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mercoledì 21 dicembre 2011

RIFIUTO DEL LAVORO

Sostituendosi al potenziale creativo, il lavoro penetra nell'evoluzione con una micidiale forza di frammentazione. Sotto l'onda d'urto dei gesti ripetitivi, dei comportamenti lucrativi, dei modi servili e tirannici, la ricchezza dell'essere si decompone in una paccottiglia di idee e di oggetti triturati e selezionati dai meccanismi dell'avere.
La necessità di produrre e di consumare beni materiali e spirituali rimuove la realtà dei desideri, la nega nel nome di una realtà forgiata dall'economia. 
La storia mostra con una precisione crescente come il lavoro perfezioni la meccanizzazione dell'individuo e della società nella misura in cui la merce estende il suo impero sulla terra e nel corpo.
C'è qualcosa di artigianale nel martellamento originario del godimento e nell'orgia, la sommossa, il massacro in cui il godimento si sfoga non appena rallenta il lavoro regolatore del re, del prete, del funzionario, del plebeo, dello schiavo. 
C'è un'universalità industriale nei furori rivoluzionari che imprimono allo sfogo delle passioni oppresse la coscienza di un imminente cambiamento sociale. Ma che disillusione, anche lei universale, quando appare chiaro che le rivoluzioni non hanno fatto che tradurre il passaggio da uno stadio economico ad un altro, e che le nuove libertà non includono affatto la libertà di godere.
Solo il lavoro che trasforma il mondo è stato il motore di un progresso che ha propagato ovunque la sconfitta dell'umano e l'immagine della sua vittoria. Da quando l'obbligo di produrre si è prolungato in persuasione di consumare, il lavoro si è trasformato da oggetto di orrore in soggetto di soddisfazione. 
La merce ha sfruttato così bene fino ai suoi limiti l'energia della vita terrestre ed individuale che un grande languore spinge alla morte la foresta incantata di Broceliande e il meraviglioso desiderio di amare che essa ispira.
Chi si ostina a partecipare a questo tipo di mondo si impantana nei tic e nelle ripetizioni del suo stesso rintocco funebre. Tutto il suo discorso, come la sua esistenza, si riduce a un' orazione funebre. È ormai al crocevia tra la morte consentita e la vita da creare che si gioca la posta del destino.

Organizzazione orizzontale,partecipativa e includente

L'obiettivo degli zapatisti è quello di costruire uno spazio di incontro. Non si tratta di creare una struttura, un apparato, ma uno spazio orizzontale e ugualitario, una sorta di pubblica piazza (l'agora dei greci), dove scorra la parola e la comunicazione tra soggetti uguali. Dove è fondamentale non imporre l'idea, ma unire pensieri e lotte, che si pensino con cuore e testa, quindi:"Non vincere il fratello approfittando della sua debolezza o della sua ignoranza. Non fare con i nostri fratelli ciò che il potere fa con noi".
Sono un'assemblea quando sono assieme e una rete quando sono separati, rifiutano le organizzazioni nelle quali prevale l'accumulazione di potere, il verticalismo con dirigenti stabili e permanenti, che invece di puntare sulla visibilità, fanno tutto il contrario. Privilegiano l'accento sui metodi partecipativi e non sul sistema di commissioni che si presta alla messa in luce personale e alla leadership individuale, non praticano il modello piramidale ma quello circolare,con una leadership collettiva. Tendono ponti e si trasformano essi stessi in ponti, così come dei vasi comunicanti in una ricerca permanente che consiste nel tessere una rete di spazi di incontro e di riflessione per la lotta. 
Questo tipo di modo di fare le cose - parliamo di organizzazione, in mancanza di un altro vocabolo - pone al centro l'essere umano in qualità di soggetto e non di oggetto. 
Considera che sono i mezzi a giustificare il fine, che l'ordine non si impone, ma si trova, si scopre, si tesse e che il potere è utile se il disegno è ripartito e articolato come un tessuto. Un potere sparso, condiviso e non concentrato; un tessuto auto-creativo e auto-gestito. Una proposta che può sembrare, oltretutto, caotica, disordinata, non fissa e stabile come nell'organizzazione tradizionale. 
Una proposta che però non funziona al ritmo imposto dalla politica dei poteri stabiliti ma a un altro più lento, se lo si giudica attraverso i parametri del tempo/efficienza. è un tipo di cultura che incoraggia l'emancipazione.
La formulazione teorica più rifinita conosciuta in questa direzione, nella cultura occidentale, è quella realizzata da Guattari e Deleuze nel loro saggio Rizoma, nel quale gli autori difendono un tipo di organizzazione orizzontale, senza un centro, mobile, una rete di reti nella quale ogni parte abbia la sua autonomia e possa interconnettersi direttamente con le altre senza dover passare da un vertice organizzativo, anche perché tale vertice non esiste.
Mentre la sinistra classica, tanto la riformista quanto la rivoluzionaria, riproduce al suo interno le strutture di dominio del sistema, gli zapatisti non puntano a cambiare di padrone ma ad abolire la figura del padrone. Non vogliono sostituire le attuali classi dominanti e i suoi poteri ma invece entrano in conflitto con l'idea di classe dominante. È per questo che gli zapatisti dicono di lottare non affinché le scale si scopino dall' alto verso il basso, "ma affinché non ci siano scale, non ci siano regni".
Il neozapatismo incarna il mondo nuovo non solo verso fuori ma anche, e soprattutto, verso dentro. Si tratta di un soggetto collettivo che rappresenta un nuovo rapporto sociale, democratico e non autoritario, orizzontale e non verticale, partecipativo e includente e non autoritario ed escludente.

