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giovedì 26 aprile 2012

PRIMO MAGGIO

La liberazione umana e animale sono imprescindibilmente legate


Esiste una forma di progresso che non sia sfruttamento di esseri viventi? Cosa contraddistingue effettivamente le civiltà umane da quando hanno compiuto un balzo fuori dalla dinamica binaria che contrappone predatori e prede?
La domesticazione (e la contemporanea reificazione/mercificazione) di animali e piante è stato il fattore scatenante della cosiddetta rivoluzione neolitica che segnò il passaggio dalla comunità di cacciatori del paleolitico alla primitiva società gerarchica che fu poi la base dello stato. Cosa resta di quell’atto di sopraffazione verso la natura, nella nostra moderna civiltà fondata sul diritto? Possiamo dire concluso il tempo della nostra lotta per la sopravvivenza e guardare a un futuro di sviluppo sostenibile e non autoritario o invece, come ha affermato qualcuno, il neolitico (connotazione di dominio) non è ancora finito?
La prevaricazione e la dominazione sono centrali nella cultura dell'animale uomo, la mercificazione è la sua naturale conseguenza (lo sfruttamento degli animali negli allevamenti di vario genere e i laboratori di vivisezione costituiscono anche oggi la base economica della società), la dominazione dell’animale umano diviene parte di un sistema sociale via via più centralizzato e gerarchico, che ha interiorizzato e riprodotto un dispositivo di potere che rende gli individui strumenti economici (merce) funzionali  all’espansione della società, e che forma in quanto organizzazione sociale la struttura della coscienza e dell’agire dell’uomo.
Quando ebbe inizio il vero e proprio predominio dell’uomo sulla natura però, e la conferma vieni da studi archeologici, non ci fu un aumento di benessere generalizzato, come la prevalente ottica progressista tende a far credere. Il surplus di risorse derivante da agricoltura e allevamento fu invece, da subito, funzionale al vantaggio quasi esclusivo delle classi privilegiate, che amministravano un potere che si reggeva sull’accettazione da parte dei membri della società di un ordine gerarchico basato sulla divisione in classi e la schiavitù.
Ipotizzare la liberazione animale e della natura, come fanno i movimenti animalisti ed ecologisti radicali sorti a partire dagli anni 70, ha perciò un potenziale esplosivo che va al cuore della nostra civiltà, di cui però non è ancora stata compresa a pieno la portata nemmeno da coloro che, nel non saper analizzare efficacemente le origini e la natura dell’antropocentrismo che combattono, non sono in grado di agire politicamente e risolvono la propria lotta nelle scelte etiche individuali di consumo e di alimentazione.
Ciò che interessa è invece riflettere sulla possibilità di spezzare la circolarità del dominio, e quindi del sistema gerarchico e quindi immaginare e realizzare la possibilità sia di una soggettività vitale nella natura, sia della  naturalità nell’uomo.
La solidarietà verso gli altri esseri viventi, che fuori dall’illusione spirituale di una coscienza umana “superiore” si mostrano finalmente come soggetti stretti dalla contingenza di una comune dimensione fisica spezza la necessità della sopraffazione che da sempre contrappone le specie viventi nella lotta per la sopravvivenza, aprendo la possibilità di un salto di qualità dal regno della necessità al regno della libertà. Impossibile delineare, oggi, i tratti di un cambiamento del genere, ma è certo che in quest’ottica la liberazione umana e animale sono imprescindibilmente legate una all’altra, la seconda presuppone la prima.

