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venerdì 29 aprile 2011

NO ALLA GUERRA NO AL NUCLEARE

La produzione di guerra, intesa come la produzione di tecnologie di distruzione, in senso materiale e psicologico da parte dei complessi militari-industriali non potrà mai avere come conseguenza la totale distruzione del pianeta e quindi l'autodistruzione degli stessi complessi produttori militari-industriali.
Per il conflitto attuale fra le potenze non si può utilizzare il termine di guerra, poiché esso ne rappresenta la degenerazione. La guerra totale si trova nell'impossibilità di esprimersi per il suo carattere di "assoluto". Alle grandi invasioni di un tempo, alle guerre di conquista, subentra l'impercettibile estensione della guerra parziale indefinita nel tempo. Il multi/stato del terrore afferma se stesso nella sua espressione di terrorismo diffuso, continuato, contro l'umanità. L'unica guerra, la guerra reale che si sta svolgendo é quella del potere nei confronti della gente, dello stato nei confronti dell’individuo. Lo scontro armato fra le potenze si consuma e si esaurisce nelle terre di confine, ai margini degli imperi, nel terzo mondo. E' uno scontro, un conflitto molto più apparente che reale poiché non ha come fondamento una reale volontà di modificare i rapporti di potere fra le potenze, ma bensì di stabilizzare, di cristallizzare i rapporti comuni ad essi; quelli fra potere ed individuo, prevenendo la reale emancipazione degli stessi attraverso il controllo degli stati emotivi con la diffusione del terrore e dell'angoscia.
Dalla coscienza di queste cose deve partire la rivendicazione del mondo intero attraverso la contrapposizione radicale alla logica cibernetica democratizzata; in questo senso diviene centrale ritrovare un rapporto con la terra inteso nel suo senso più ampio (non già come ritorno bucolico) ma come ambiente naturale della specie. E' necessario ritrovare tutte le potenzialità, i nostri. sensi, il linguaggio complessivo della vita: la radicalità della nostra critica.
Non si tratta tanto di liberarsi del nucleare in se stesso, o dalla paura che esso genera, ma di emanciparsi da queste parzialità; riappropriandosi della nostra critica di individui antagonisti.
Definire e limitare la categoria nucleare come obiettivo dell’antagonismo vuol dire rinchiudersi ancora nel labirinto di prigioni senza uscita, ma interpretarlo come un momento (probabilmente anche marginale) di una continuità che il potere realizza al fine del controllo totale sulla nostra energia vitale, imprigionandola attraverso il mito della catastrofe con il relativo trionfo dell'angoscia, può offrirci l'opportunità di una reale liberazione da categorie a noi estranee. La guerra reale é tra il potere e l'individuo, non già, quella nucleare probabile o presunta. Il nostro impegno non può essere contro il nucleare in sé, bensì contro ogni schema autoritario operato ora dalla nuova democrazia/cibernetica, contro ogni sua espressione, forma o effetto; é quindi anche contro il nucleare, ma anche contro la sua paura il suo mito, le accezioni spettacolari che esso genera. Contro il culto del disastro e chi ne usa i termini e le mode per cavalcare il nuovo spettacolo, chiunque esso sia; lasciamo ad altri la catastrofe ed il nulla delle loro parole.
Giacché “NOI PORTIAMO UN MONDO NUOVO DENTRO DI NOI” 
archivio BODOS 1986