lunedì 19 dicembre 2011

SCIOPERO GENERALE E ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

La lotta di conquista deve venir condotta con delle armi  adeguate e non più soltanto di difesa. Occorre che si sviluppi una nuova idea di organizzazione naturalmente antagonista ai governi del capitalismo finanziario; deve sorgere spontaneamente sui luoghi di lavoro e riunire tutti i lavoratori, per il fatto che, in quanto produttori, tutti sono assoggettati ad un’autorità che è loro estranea e dalla quale devono liberarsi.
Ecco l’origine della libertà: l’originarsi di una formazione sociale che, estendendosi rapidamente ed universalmente, creerà le condizioni per eliminare dal campo economico lo sfruttatore e l’intermediario, creerà le condizioni di divenire padroni della proprio futuro. 
Nella nuova organizzazione “consiliare”, l’uguaglianza reale di tutti nelle decisioni e nella loro esecuzione non può essere un vuoto slogan, una rivendicazione astratta, è una necessita imprescindibile e irrinunciabile. Affinché la nuova organizzazione abbia globalmente tutte le capacità necessarie, bisogna, in modo complementare, che nessuna gerarchia delle capacità individuali possa essere permessa. Il solo gioco che vale la pena: è la distruzione del vecchio mondo, dei suoi schemi, delle sue corruzioni. I lavoratori quale che siano i loro “contratti” si trovano ad essere, ancora e sempre, la forza centrale che può bloccare il funzionamento di questo sistema di sviluppo, la forza indispensabile per reinventare tutte le basi dei rapporti sociali. Questa nuova organizzazione a struttura quindi “consigliare” deve evidentemente unire tutte le categorie di salariati, di precari, di intellettuali.  I Consigli devono essere “potenza”, o non potranno essere niente, sono loro che dovranno  dettare i tempi, il ritmo delle lotte, non potrà nascere alcun dialogo con i partiti o con le tradizionali organizzazioni sindacali collusi fra loro e con il potere economico, alla fine essi, come sempre, tradiranno le lotte dei lavoratori. Con la leva dei Consigli e il punto di appoggio di una negazione totale della società mercantile-spettacolare, si può sollevare il mondo intero. La vittoria dei Consigli non si pone dunque alla fine, bensì all’inizio del percorso rivoluzionario.  Ne consegue che l'unico sciopero generale vero che può essere dichiarato è quello derivante dalla azione diretta  spontanea, inarrestabile  improvvisa, aspra, irriducibile e gioiosa che nasce dal cuore e dalle menti di coloro che vogliono intraprendere l'entusiasmante strada della riconquista della propria soggettività.



giovedì 15 dicembre 2011

PSICHIATRIA COME CONTROLLO SOCIALE

Nei tempi più antichi gli uomini hanno scoperto che certe sostanze potevano essere utili, ad esempio contro il dolore, oppure contro la malinconia e per questo hanno cercato di usarle a loro vantaggio. Contro il dolore fisico e poi anche per cambiare lo stato d'animo, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche in senso cerimoniale e religioso. Bisogna distinguere due aspetti che partendo dall'antichità arrivano ai tempi nostri. 
Un aspetto sull'uso di queste sostanze riguarda l'utilizzo deciso dalle persone per avere dei vantaggi: se queste sostanze vengono usate bene ci sono dei vantaggi e insieme, come succede sempre nella farmacologia anche dei rischi. Una cosa è se uno decide per se stesso della propria vita, sia per effetti di miglioramento delle proprie condizioni, sia per scopi rituali; l'altro aspetto e se sono le autorità e le istituzioni a decidere. Naturalmente le autorità hanno sempre capito che la salute e il benessere, sia fisico sia psicologico, sono importanti per ognuno di noi e si sono impadronite della salute e del benessere, o meglio del controllo della salute e del benessere, per avere dei sudditi a disposizione per eventualmente controllare, ma anche ricattare, perché quando uno ha in gioco il proprio benessere è disposto a sottomettersi.
Il conflitto fondamentale, per quanto riguarda psichiatria e antipsichiatria, non è tanto sul significato chimico delle sostanze, quanto sul fatto che un cittadino possa decidere quello che vuole prendere  e quello che non vuole prendere.
La psichiatria dice che deve essere lo psichiatra a decidere e anche a forzare il paziente. 
Noi pensiamo che deve essere il paziente o cittadino a decidere perché se no questo diventa una violazione della libertà delle persone.
La medicina, in generale, ha una struttura autoritaria perché il medico, come il sacerdote egiziano che aveva in mano il rapporto della medicina con la salute, non si limita a curare le persone dietro loro richiesta, ma pensa di interferire con la vita della persona, controllarla sia individualmente che socialmente. 
Quindi il ruolo della psichiatria è molto semplice a dirsi: è il controllo sociale.

La lotta della Val di Susa è anche la nostra.

La distruzione di questa piccola valle alpina sull'altare dell'Alta Velocità Economica (traffico merci e passeggeri) è solo una delle condizioni necessarie alla distruzione creatrice di profitto e di potenza per i tecnocrati del Piemonte per arricchirsi mentre i loro abitanti dovranno accontentarsi, nel migliore dei casi, a lavorare come servi al servizio di quadri aziendali e di macchine, in un ambiente devastato dalle infrastrutture.
Si capisce bene che si tratta di distruggere gli uomini e di sconvolgere i territori affinché, nell'epoca dell'economia planetaria unificata, quelli che decidono per noi possano continuare a rivaleggiare con quelli che decidono nelle altre parti del mondo. Ma a noi non interessa né il patriottismo e né la guerra economica. 
Noi non vogliamo morire di noia e di lavoro al servizio dei nostri generali economici.
Noi siamo vigliacchi, pigri e disfattisti.
Non vogliamo,  abitare in una "via express" costeggiata da facciate in vetro cromato e da centri commerciali. 
Non vogliamo passeggiare in giorni prestabiliti, nella neve coltivata dei parchi artificiali, sotto il radiatore climatico.
Non vogliamo essere dei robot sociali, in quattrocento per kmquadro, allevati in batteria dentro a degli agglomerati urbani intelligenti.
Non vogliamo essere competitivi.
Non vogliamo attirare nessuno, tanto meno gli investitori di capitali. Al contrario, che se ne vadano, ciò farà abbassare i costi dei terreni, degli immobili e della vita. Noi siamo retrogradi. Vogliamo i lupi, gli orsi, i ghiacciai, le stagioni. Vogliamo i contadini nelle nostre campagne, Vogliamo mangiare quello che produciamo, non quello che arriva con gli aerei, i camion e i treni che distruggono al loro passaggio clima e paesaggio. Così come non vogliamo che le cisterne di latte vadano chissà dove per essere trasformati in formaggi, confezionati in qualche fabbrica europea per essere poi venduti nei supermercati piemontesi. 
A noi manca terribilmente l'ambizione: vogliamo mangiare la toma acquistata dal contadino vicino, vorremmo semplicemente vivere in una vera casa con vecchie pietre, tra le nostre montagne, nella nostra valle senza rotaie di ferro, traverse cementate e ferite profonde nella roccia.