LIBERTÀ ED EDUCAZIONE di Francisco Ferrer

Il pensiero di Francisco Ferrer Guardia, riflette completamente il nodo centrale del rapporto tra libertà ed educazione, e dunque il nodo irrisolto tra l’istanza della formazione e l’istanza della liberazione. L’educatore spagnolo cerca di elaborare una proposta pedagogica intesa come sintesi di questa duplicità: far coincidere l’idea di libertà con l’idea di una nuova umanità. Con tale prospettiva, la libertà non è concepita come una semplice possibilità che si apre al nuovo, ma come una reale e specifica alternativa antropologica alla condizione presente, come una nuova antropologia posta in essere. In altri termini, come delineazione concreta la quale trova così una sua descrizione ed un suo significato.
Anche se afferma che tutto il valore dell’educazione consiste nel rispetto delle facoltà fisiche, intellettuali e morali del bambino, per cui il vero educatore è colui che non impone le proprie idee e la propria volontà. Ferrer vuole porre in pratica i valori della rivoluzione libertaria ed egualitaria e perciò in essa non vi è posto per uno sviluppo educativo non orientato. Nella Escuela Moderna gli allievi vengono educati, prima di tutto, alla conoscenza delle sofferenze umane che costituiscono la pietra fondamentale della costruzione di ogni società. Si tratta di una conoscenza che si fonda sulla storia e sulla sociologia e si attiva con il coinvolgimento della stessa scuola all’interno della società.
Con questa premessa, è possibile sviluppare nell’allievo l’idea della dimensione universale del pensiero umano. Una vera cultura, secondo Ferrer, non può non essere cosmopolitica e perciò non può non scagliarsi contro tutte le forme del pregiudizio che attraversa non soltanto la questione fondamentale dell’esistenza umana, cioè il rapporto vita-morte, ma anche il rapporto vita individuale - vita collettiva.

Il rispetto della personalità del fanciullo, la coeducazione dei sessi, il lavoro di gruppo, la ricerca personale, l’esperienza e l’abilità derivate da un lavoro manuale, lo studio delle scienze e l’indagine attiva in loco della natura, la visita continua a musei ed officine, la collaborazione dei parenti, l’unione fra scuola, famiglia e officina, questi sono i punti principali del programma dell’Escuela Moderna.


Una scuola che educherà gli uomini non solo all’uguaglianza e alla libertà, ma anche a quello sviluppo integrale che li porterà a rinnovare di continuo gli ambienti e se stessi, uomini di cui la più gran forza consisterà nell’indipendenza intellettuale. 

TRE RANOCCHI di Alfred Jarry

Tre ranocchi passarono a guado,
cara Olana,
con degli aghi, un ditale
e del filo di lana.


E' per la veste del re,
cara Olana,
che il lavoro faranno col dito
e la lana.


Ecco arriva il boia,
cara Olana,
portando un grande grembiule
di ruvida lana.


-Tagliate cucite il vestito di Elbeuf,
cara Olana,
è pieno di sangue ma è  nuovo fiammante
ed è fatto di lana!


-Noi il sangue non lo tocchiamo,
cara Olana,
preferiamo marcirci, lì dentro,
assieme alla lana!


Il re non c’è più, il re è morto,
cara Olana,
e noi dividiam la sua sorte:
tagliate la lana!

giovedì 19 aprile 2012

LA LIBERTA’ D’ESPRESSIONE

La libertà di dire tutto esiste soltanto se la si rivendica di continuo. Rinnega se stessa se si riduce a un consumo passivo di idee preconcette, la cui proliferazione caotica la soffoca.
Resta una libertà soltanto a patto che si restituisca alle parole quella vita inscindibile dal vissuto quotidiano, senza la quale una lingua si fossilizza e diventa stereotipo.
La libertà d’espressione non deve essere messa al servizio della difesa dell’umano: essa appartiene, in quanto libertà, alla libertà dell’umano. Non è soltanto ciò che desta la coscienza è il portavoce del suo risveglio: è il linguaggio restituito al vivente, quello che esprime il modo in cui viviamo il mondo e lo stile con cui intendiamo viverlo.
La libertà d’espressione ridà vita al linguaggio, al contrario dell’economia che ne fa una lingua morta, rinsecchita, composta di vocaboli intercambiabili, oggetto di scambio e non elemento soggettivo e intersoggettivo, nato dalla magia, dall’incanto, dalla poesia. Infatti è nella natura del linguaggio il radicarsi nella vita, in quanto esperienza fondamentale dell’esistenza quotidiana, che diversifica gli esseri e le cose, che li allontana e li avvicina ma, costituendo la loro sostanza comune, non li separa mai.
La libertà d’espressione smetterà di essere il surrogato della libertà d’azione quando la vitalità e l’efficienza che essa racchiude in sé scongiureranno e scoraggeranno le contraffazioni creando una consonanza tra la fraternità delle parole e la fraternità degli uomini.
Rompere con il vecchio sistema di sfruttamento che ci ha dominati finora significa restituire al linguaggio quella vocazione poetica dotata in origine, del potere di influire sulle circostanza e sul destino degli esseri.