martedì 19 aprile 2011

25 aprile per non dimenticare


Eravamo alle nostre case, ai nostri lavori, alla vita ordinaria. Siamo stati richiamati dalla piazza e dal rumore dei conflitti. Abbiamo udito, per troppo tempo individui disgustosi e immeritevoli fare sfregio della nostra Terra e monopolio del nome luminoso della Libertà. È giunto per noi il momento di serrare nuovamente tutte le fila, forti del nostro pensiero ideale e sicuri del nostro braccio di guerrieri e lavoratori. 
Il 18 dicembre 1922 a Torino le squadre di Pietro Brandimarte per vendicare la morte di due camerati, danno il via ad una feroce rappresaglia ancor oggi ricordata come “la strage di Torino”. Molti operai vengono aggrediti nelle loro case, bastonati di fronte ai loro familiari, altri vengono caricati sui camion e crivellati di colpi in riva al Po, nei prati della Barriera di Nizza, sulle strade della collina. Fra gli undici “sovversivi” trucidati dalle camicie nere ricordiamo l’anarchico Pietro Ferrero, che era stato due anni prima uno dei promotori e degli organizzatori dell’occupazione delle fabbriche a Torino nella sua qualità di segretario della F.I.O.M. torinese. Pietro Ferrero viene catturato e dopo essere stato colpito selvaggiamente, viene legato per i piedi ad un camion e trascinato a lungo per i viali di Torino; il suo corpo ormai irriconoscibile viene abbandonato ai piedi della statua di Vittorio Emanuele II ed è identificato grazie ad una tessera della Croce Verde. Miglior fortuna ebbe l’anarchico Probo Mari, attivista dell’U.S.I. torinese, portato in riva al Po dai fascisti che gli legarono le mani dietro alla schiena e lo gettarono nel fiume. Mari riuscì però a raggiungere la riva e a farsi ricoverare in ospedale.  
 Gli Arditi del Popolo, forti della loro autonomia e della loro determinazione, non facendo mistero dell’intenzione di contrastare e rispondere colpo su colpo al terrore fascista, capovolsero invece la mentalità perdente, legalitaria e pacifista ad oltranza che, pervadendo il movimento socialista, esponeva l’intera classe lavoratrice all’urto dell’aggressione fascista coi suoi inauditi livelli offensivi, esercitata da soggetti addestrati e psicologicamente abituati all’esercizio della violenza nonché pagati ed equipaggiati con le armi cospicuamente offerte dai depositi militari....Il fascismo non fu sempre irresistibile; ma s’impose grazie a connivenze, errori, sottovalutazioni che sarebbero stati pagati a duro prezzo per oltre vent’anni; prima che vecchi e nuovi arditi del popolo trovassero altre armi per un’altra liberazione, in quanto come osservato dallo storico inglese Deakin: “I partigiani del 1945 rappresentavano in un certo senso i vinti del 1922”.