CRISI DEL CAPITALISMO FINANZIARIO

Larga parte del mondo sta scendendo nelle strade e nelle piazze, un movimento  ampio polimorfo intransigente forse non del tutto consapevole una sollevazione diffusa che occupa tenacemente le piazze del potere. Politici dirigenti, banchieri affamatori in genere sorridono nervosamente, si invita alla calma alla tolleranza alla compostezza. Nei loro occhi c'è paura, essi sanno che questo movimento non smobiliterà, per la semplice ragione che questa sollevazione non propone soltanto principi morali o ideologie, ma si fonda sulla materialità di una condizione di precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente, di assenza di vita e di futuro. L'energia che lo muove è la rabbia. La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, altre volte i mostri dell'irrazionalità. La violenza infinita del capitalismo nella sua fase agonica può produrre patologie mortali,le convulsioni della  società dello spettacolo ferita e incapace di riprodursi generano mostri di ogni genere: razzismo, fascismo, nazismo. E' ciò a cui stiamo assistendo in molti luoghi del globo, Torino, Firenze, Liegi, Utoya sono solo alcuni sintomi del risveglio del mostro che mai vinto sopravvive negli angoli più oscuri e cancrenosi delle menti di coloro che si nutrono di odio e morte, dei figli prediletti di questa società mercantile avida di vite e speranze. 
Tutto questo può non piacere. Ma questo è.
La dittatura della capitalismo sta nella mente di tutti coloro che non sanno immaginare una forma di vita libera.
Nei prossimi anni probabilmente continueremo ad assistere a continui sussulti del mostro che sopravvive fra noi e in noi. Assisteremo a violenze senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi non può mandare a scuola i propri figli, di chi non arriva a fine mese, di chi perde la casa, di chi non ha più niente  mangiare, violenza senza capo né coda da parte delle istituzioni poliziesche degli stati, un esercito di morti viventi di zombie alla ricerca di un nemico immaginario da assassinare, da bruciare, da colpire, da violentare. Uomini e donne di un altro colore, omosessuali, zingari, giovani resistenti, miserabili, insomma  coloro che per qualche motivo risultano essere diversi, coloro che più o meno consapevolmente risultano essere eretici nei confronti della dottrina dominante della società della merce, saranno inevitabilmente i bersagli di tale esercito di assassini. Occorrerà allora avere nervi saldi occorrerà intelligenza e lucidità, dovremo far fronte alla follia mantenendo il nostro spirito limpido, la visione chiara e consapevole del fatto che non c’è altro colpevole che il sistema mercantile della rapina sistematica che prosciuga l'essenza delle nostre vite. Ma in tutti i casi occorre non dimenticare, che è indispensabile stanare il mostro dai lerci anfratti in cui si nasconde, non dovremo dimenticare di ripulire i covi del nazismo e del fascismo, dovremo inesorabilmente tacitare una volta per tutte gli apologeti delle diversità raziale quale che siano i pulpiti da cui vomitano le loro più o meno ambigue o sottese parole.
Dobbiamo proteggere i nostri fratelli, i nostri compagni, nessuno deve restare indietro alla mercè di questi assassini.    

mercoledì 7 dicembre 2011

I MOVIMENTI LIBERTARI

I movimenti libertari da sempre hanno fondato il loro agire sull'etica della pratica rivoluzionaria. E' necessario che i mezzi siano adeguati ai fini poichè c'è la consapevolezza che alcuna libertà è possibile con mezzi autoritari, al centro la necessità di dare forma concreta alla società che si desidera realizzare a partire dalle proprie relazioni personali. Conseguentemente non esiste un’unica “Grande teoria anarchica”, poiché questa sarebbe contraria ai suoi stessi presupposti. E' diffusa invece una forza , una passione nel diffondere i valori condivisi che nasce nello spirito e nel cuore dei processi del partecipazionismo anarchico, nei piccoli gruppi di affinità che non è settaria o prevaricatrice o autoritaria.
Ne deriva quindi il riconoscere il bisogno di differenti prospettive teoriche, unite da un insieme di impegni e analisi condivise, una discussione che si concentra su questioni pratiche, che tiene conto inevitabilmente di una serie di prospettive differenti, riunite dal desiderio condiviso di comprendere la condizione umana, in moto verso una libertà più grande. Pertanto prende forma una cosiddetta “teoria bassa”, piuttosto che una “teoria alta”, necessaria per fare i conti con i problemi reali e immediati che emergono nel corso di un progetto di trasformazione della realtà. Ad esempio: contro il concetto di “linea politica” che è la negazione stessa della politica, contro “l’anti-utopismo”; Una teoria sociale anarchica non può quindi che rifiutare in maniera consapevole ogni residuale avanguardismo. Il compito dei movimenti libertari è quindi guardare chi sta creando alternative percorribili, cercare di immaginare quali potrebbero essere le più vaste implicazioni di ciò che si sta già facendo, e quindi riportare queste idee, non come disposizioni, ma come contributi e possibilità.
Un progetto libertario dovrebbe avere due momenti: “uno etnografico e l’altro utopico, in costante dialettica fra loro, che siano in grado di produrre forme di contropotere: il mondo contemporaneo è pieno di testimonianze libertarie, di luoghi liberati, dei quali però non si rileva traccia nella narrazione ufficiale. Il contropotere prende forma nelle istituzioni tipiche della democrazia diretta, basate su determinati valori, quali la convivialità, l’unanimità, la prosperità, la bellezza, la gratuità.
E' ineluttabile che la dove esista un alto livello di disuguaglianza, tali valori assumano di per se valenza rivoluzionaria.
Un’azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel contempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali. Le lotte contro le disuguaglianze tra Nord e Sud, le lotte contro il lavoro in quanto relazione di dominio, la negazione dell'autoritarismo, la resistenza alle regole imposte dalla società mercantile, l'affermazione della democrazia diretta sono i pilastri su cui si fondano le libere e autonome municipalità libertarie.
Molto c'è da imparare osservando il resto del mondo, in Sudafrica e in India vediamo conclavi dove si afferma la pratica della democrazia diretta, così come fra i ribelli del Chiapas, la nozione e le esperienze di gruppi di affinità arriva dalla Spagna e dall’America Latina, e ancora le molteplici esperienze, spesso duramente represse, del grande movimento mondiale che sta occupando frammenti di territorio nelle varie città del mondo globalizzato.