25 APRILE – Gino Lucetti

Nel giugno del 1925 Lucetti è ad Avenza, dove abitano amici anarchici fidati e, con tutta probabilità, comincia a progettare l’attentato a Mussolini. Il piano subisce una battuta d’arresto perché, la notte del 26 settembre Lucetti è coinvolto in uno scontro a fuoco con alcuni fascisti di Avenza e l’indomani, aiutato dal fratello Andrea, fugge di nuovo in Francia a bordo di una imbarcazione carica di marmo. Rientra in Italia alla fine del maggio 1926 e vi rimane per più di tre mesi muovendosi indisturbato o quasi tra Avenza, Roma e probabilmente Viareggio. Durante questi spostamenti, si ritiene vengano sia reperite le bombe e la pistola usate per l’attentato, sia informati del progetto Malatesta e Damiani. La mattina del 11 settembre 1926 Lucetti è nei pressi del piazzale di Porta Pia a Roma in attesa della vettura che conduce Mussolini dalla sua residenza di Villa Torlonia al Ministero degli Esteri a Palazzo Chigi. È certo che Lucetti conosce i particolari del tragitto della vettura grazie agli appostamenti che Stefano Vatteroni suo compaesano e amico d’infanzia aveva compiuto direttamente o con l’aiuto di altri, nei mesi precedenti. Lucetti attende l’arrivo della macchina presso il bar Nomentano, di angolo fra la via omonima e via Ancona, nascosto dietro un chiosco di giornali e quando passa l’auto presidenziale le lancia contro una bomba SIPE che, causa il ritardo e la troppa vicinanza, impatta la fiancata posteriore deflagrando a terra dove lascia visibili tracce sul selciato. Datosi alla fuga Lucetti è bloccato
da due carabinieri scesi dalla vettura di scorta, trascinato all’interno di un portone dove, non prima di aver lanciato contro di loro un secondo ordigno rimasto inesploso, viene arrestato e trovato in possesso di una pistola Browning con il colpo in canna e altre sei nel caricatore. Le pallottole, a un successivo esame, risultano intaccate e immerse nell’acido muriatico. Lucetti sostiene di essere un anarchico individualista arrivato direttamente dalla Francia per l’attentato. Il 15 settembre, nei locali della polizia vengono tratti in arresto Leandro Sorio, factotum dell’albergo romano in cui ha pernottato Lucetti nei giorni precedenti l’attentato, e Vatteroni, entrambi poi condannati a 20 e 18 anni di reclusione. Lucetti è condannato a 30 anni di reclusione ed il 6 agosto del 1927 è trasferito al penitenziario di Portolongone; il 14 febbraio 1930, al termine dei previsti tre anni di reclusione speciale, passa a quello di Fossombrone per giungere, il 20 giugno 1932, al suo ultimo carcere sull’isola di S. Stefano nell’arcipelago Pontino. L’11 settembre 1943 viene liberato dagli alleati che stanno sbarcando a Salerno e trasferito a Ischia. Napoli però è ancora controllata dai tedeschi che, nell’ambito di una decisa controffensiva, iniziano un violento cannoneggiamento sulla vicina isola ed è proprio nel corso di questo attacco che colpito da una scheggia di granata, Lucetti muore il 17 settembre 1943. 

HAPPINESS IS A WARM GUN – The Beatles

La felicità è una pistola calda
Lei non è una ragazza di molte rinunce.
Do do do do do do do do
Lei conosce bene il tocco della mano vellutata
come una lucertola sul vetro di una finestra.
L’uomo tra la folla
con gli specchi multicolori negli stivali chiodati
mente con gli occhi
mentre le sue mani sono occupate
nel lavoro straordinario.
Quel sapore di sapone della moglie
di cui si è cibato
e che ha donato alla Comunità Nazionale.
Ho bisogno di un appoggio perché sto andando giù.
Madre Superiora scatta alla pistola
Madre Superiora scatta alla pistola
Madre Superiora scatta alla pistola
Madre Superiora scatta alla pistola.
La felicità è una pistola calda,
la felicità è una pistola calda.
Quando ti stringo fra le braccia
e sento il mio dito sul tuo grilletto,
so che nessuno può farmi del male
perché la felicità è una pistola calda.
Si, è così