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA

Nel febbraio 1936 il Fronte Popolare (le sinistre unite) vince le elezioni, sconfiggendo la destra, ed in Spagna si intensificano le agitazioni popolari; i fittavoli cessano di pagare gli affitti, i braccianti occupano e lavorano la terre, i ferrovieri scendono in massa in sciopero. I capi militari capiscono che la vittoria delle sinistre non può soddisfare le attese del popolo spagnolo, che in buona parte punta non ad un semplice cambiamento di governo, ma ad una profonda rivoluzione sociale. Oltre mezzo secolo di propaganda e di lotte anarchiche ed anarco-sindacaliste hanno lasciato un segno profondo nella vita politica spagnola e l’influenza fra gli sfruttati della Confederacion Nacional del Trabajo (C.N.T.), la grande organizzazione anarco-sindacalista, è estesa in tutta la Spagna e soprattutto in Catalogna. Nel luglio 1936 a questi prodromi di rivoluzione, i capi militari, sotto il comando del colonnello Francisco Franco, rispondono con un colpo di stato. La risposta spontanea del popolo spagnolo è immediata. Ad eccezione di Siviglia, nelle maggior parte delle grandi città, a Madrid, a Barcellona, a Valenza soprattutto, il popolo prende l’offensiva, assedia le caserme, erige barricate nelle vie, occupa i punti strategici. Il golpe militare viene così sconfitto sul nascere in oltre metà della Spagna. In molte località l’autogestione contadina ed operaia prende corpo immediatamente, sostituisce le “autorità ufficiali” e coordina la vita sociale e la lotta antifranchista. Onnipresente l’organizzazione della C.N.T. che ispirava e collegava dovunque i diversi comitati di base. La caratteristica più notevole della Rivoluzione Spagnola fu proprio la grande diffusione raggiunta dagli esperimenti e dalle realizzazioni dell’autogestione, tanto nei piccoli villaggi di campagna quanto nei grossi centri industriali come Barcellona.  Per più di quattro mesi le industrie di Barcellona, su cui sventolava la bandiera rosso-nera della C.N.T., furono gestite dai lavoratori raggruppati in comitati rivoluzionari, senza aiuto o interferenza dallo stato, prima che il governo, riorganizzatosi, cominciasse ad occuparsene. Anche la rete dei trasporti pubblici venne autogestita dai lavoratori, in maggioranza aderenti alla C.N.T.. Dopo lo slancio dei primi mesi, però, la rivoluzione si fermò o retrocedette, in proporzione inversa con il rafforzamento del governo repubblicano di coalizione antifascista, via via sempre più dominato dal P.C., che andava acquistando maggiore consistenza e potere, grazie alla sua politica moderata (che attirava nelle sue file bottegai, i piccoli e medi proprietari, i professionisti, i burocrati) ed gli aiuti russi. 
Lo scontro fra il moderatismo e la logica di potere dei comunisti da un lato e la rivoluzione libertaria degli anarchici dall’altro, era facilmente prevedibile. Nonostante la volontà degli anarchici di evitare fratture nel fronte antifascista, le provocazioni dei comunisti e dei loro alleati piccolo borghesi (ad esempio il generale comunista Lister si diede a devastare con le sue truppe le collettività agricole libertarie dell’Aragona; a Barcellona la polizia controllata dai comunisti assaltò la sede dei telefoni autogestita dalla C.N.T.; agenti della polizia segreta comunista assassinarono l’anarchico italiano Camillo Berneri.) condussero necessariamente a scontri sempre più aperti e violenti. La situazione militare, da posizioni iniziali (luglio 36) di quasi equilibrio, in termini territoriali, tra fascisti e repubblicani, andò lentamente ma continuamente deteriorandosi e l’avanzata delle truppe di Franco continuò inesorabile, grazie ai massicci aiuti in armi e uomini di Hitler e Mussolini. I paesi baschi caddero nel giugno del 37; l’Aragona nell’aprile del 38; la Catalogna nel gennaio del 39, Madrid nel marzo del 39.

martedì 5 aprile 2011

L’ACQUA NON E’ MERCE


L’acqua è un diritto e non una merce, la sua gestione può diventare occasione per allargare la dimensione della partecipazione e dei diritti. L’unica via praticabile non può che essere quella che porta all’autogestione, nelle forme più convenienti per ciascuna realtà specifica, perché un conto è la gestione dell’acqua in una metropoli altro è il piccolo paese rurale; diversa la situazione in zone povere di riserve piuttosto che nelle vallate alpine ricche di acqua.
La rivoluzione tecnologica ha permesso di pompare, depurare e distribuire l’acqua attraverso meccanismi sempre più sofisticati e a distanze sempre maggiori dalla fonte di approvvigionamento, il sistema industriale ha devastato i fiumi e le falde con le sue nocività, la civiltà dei consumi ha contribuito a devalorizzare l’acqua, alimentando la percezione che essa sia un bene illimitato, sempre disponibile e a buon mercato.
Occorre mettere in discussione questo sistema che mercifica tutto, non solo l’acqua, esalta l’individualismo e massacra le relazioni sociali. Bisogna recuperare innanzitutto la dimensione comunitaria dell’acqua, le attività collettive ad esse legate e quindi anche la percezione che essa sia un bene comune prezioso che tutti sono tenuti a difendere.
Riscattare l’acqua dalla funzione commerciale cui è stata relegata è possibile soltanto se la si considera in termini di prossimità, vicinanza. Allora sarà normale condividerla, non sprecarla, tenerla pulita. Sarà normale vigilare affinché gli avvoltoi del profitto, grandi e piccoli, non si avventino su di essa per sottrarla alla disponibilità di tutti e depredarla fino all’ultima goccia.