BAKUNIN E LO STATO

Abolizione dello Stato e di ogni forma di autorità, critica al socialismo di Stato, ripensamento del processo di industrializzazione e valorizzazione delle forze sociali da sempre emarginate, liberazione dell'uomo: sono i principi del pensiero bakuniniano. La polizia, le carceri, l'esercito, la magistratura sono i nemici dell'individuo poiché è attraverso essi che la borghesia capitalista si impone sul proletariato.
Lo Stato, scrive Bakunin, è "sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda.”
Egli critica la visione mazziniana dello Stato in quanto forma di teologia politica: il progetto rivoluzionario di Bakunin non consiste nella semplice divisione tra Stato e Chiesa, ma nel loro annullamento in quanto entità dominatrici sulle masse popolari.
Le strutture statali creano oppressione, sono contrarie alla natura dell'uomo che non può fare a meno di vivere insieme agli altri suoi simili, essendo un essere sociale. Bakunin mira alla costituzione del comune popolare, in cui ogni cittadino sia libero di esprimere se stesso e le proprie qualità, contribuendo al libero progresso della collettività.
Sono questi i principi che l'anarchico russo ha sottolineato nel 1866 a Ginevra, in occasione del Congresso Internazionale dei lavoratori: "Distruggere l'influenza di ogni dispotismo in Europa, mediante l'applicazione del diritto di ogni popolo, grande o piccolo, debole o potente, civile o non civile, di disporre di se stesso e di organizzare spontaneamente, dal basso in alto attraverso la via di una completa libertà, al di fuori d'ogni influenza e d'ogni pretesa politica o diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato, imposta dall'alto in basso, da un'autorità qualunque, sia collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e non accettando per basi e per leggi che i principi della democrazia socialista, della giustizia e solidarietà internazionale".

ROVESCIARE LA PROSPETTIVA DEL MONDO

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto. Si mantiene anche, ma non solo, grazie alla comunicazione a senso unico, che riesce a celare alla meno peggio il vero fulcro del dominio quale è il monopolio della violenza da parte dello stato. 
Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.
Come liberarci da questa falsificazione e garantirci che non si ripresenti per l'ennesima volta in nuove forme?
Non esistono sistemi che garantiscano la libertà di tutti se si propongono di cominciare col toglierla a qualcuno....
Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.
Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.
La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.
La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.
L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.
Come direbbe qualcuno: l'umanità soggettiva si nutre di un sogno che deve soltanto arrivare alla coscienza per diventare realtà.
La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere. 
Se anche non riusciremo a rovesciare la prospettiva del mondo avremo avuto ancora una volta il piacere concreto di averci provato.

giovedì 1 dicembre 2011

Il tempo sotratto

Il compito che ci attende nel prossimo futuro sarà quello di provare a stimolare forme di vita dentro e oltre la crisi. Se ciò non avverrà, allora l'egoismo, il risentimento e l'odio potranno organizzarsi nuovamente in guerra: guerra fra i popoli, guerra all'interno dei popoli, guerra fra le diversità. 
Milioni di persone hanno creduto in questi decenni che la somma di lavoro e sacrificio avrebbe ripagato prima o poi con la ricchezza economica il tempo sottratto a se stessi, ai propri affetti, alle proprie relazioni, ai propri desideri, alla vita reale in definitiva.
Nel momento in cui il il capitalismo non sarà  più in grado di garantire la promessa di ricchezza economica in cambio di miseria affettiva e psichica, le variabili emotive che si metteranno in moto saranno davvero imprevedibili. 
E' qui che l'azione politica deve collocarsi ai margini di un processo di dissoluzione delle vecchie forme di società.
Nessuna rivoluzione ha infatti mai inventato il "nuovo", poiché essa è sostanzialmente "processo", le rivoluzioni si sono sempre limitate -per così dire- a far emergere ciò che già esiste, in forma latente, nel corpo sociale e a consentire che ciò che prima languiva diventasse egemone.
Si tratta allora di sradicare una fede, una religione: quella dell'economia, del progresso, dello sviluppo lineare infinito, di rigettare il culto irrazionale e idolatra della crescita fine a se stessa, della centralità della merce e della subordinarietà dell'uomo.