giovedì 12 aprile 2012

Verso una più attraente e desiderante utopia

Al mondo dei bisogni creato dal capitale è necessario opporre il mondo nuovo che ci portiamo dentro. Questo mondo si fonda sulla praticabilità realizzativa dei nostri più propri desideri. Al giorno d’oggi pensiamo che non sia più valido dire semplicisticamente che sarà un dato modo di produzione a definire concretamente una società anarco-comunista. L ’atto del produrre, in senso libero, non può essere disgiunto dall’avvenuta soppressione del lavoro in quanto tale, verso una riscoperta del gusto artistico soppresso dalla produzione del consumo massificato. Vogliamo essere artisti e non semplici manovali-artigiani. Quindi, partiamo dalla reintegrazione in ciascun individuo di tutte le sue facoltà, manuali e intellettuali, trasformando l’attività umana in attività libera e creativa, in una parola, in attività artistica. Noi vogliamo realizzare la vita come arte, così non avremo più alcuna necessità di recarci ai musei, al cinema, al teatro, ecc. Concepiamo lo sviluppo produttivo, come un fine in se di accrescimento di libertà materiale, per se stessi e nel contempo per gli altri individui liberatisi dal peso delle costrizioni e rivolti esclusivamente, con passionalità, a praticare la realizzazione di tutti i propri singolari desideri.
Una società anarchica è, di per se stessa, comunista, essa sarà definibile una volta che noi ci saremo liberati dal peso di tutte le gerarchie interne ed esterne e avremo abbattuto tutti gli ordinamenti statali-capitalisti. Sarà definita quando ognuno sarà posto nella condizione materiale di potere seguire liberamente, senza alcuna ingerenza autoritaria, le sue particolari e inimitabili inclinazioni, fuori da tutti i tabù e da ogni genere di catene e inibizioni sociali.
E’ logico che questo modo di vedere la questione del vivere individuale e sociale porti a dar corso a nuove e più attraenti forme di vita liberata. Nella visione anarchica rivoluzionaria, il comunismo appare epurato da tutti i suoi più odiosi aspetti religioso-autoritari e viene quindi valorizzato criticamente nei suoi aspetti positivi, in quanto non mutila ne appiattisce la personalità dei singoli che comunitariamente lo mettono in pratica, ma, al contrario, il loro associarsi dà modo di esaltare qualitativamente le singole diversità.
In sostanza, l’utopia anarchica è un invito rivolto agli uomini per vivere la propria vita da protagonisti e non da anonime comparse, dentro il corso vivo degli avvenimenti interni ad una umanità non più popolata da fantasmi, ma da individui in carne ed ossa, divenuti finalmente consapevoli della necessità che l’unico ordine sociale che si può riconoscere è quello in armonia con il proprio movimento di vita, con la propria incessante ricerca di libertà e di desideranti orizzonti.
La vita, nel suo movimento, non ha alcun fine preordinato, siamo noi a riempirla di senso nel momento stesso in cui cerchiamo di viverla compiutamente.

Riflessioni sulla strada dell’anarchismo

Solchiamo tempi strani, dove poche bussole non risultano impazzite e le strade della libertà non sono asfaltate. Scegliere la pista dell’anarchismo è in primo luogo, una precisa scelta di campo.
E se il movimento libertario, nella sua molteplicità di approcci e tendenze, offre disponibilità al confronto e riconosce come compagni di lotta anche chi non condivide le idee anarchiche, questo non significa affatto che sia un ombrello sotto cui porre qualsiasi interpretazione personale dell’anarchia.
Si può essere individualisti o comunisti, organizzatori o antiorganizzatori, educazionisti o insurrezionalisti, ma comunque certi presupposti sono fuori discussione perché definiscono l’anarchismo stesso.
Nessuno/a è obbligato a condividerli, ma sia chiaro che alcuni punti sono fondamentali per l’anarchismo. Il rifiuto coerente di ogni potere (politico, militare, religioso…) e di ogni sfruttamento (sia questo capitalista o statale), di tutte le discriminazioni (razziste, di genere…), delle diverse forme di coercizione (polizie, leggi, carceri, lager, sedie elettriche, torture, repressione, proibizionismo…) non sono un di più, bensì punti fermi di un pensiero davvero alternativo e antagonista al dominio.
Un metodo incentrato sull’auto-emancipazione, attraverso l’impegno per l’autoformazione individuale, l’azione diretta e l’autogestione collettiva. Perché la liberazione è rivoluzione quotidiana, a partire dal proprio intessere relazioni e vivere in un mondo che certo non è il migliore possibile.
La libertà non ammette limitazioni da parte dei suoi nemici. Fuori da questi paletti c’è l’autoritarismo comunque mascherato o l’illusione riformista, ossia la convinzione di poter pacificamente umanizzare l’inumano. D’altra parte la libertà non è obbligatoria, così come nessuna/o è tenuto ad essere sovversivo.

