ritirarsi. Alla decisione si oppone Aguirre che, esautorato il comandante, proclama il proprio tradimento della corona di Spagna e nomina imperatore di Eldorado il nobile ma rozzo Fernando de Guzman. L’equipaggio, terrorizzato dalla violenza di Aguirre, ma al tempo stesso affascinato dalla sua lucida follia, decide di seguirlo nell’impresa. Dopo un processo sommario che condanna a morte Ursùa, si costruiscono nuove zattere per riprendere la discesa del fiume. Colpiti dalla fame, dalle malattie, dagli indios che li bersagliano con frecce avvelenate, gli uomini muoiono uno dopo l’altro: Aguirre rimane solo in mezzo a un’orda di scimmie a gridare al nulla assurdi proclami di gloria, vaneggia di sposare sua figlia e di fondare una dinastia che conquisti col tradimento tutta la Spagna. “Dio è con me” proclama alle scimmie venute a profanare i cadaveri di cui è disseminata la zattera.
Nel “Dio è con me” di Aguirre riecheggia il “Gott mit uns” dei nazisti, e questa è soltanto la più esplicita allusione di Herzog alla storia recente. In realtà tutto il film, carico di simboli trasparenti, è un’allegoria della civiltà spinta al genocidio dall’imperialismo colonialista benedetto dalla Chiesa e dalla voluttà di potenza che ha travolto nella paranoia ogni misericordia e senso del diritto, condotto a una spietatezza selvaggia dal suo fanatismo, Aguirre non è soltanto un antenato di Hitler: incarna, nel suo gelido sadismo, la barbarie sepolta nell’uomo di ieri, di oggi e di domani, tradotta nell’umiliazione dei deboli e nel furore distruttivo.

In Aguirre il regista mostra lo scorrere del tempo in relazione allo scorrere dell’acqua, l’immobilità del tempo: una natura immersa in uno stato di coma prolungato, una terra che non si è ancora destata. È il delirio di un paese intero che si infiltra a poco a poco nell’animo degli uomini e che porta infine al loro delirio. Alla fine, non si tratta più di una conquista ma del delirio dell’imperialismo, del sogno insensato dell’oro e del potere. 
La bellezza delle immagini di Thomas Mauch, l’intelligenza con cui Herzog compone nello spazio di un fiume maestoso e di foreste inesplorate, contrassegni dell’ordine naturale, i piani narrativi e figurativi di una allucinazione, dominata dall’ambiguità, che raffigura la violenza dell’ordine civile; fanno del film un piccolo capolavoro.

Maggio 1886 – Chicago


L’accusa era di assassinio: nessuno degli otto uomini era accusato di aver gettato la bomba, ma soltanto del fatto che i loro discorsi e articoli infiammati avevano spinto l’esecutore, chiunque egli fosse a commettere il crimine.
Il 19 agosto la giuria dichiarò gli uomini colpevoli e il giudice Gary condannò Parson, Spies, Lingg, Fielden, Schwab, Fischer e Engel alla pena capitale.
Fielden: ”Oggi il bel sole dell’autunno bacia le guance di ogni uomo libero con il suo dolce alito; io mi appresto a non bagnare più il mio volto nei suoi raggi. Ho amato il mio prossimo come me stesso. Ho odiato l’inganno, la disonestà, l’ingiustizia. Se deve servire a qualcosa, sono io stesso a costituirmi spontaneamente”.
Spies: ”Se credete impiccandomi di annientare il movimento operaio, allora chiamate il vostro boia … Perché siete incapaci di capire”.
Neebe: “Ecco i delitti che ho commesso: ho organizzato i sindacati. Ero per la riduzione delle ore di lavoro, per l’educazione del lavoratore, per la riabilitazione della Arbeiter Zeitung giornale operaio. Nessuna prova dimostra che io avessi a che fare con la bomba, che fossi lì vicino, né nient’altro del genere”.
Fischer: “Più si perseguitano coloro che credono nelle cause giuste e più rapidamente si realizzeranno le loro idee. Io sono uno di quelli che pur essendo uno schiavo salariato ritiene che sia sbagliato, sbagliato per me e per il mio simile … cercare la mia via di uscita dalla schiavitù del salario diventando io stesso un padrone e un proprietario di schiavi … questo è il mio delitto,davanti a Dio”.
Engel: “Sono un uomo troppo sensibile per non lottare contro le condizioni di oggi. Ogni persona riflessiva deve combattere un sistema che renda possibile a un singolo rastrellare e ammucchiare milioni in pochi anni, mentre dall’altra parte milioni di uomini diventano accattoni e vagabondi”.
Schwab: “L’anarchia come uno stato della società in cui l’unico governo è la ragione; uno stato della società in cui tutti gli esseri umani fanno ciò che è giusto per la semplice ragione che è giusto, e odiano l’ingiusto perché è ingiusto”.

Lingg: “Ripeto che sono nemico dell’ordine attuale e ripeto che, con tutte le mie forze finché resterà vita in me, lo combatterò. Dichiaro francamente e apertamente che sono favorevole all’uso della violenza. Ho detto al capitano Schaack colui che mi ha arrestato e lo confermo Se voi ci sparate, noi vi faremo saltare con la dinamite! Ah ridete! Forse perché pensate di bombe non ne tirerai più ma permettetemi di assicurarvi che sono felice di morire sulla forca, sicuro che le centinaia di migliaia di uomini a cui ho parlato si ricorderanno le mie parole; e quando avrete impiccato noi, allora, state bene a sentire, saranno loro a buttare le bombe! Con questa speranza vi dico: io vi disprezzo! Disprezzo il vostro ordine, le vostre leggi, la vostra autorità fondata sulla violenza. Per questo impiccatemi!”