CRITICA ALLA ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA

Considerando che l'unico fine di un'organizzazione rivoluzionaria è l'abolizione delle classi esistenti attraverso una via che non comporti una nuova divisione della società, definiamo rivoluzionaria ogni organizzazione che persegua con coerenza la realizzazione internazionale del potere assoluto dei Consigli operai così come è stato abbozzato dall'esperienza delle rivoluzioni proletarie di questo secolo. Una tale organizzazione presenta una critica unitaria del mondo, o non è niente. Con critica unitaria, intendiamo una critica pronunciata globalmente contro tutte le zone geografiche nelle quali si sono stabilite diverse forme di poteri socio-economici separati, e anche pronunciata globalmente contro tutti gli aspetti della vita.
Una tale organizzazione riconosce l'inizio e la fine del proprio programma nella totale decolonizzazione della vita quotidiana, pertanto non mira all'autogestione del mondo esistente da parte delle masse, ma alla sua ininterrotta trasformazione. Porta in sé la critica radicale dell'economia politica, il superamento della merce e del lavoro salariato. Una tale organizzazione rifiuta ogni riproduzione al proprio interno delle condizioni gerarchiche del mondo dominante. L'unico limite della partecipazione alla sua totale democrazia sta nel riconoscimento e nell'appropriazione da parte di tutti i suoi membri della coerenza della sua critica: questa coerenza deve essere nella teoria critica propriamente detta, e nel rapporto tra questa teoria e l'attività pratica. 
Essa critica radicalmente ogni ideologia in quanto potere separato delle idee e idee del potere separato. È quindi al contempo la negazione di ogni sopravvivenza della religione, e dell'attuale spettacolo sociale che, dall'informazione alla cultura di massa, monopolizza ogni comunicazione degli uomini attorno alla ricezione unilaterale delle immagini della loro attività alienata. Dissolve ogni «ideologia rivoluzionaria» smascherandola come ratifica del fallimento del progetto rivoluzionario, come proprietà privata di nuovi specialisti del potere, come impostura di una nuova rappresentazione che si erge al di sopra della vita reale proletarizzata.
La categoria della totalità è il giudizio ultimo dell'organizzazione rivoluzionaria, questa è infine una critica della politica. 
Deve mirare esplicitamente, con la vittoria, alla propria fine in quanto organizzazione separata.

giovedì 24 novembre 2011

FEEL LIKE A NUMBER - Bob Seger

Sentirsi come un numero
Prendo il mio cartellino e aspetto in fila
Per fare qualche dollaro faccio gli straordinari
Caro signore le lettere continuano ad arrivare con la posta
Lavoro finché la mia schiena è a pezzi per il dolore
Il capo non ricorda nemmeno il mio nome
Arrivo in ritardo e mi segnano sul registro
Non c'è scampo
Mi sento un qualsiasi altro raggio di una grande ruota
Come un piccolo stelo d'erba in un grande campo
Per i compagni di lavoro sono uno dei tanti poveri cristi
Per la società dei telefoni solo un altro apparecchio
Una statistica su un foglio
Per i professori sono uno dei tanti bambini
Per l'IRS un'altra scheda
Appena un altro voto della strada
Me ne scapperò da questa città
Andrò verso il mare
Urlerò in faccia all'oceano hey sono io!
E mi sento come un numero
Come uno straniero
Uno straniero su questa terra
Mi sento come un numero
Non sono un numero
Dannazione sono un uomo
Un uomo ho detto

L'azione diretta cuore dei movimenti

All'interno del movimento  contro la globalizzazione si va definendo una  rete internazionale di resistenza  contro il neo liberismo:  una rete collettiva di tutte le lotte e resistenze particolari, una rete intercontinentale di resistenza per l'umanità. Non si tratta di una struttura organizzata, una organizzazione gerarchica, o comunque piramidale.
La rete è costituita e rappresentata da tutti coloro che resistono. Le origini e le inclinazioni del movimento sono naturalmente internazionaliste, poiché lo sono le sue esigenze.
La visione neoliberale di 'globalizzazione'  definisce e libera i movimenti di capitali e merci, e nello stesso tempo costruisce barriere sempre più efficaci contro la libera circolazione delle persone, delle idee e della informazione. La libera circolazione delle persone, determinerebbe già di per se il declino del progetto neoliberista. Sono evidenti le connessioni e i collegamenti  tra le politiche neo liberiste e meccanismi di coercizione messi in atto dagli stati  nei confronti degli oppositori (polizia, prigioni, militarizzazione di territori  controllo della informazione, censura, criminalizzazione, delegittimazione), come sempre più efficaci sono divenuti i  controlli alle frontiere nei confronti dei “reietti” di coloro che tentano di fuggire dalla fame, dalle guerre che lo stesso sistema democratico propone e promuove.
I muri le griglie che  separano e proteggono i capi della finanza, i politici da ogni contatto con la popolazione, nelle loro periodiche riunioni (G8, G20 etc), sono divenuti il simbolo perfetto per quello che significa in realtà il neoliberismo in termini umani. 
Le pratiche di resistenza  utilizzate da questo movimento hanno alla base la cultura  della disobbedienza civile non violenta, ma  determinata. Il richiamo  alla violenza, evocato dalla maggior parte dei media asserviti al dominio, è divenuto  una sorta  di mantra costante da utilizzare in ogni occasione di azioni di opposizione, di resistenza: "violente proteste", "violenti scontri", "manifestanti violenti", o "violenti disordini". Stiamo parlando di azioni quali lanciare bombe di vernice, rompere le finestre di negozi vuoti, di blocchi stradali etc. E' probabile che ciò che veramente infastidisce  il potere è proprio la relativa mancanza  di violenza, i governi semplicemente non sanno come trattare con un movimento apertamente rivoluzionario che rifiuta di cadere in modelli familiari di resistenza armata o di pacifismo gandhiano. Molti gruppi (Direct Action Network, Reclaim the Streets, anarchici del black block, tute bianche e tantissimi  altri ancora) stanno tutti, a modo loro  cercando di delineare nuovi territori, nuovi linguaggi di disobbedienza civile, che combinino  elementi di teatro di strada, di festa, di circo e di quanto altro possa servire. Si tratta come dicono gli anarchici del blocco nero di “guerra non violenta”, nel senso che evita qualsiasi danno fisico diretto agli esseri umani, o agli animali, ma che  non rispetta le cose, gli oggetti simboli del potere, e chiaro che  tutto questo deve essere accompagnato da sistemi di difesa passiva atti a preservare per quanto possibile l'incolumità dei corpi dei resistenti dalle aggressioni delle milizie professionali messe in campo dai governi, nascono allora forme elaborate di protezione: imbottiture, ripari, maschere antigas, anonimato  etc. Si tratta di tattiche in perfetto accordo con la cultura del movimento anarchico che nel suo polimorfismo raccoglie in se l'idea centrale dell'antiautoritarismo, del rispetto per le diversità, dell’associazione volontaria, dell’autogestione, del mutuo appoggio, della democrazia diretta, dell'azione diretta.
Si tratta di  smantellare i meccanismi di governo, di   conquistare sempre maggiori spazi di autonomia , di  allacciare reti a sviluppo orizzontale antigerarchiche. L'anarchismo è il cuore del movimento, la sua anima, la fonte di maggiore novità e di speranza. 