L’idea dell’eguaglianza di Michail Bakunin

L’idea bakuniniana dell’eguaglianza parte dunque da una considerazione centrale: la sostanziale equivalenza di tutti gli esseri umani proprio in rapporto al paradigma egualitario. Questa sostanziale equivalenza è argomentata sulla base di una considerazione prettamente naturalistica. L’eguaglianza non è un modulo ideale che richiami giudizi di valore, ma è solo un concetto materialistico che rimanda a giudizi di fatto:
è una verità proverbiale che sullo stesso albero non ci sono due foglie identiche. A maggior ragione ciò sarà sempre vero riguardo agli uomini, dato che gli uomini sono esseri molto più complessi delle foglie. Ma questa diversità lungi dal rappresentare un danno è, al contrario, una ricchezza dell’umanità. Grazie ad essa l’umanità diviene un tutto collettivo in cui ciascuno completa tutti, e ha bisogno di tutti; di modo che questa infinità diversità degli individui umani è la causa stessa, la base principale della loro solidarietà, e un argomento onnipotente a favore dell’eguaglianza. Quando si eccettuino due categorie di uomini, gli uomini di genio e gli idioti, e quando si trascurino differenze create artificialmente dall’influenza di mille cause sociali come educazione, istruzione, posizione economica e politica che si diversificano non solo in ogni strato della società ma quasi in ogni famiglia, si dovrà riconoscere che dal punto di vista delle capacità intellettuali e dall’energia morale, l’immensa maggioranza degli uomini si rassomiglia molto o almeno che essi si equivalgono perché la debolezza di ognuno è compensata da una forza equivalente sotto un altro aspetto, per cui diventa impossibile dire che un uomo tolto da questa massa sia molto superiore o inferiore all’altro”.
Decisivo è dunque in Bakunin, il concetto di diversità tra gli individui perché è proprio questa diversità ad essere l’argomento onnipotente a favore dell’eguaglianza. Gli essere umani in quanto infinitamente diversi, hanno la necessità di completarsi e in tale bisogno scoprono la loro sostanziale uguaglianza naturale, cioè l’iniziale uguaglianza, nel senso che al momento della nascita non vi è grande differenza tra loro. La conclusione, pertanto, è una sola: "nella loro immensa maggioranza gli uomini non sono identici, ma equivalenti e perciò uguali”.
     

giovedì 5 aprile 2012

LA SOCIETÀ AUTOGESTITA di Pierre-Joseph Proudhon

Il concetto di società autogestita porta Proudhon a formulare la dottrina del federalismo pluralista, considerata a suo parere l’unica realistica perché le contraddizioni, costituendo la linfa vitale della società, sono insopprimibili.
Il federalismo proudhoniano,ovvero un federalismo libertario, sa risolvere in una continua tensione di libertà i termini, dati prima come teoricamente insopprimibili, della libertà e dell’autorità. 
Così il federalismo pluralista si definisce da una parte come critica di tutte le dottrine stataliste, uniciste, assolutistiche, in quanto utopistiche e reazionarie, e dall’altra come metodo regolativo, più che costitutivo, dei rapporti socio-economici. Esso infatti deve garantire, con la sua dimensione aperta, l’eguale possibilità di espressione di ogni individuo o gruppo, in armonia con le proprio esigenze geografiche e le proprie tradizioni storiche. Il sistema federativo deve essere insomma il risultato degli equilibri da ricercarsi nel rapporto fra gruppi e individui, fra unità e molteplicità, fra società globale e raggruppamenti particolari, fra coesione e libertà. Tuttavia ciò che costituisce l’essenza è il carattere del contratto federativo, è che in un tale sistema i contraenti si riservino più diritto, autorità e proprietà di quanto non ne abbandonino. Il federalismo libertario riassume per intero la rivoluzione politica ed economica perché il principio federativo è l’applicazione sulla più alta scala dei principi di mutualità, di divisione del lavoro, di solidarietà economica. Per sorreggere questo disegno fondamentalmente libertario ed egualitario, Proudhon ha concepito il mutualismo economico, il solo in grado di rendere operante tale impianto strutturale. Il mutualismo in senso economico è un socialismo pluralista decentralizzato, fondato sull’autogestione dei produttori della proprietà federalizzata degli strumenti di produzione.
  