giovedì 17 novembre 2011

PSICOGEOGRAFIA

La psicogeografia ha cominciato col designare l'insieme dei fenomeni che influenzano i sentimenti umani sul terreno d'osservazione provvisorio costituito da certi processi del caso e del prevedibile incontrati per strada. 
E' lo studio degli effetti precisi dell'ambiente geografico, coscientemente ristrutturato o no, sul comportamento affettivo degli individui. Il suo obiettivo è quello di affinare le qualità di godimento del piacere soggettivo.
La psicogeografia si presenta come la fantascienza dell'urbanistica, dove si esprime la coscienza poetica del viaggiatore-viveur. Quest'ultimo può fissarvi l'itinerario della propria esplorazione, determinandovi le scelte e la valutazione delle proprie scoperte ed emozioni.
I mezzi della psicogeografia sono numerosi e vari. Il primo e il più solido è la deriva sperimentale. Gli altri mezzi, quali la lettura di vedute aeree e di piani, lo studio di statistiche, di grafici o di risultati d'inchieste sociologiche, sono teorici e non presentano quell'aspetto attivo e diretto proprio della deriva sperimentale. Tuttavia, grazie a loro, possiamo rappresentarci sommariamente l'ambiente da studiare. 
I risultati di questo studio potranno, in cambio, modificare queste rappresentazioni cartografiche e intellettuali nel
senso di una più grande complessità, di un arricchimento.

DEMOCRAZIA E SOCIETA' DEL CAPITALE

Per democrazia si intende un regime in cui periodicamente vengono indette “libere” elezioni a cui prendono parte un certo numero di cittadini; a queste elezioni partecipano partiti apparentemente diversi fra loro in rappresentanza di ipotetiche  ideologie o di gruppi sociali con interessi differenti, ma con unico scopo e con la medesima aspirazione quella del controllo e dell'amministrazione del potere.
La democrazia si propone per tanto come forma, il suo contenuto, cioè il suo contenuto sociale risiede altrove: nei rapporti capitalistici, nell'autoritarismo dello stato, nella riproduzione costante ed accelerata dello spettacolo.
La democrazia come ci insegnano sin da piccoli è di per se etica quindi va imposta con qualsiasi mezzo così come è stato per i modelli di civilizzazione occidentale.
Fuori dalle regole del gioco democratico c'è solo, all'esterno, barbarie e fanatismo e all'interno sovversione, terrorismo, demenza, delinquenza e follia.
La democrazia per tanto è la forma dello spettacolo al suo più alto grado di concentrazione ed efficacia e, nel contempo, di diffusione capillare.
E' la democrazia delle merci, più ancora  che quella del lavoro.
E' il diritto di cittadinanza nel mondo della società del capitale che si, integra a livello planetario e  pianifica le differenze.
Ipotizzare oggi organizzazioni societarie diverse da quella cosiddetta democratica si passa per provocatori o terroristi.
La merce ideologica denominata democrazia deve venire esportata ovunque e dovunque sotto le regole apparentemente flessibili dello spettacolo, e di quelle rigide e autoritarie del capitale.
Il totalitarismo ideologico raggiunge così il suo apogeo. Di fronte alla crisi di tutti i valori, due si presentano come fondamentali ed ineludibili: lo stato e la democrazia. Il capitale ne è la base materiale. lo spettacolo la rappresentazione totale.

IL MUNICIPALISMO COME FORMA DI CONFLITTO



Il nuovo municipio è dentro le reti lunghe della cooperazione decentrata tra città, è dentro la pratica della diplomazia dal basso, promuove la cooperazione tra sistemi territoriali contro l'idea della città competitiva, ascolta sviluppa e pratica le forme del conflitto così come proposte dal Movimento su scala locale e globale, si formatta a partire dalla presa d'atto del declino dello Stato nazionale e quindi del concetto popolo. Il nuovo Municipio come soggettività insorgente, come soggetto di parte che resiste e progetta nuovi percorsi di liberazione contro la globalizzazione dei mercati, che fortifica e controlla militarmente i territori della logistica e del flusso delle merci e ne abbandona tanti altri. In questo senso il problema di queste esperienze municipali è quello del superamento delle pratiche di rappresentanza in quanto esse strappano e alienano il controllo del comune alla grande massa dei cittadini.
Nessuna piccola patria, nessuna comunità chiusa autoescludente, ma nemmeno l'idea del bel governo che si è prodotta in alcune regioni italiane, non solo per un ragionevole dubbio circa la capacità progressiva di quel modello, ma anche e soprattutto perché è una forma residuale del non più, di una concertazione tra soggetti forti che allude a un blocco sociale e politico (partito, sindacato e grandi associazioni) che rischia di non vedere e di non saper interpretare le nuove cittadinanze insorgenti, le invisibilità che sono fuori dal Novecento (lavoratori precari e intermittenti, migranti, ceti medi impoveriti, lavoratori individuali, lavoratori servili ecc.).
Come diceva un vecchio saggio la salvezza è nel luogo del pericolo, sono i territori di frontiera quelli che vanno esplorati con maggior attenzione sapendo cogliere il prevalente del non ancora, il conflitto permanente degli invisibili, delle nuove classi subalterne.
In questo senso le esperienze metropolitane, le infinite periferie metropolitane risultano un terreno di sperimentazione possibile se si riesce ad associare la resistenza alla trasformazione neo liberista del paesaggio urbano e progetto di Comunità locale che si auto organizza partendo dai bisogni e dai diritti universali esigibili. 
Ma oggi, questo Movimento, si pone un problema nuovo e più impegnativo che nei Settanta, e cioè il rapporto tra conflitto, gli strappi di minoranza e consenso, coscienti del fatto che i progetti e il modo d'intendere l'altro mondo possibile non può essere tendenzialmente maggioritario, ma assembleare sul principio di democrazia diretta  tra i cittadini delle nostre comunità.

NOTAV, IL POPOLO CHE RESISTE

La  multiforme sacca di resistenza dell’umanità contro il neoliberismo contro il capitalismo finanziario non deve essere confusa con l’opposizione politica nella  sua forma riuscita e compiuta  di un partito. L’opposizione non si oppone al potere, ma eventualmente ad un governo. Nel teatrino della finta alternanza, le due facce della medaglia: partiti di  governo e partiti di opposizione il gioco delle parti: un unica aspirazione servire il dominio  finanziario/capitalista.
La Resistenza, per definizione , non può essere un partito, non è fatta per governare a sua volta, ma per… Resistere.
Nello stesso momento in cui il neoliberismo, la finanza, scatenano la loro  guerra mondiale, in tutto il pianeta si vanno formando gruppi di non conformisti, nuclei di ribelli, nuclei di eretici. L’impero delle borse, della finanza, è costretto a fronteggiare la ribellione di una moltitudine di sacche di Resistenza. Sacche di ogni grandezza, di differenti colori e di forme. Ciò che le rende simili è la Resistenza al “nuovo ordine mondiale” e ai crimini contro l’umanità, alle devastazione dei territori e agli altri aspetti che la guerra della società del capitale dichiara all'umanità libera.
Nel cercare di imporre il suo modello economico, sociale e culturale, il neoliberismo pretende di soggiogare milioni di esseri umani, e di disfarsi di tutti quelli che non trovano posto nella nuova organizzazione del mondo. Però accade che questi “prescindibili” si ribellino e resistano contro il potere che vuole eliminarli. Donne, bambini, anziani, giovani, indigeni, ecologisti, omosessuali, lesbiche, sieropositivi, lavoratori e tutti quelli che non solo “esuberano”, ma che per di più “disturbano” l’ordine e il progresso mondiale, si ribellano, si organizzano e lottano.
Sapendosi uguali e differenti, cominciano a tessere la loro resistenza contro il processo di distruzione/spopolamento,  di ricostruzione/riordino che avanza come guerra totale.
Molte sono le armi che il dominio mette in campo : menzogna, infamia, delegittimazione, violenza, repressione, inganni, inquinamento e militarizzazione dei territori, epidemie e altro ancora.
I Popoli che resistono hanno la consapevolezza che occorre immaginare/creare un mondo nuovo. Un mondo che contenga molti mondi, che contenga tutti i mondi possibili in cui sia  compreso il rispetto per tutti gli esseri umani, per il pianeta che li contiene per gli esseri tutti che in esso abitano; I Popoli che resistono devono sapere sognare/immaginare/creare un mondo che abbia la forza di abolire i rapporti gerarchici e l'ingiustizia.
Praticare forme di  Resistenza vuol dire generare nuove forme di vita, vuol dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore reale compiuto.
La  Resistenza deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza, alla liberazione delle nostre menti così come  alla liberazione dei nostri territori.
Il Dominio potrà violentare i nostri corpi, i nostri territori, potrà dispiegare le sue armate di “sgherri”, i suoi professionisti della violenza, potrà militarizzerà le valli, le pianure e le montagne, ma non riuscirà mai avere la meglio sulle menti, sui cuori, sulla  determinazione di chi resiste.
La libera critica, Le parole, le idee, l'amore, la passione, la solidarietà, la gratuità, la consapevolezza sono le armi che la Resistenza sa mettere in campo: esse possono essere armi micidiali... 
   

giovedì 10 novembre 2011

Come difenderemo le enclavi della gratuità?

Siamo stati gli schiavi di un funzionamento economico il cui instaurarsi ha segnato l’atto di nascita della civiltà mercantile, alterando i comportamenti individuali e sociali, favorendo una confusione permanente tra confort e snaturamento, progresso e regressione, aspirazione umana e barbarie. Certo, il modo di finanziamento concreto e virtuale costituisce ancor oggi un sistema coerente – una coerenza assurda, è vero, eppure suscettibile di continuare a governare i comportamenti. Per contro, che cosa rischia di succedere il giorno in cui il crac finanziario toglierà al denaro il suo valore e la sua utilità? 
La sua scomparsa, non c’è dubbio, sarà salutata come una liberazione da quanti gli negano il diritto di tiranneggiare la loro vita quotidiana. Tuttavia, il feticismo del denaro è talmente incrostato nei nostri costumi che molti individui assoggettati al suo giogo millenario, finiranno per trovarsi in preda a quegli scompensi emotivi in cui regna la legge della giungla sociale, in cui si scatenano la lotta di tutti contro tutti e la violenza cieca in cerca di capri espiatori. Non dobbiamo sottovalutare i tentacoli della piovra intrappolata nei suoi ultimi rifugi. Il crollo del denaro non implica, infatti, la fine della depredazione, del potere, dell’appropriazione degli esseri e delle cose. L’esacerbarsi del caos, tanto utile alle organizzazioni statali e mafiose, propaga un virus di autodistruzione i cui rigurgiti nazionalisti, gli sfoghi sfocianti in genocidi, i conflitti religiosi, i rigurgiti della peste fascista, bolscevica o integralista rischiano di avvelenare gli spiriti se l’intelligenza sensibile del vivente non rimette al centro delle nostre preoccupazioni la questione della felicità e della gioia di vivere. Per contro, non bisogna che la disumanità del passato cancelli la memoria dei grandi movimenti di emancipazione in quel che ebbero di più radicale: la volontà di liberare l’uomo alienato e di far nascere in lui quella vera umanità che riappare di generazione in generazione.
La società a venire non ha altra scelta che quella di riprendere e sviluppare i progetti di autogestione che dalla Comune di Parigi alle collettività libertarie della Spagna rivoluzionaria, hanno fondato sull’autonomia degli individui una ricerca di armonia in cui la felicità di tutti fosse solidale con la felicità di ciascuno.
Il fallimento dello Stato obbliga le collettività locali a mettere in atto una gestione del bene pubblico più adatta agli interessi vitali degli individui. Sarebbe illusorio pensare che liberare dei territori dal dominio mercantile e instaurare delle zone in cui i diritti umani sradichino il diritto del commercio e della redditività si possa compiere senza urti. Per tanto dovremo immaginare di difendere le enclavi della gratuità che cercheremo di impiantare in un mondo rastrellato e controllato da un sistema universale di depredazione e di cupidigia con strumenti nuovi efficaci consapevoli del fatto che non potremo mai competere sul piano strettamente militare con i professionisti della violenza che il sistema può mettere in campo.