San Michele aveva un gallo di Paolo e Vittorio Taviani

“San Michele aveva un gallo, bianco rosso, verde e giallo …”

San Michele aveva un gallo si situa nell’ultimo quarto del secolo scorso. L’eroe, Giulio Manieri, che ha studiato matematica ma vive facendo il gelataio partecipa verso il 1880 a delle azioni di propaganda del fatto organizzati in differenti villaggi dagli anarchici internazionalisti. Arrestato dalla polizia viene condannato a morte e vede la sua pena commutata in detenzione a vita. Giulio vive gli anni di isolamento senza nessun contatto. Sopravvive immaginando. La cella si riempie delle parole sue e dei compagni, di suoni e rumori. Passa dieci anni fra le quattro mura di una cella prima di essere trasferito in una nuova prigione: nel corso del viaggio sulla laguna di Venezia egli incontra degli altri prigionieri e si suicida dopo aver preso conoscenza della sua incapacità di adattarsi alle nuove forme che hanno preso il pensiero e l’azione rivoluzionaria. Il suicidio per Giulio è l’ultima affermazione della sua personalità e della forza delle sue convinzioni.
il film mette a confronto due diverse concezioni di lotta politica in vista della realizzazione di una società più giusta. Giulio Manieri incarna il socialismo anarchico, insofferente di ogni forma di gerarchia e di progetto a lunga scadenza e proteso all'immediata conquista del potere attraverso l'insurrezione armata: si tratta di una visione spontaneistica e fortemente volontaristica della lotta di classe, incentrata sulla pratica clandestina e lo scontro frontale con lo Stato; il gruppo di prigionieri politici dell'altra barca simboleggia, invece, il socialismo scientifico d'ispirazione marxista che, sulla base di una visione gradualista del divenire storico, assume tempi più lunghi per la rottura rivoluzionaria ed indica nella lotta legalitaria per le riforme e nel partito politico fortemente organizzato gli strumenti privilegiati d'azione.

I fratelli Taviani propongono la loro idea di cinema dialettico sia dal punto di vista dei contenuti, sia della forma. Ne esce un film asciutto e nudo, che fa della povertà produttiva una risorsa.
Cinema politico e civile degli anni settanta fatto per aprire discussioni, provocare crisi e far riflettere, senza dare risposte definitive e rassicuranti.
L’utopia sta sempre oltre la storia, sfugge al tempo.

Il TEMPO DEL LAVORO

Il tempo del lavoro conta il doppio perché è tempo perduto due volte:
a) come tempo che sarebbe stato più gradevole impiegare nel fare l’amore, nel fantasticare, nei piaceri, nelle passioni; come tempo di cui disporre liberamente.
b) Come tempo di usura fisica e nervosa.
Il tempo del lavoro assorbe la maggior parte della vita, perché determina anche il cosiddetto tempo libero, il tempo del sonno, dei tragitti per andare al lavoro, dei pasti, delle distrazioni.

Esso raggiunge così l’insieme della vita quotidiana di ciascuno e tende a ridurla ad una successione di istanti e di luoghi, che hanno in comune la stessa ripetizione vuota, la stessa assente crescente della vera vita.
Il tempo del lavoro forzato è una merce. Dappertutto, dove c’è merce, c’è lavoro forzato, e quasi tutte le azioni umane finiscono per rientrare nel lavoro forzato. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo per un padrone, per un capo, per lo stato, per il sistema della merce generalizzata.
Lavorare di più vivere di meno.
Noi siamo per una società che assicuri a ciascuno il diritto di disporre del tempo e dello spazio; di costruire ogni giorno la propria vita come la desidera.