Biocentrismo e Antropocentrismo

Un modo di analizzare l'estrema divergenza fra la visione del mondo delle società primitive basate sulla terra e quella della attuale società consiste nel confrontare le prospettive biocentrica e antropocentrica.
Il biocentrismo è una prospettiva che s'incentra sulla terra e ci collega ad essa e alla trama complessa della vita.
l'antropocentrismo, la visione del mondo dominante nella cultura occidentale, considera la società umana al centro di ogni cosa, escludendo il resto della vita.
Una visione biocentrica non rifiuta la società umana, ma la priva dello status di superiorità e la pone in equilibrio con tutte le forze della vita. Dà priorità a una prospettiva bio-regionale, profondamente legata alle piante, agli animali, agli insetti, al clima, alle caratteristiche geografiche e allo spirito del luogo che abitiamo. Non vi è alcuna frattura fra noi e il nostro ambiente, pertanto non può esistere alcuna oggettivazione o alterità rispetto alla vita. Se la separazione e l'oggettivazione sono alla base della nostra capacità di dominare e controllare, l'interazione diretta è un presupposto indispensabile per un nutrimento, una premura e una comprensione reciproci e profondi.
L' eco-anarchismo si sforza di andare oltre le idee e le decisioni incentrate sull'umano, a favore di un'attenzione e un rispetto per tutte le vite e le dinamiche degli ecosistemi che ci sostengono.

SALOME' di Carmelo Bene

Film destinato ad un pubblico di palato fine.
Salomè riserba infatti molti gaudi allo spettatore che si consegna inerme al bombardamento a tappeto di immagini e di suoni in cui consiste il succo e il fascino della rappresentazione. Opera cinematografica per eccellenza, Salomè è la traduzione per lo schermo, dopo le edizioni teatrali fatte dallo stesso Bene, degli incubi di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea che mandò a morte San Giovanni Battista e processò Gesù. Sposato ad Erodiade, già moglie di suo fratello, l'uomo si mangia con gli occhi la bella figliastra Salomè, ma è tormentato dal dubbio che sulle ali di un vento gelido stia per arrivare qualche sventura. 
Dopo un prologo che ci offre primi piani di natiche spolverate con un piumino, il film s'addentra nella baraonda d'un grande banchetto, scivolato ovviamente nell'orgia, a cui si mescolano gli strazianti presagi di Erode, tutti espressi in forme grottesche; un' Ultima Cena, dove gli apostoli fanno a gara per passare alla storia come traditori, un Gesù coi dentini alla Dracula, un altro che tenta di inchiodarsi da sé alla croce (ma gli avanza una mano...) e via beffeggiando. Mentre Erode, incalzato dalla lussuria e annebbiato da sanguigni fantasmi, supplica Salomè di danzare per lui, un vecchio farneticante in cui si deve riconoscere Giovanni Battista tenuto prigioniero nella cisterna pronuncia incomprensibili minacce e, in dialetto siciliano, copre di contumelie la principessa. 
Da parte loro Erodiade (incarnata da due personaggi, un uomo e una donna), la scongiura di non ascoltare il patrigno, e i cortigiani celebrano le sue grazie assomigliandola alla Luna che impassibile assiste al corso deI destino. Finisce che, ottenuta la promessa d'avere in cambio da Erode tutto quel che vorrà, Salomè compie la danza dei sette veli la cosa più morbida del film, sulla musica di «Abatjour»  ma precipita il tetrarca nella follia col chiedergli la testa del Battista. 
Le ultime sequenze vedono Erode spellato da Salomè e l'uomo che cercava di crocifiggersi uscire d'imbarazzo dandosi una martellata in testa.
Chi conosce Carmelo Bene sa che la chiave per penetrarlo è l'eccentricità della fantasia, non speculare sul senso logico del film, ma dobbiamo gustarne gli effetti cromatici e sonori.
Carmelo Bene ha il dente avvelenato con la religione, e perciò gradisce la fama d'irriverente, se non di blasfemo. 
In realtà egli è lontano da Bunuel: il suo Cristo che si intreccia la corona di spine cantando Vipera viene dalla festa delle matricole. 
La parodia è un'operazione anzitutto strettamente culturale. Essa non funziona, infatti, in presa diretta col reale; bensì nel rapporto con un'opera d'arte che mira a svuotare con la contraffazione caricaturale, è, insomma, un'operazione critica; che, però, ha per scopo non già la comprensione dell'opera ma la sua distruzione.
Cinema dell'atto, senza azione, senza traiettoria, istantaneo nel suo divenire. Lo sguardo non è avvertito se non come falso, sempre filtrato da specchi, schermi, vetri. Ma non è neanche uno sguardo guardato. Caleidoscopio di luci e suoni, quest'urlo abbacinante, questa supernova di voci, musiche e rumori spezzati, contraddetti e rimasticati nella sua caoticità classica offre spiragli di accessibilità pigra.




"Cinema è quando gli occhi miei si chiudono solo a guardarmi dentro" (Carmelo Bene)

IL TEMPO REALE

Il tempo reale è oggi il nostro metodo di sterminio.
Se si vuole dare un senso a questa espressione contraddittoria, poiché il tempo reale abolisce ogni dimensione reale del tempo, dovremmo contemplare la possibilità di rendere attuale tutto nell'istante stesso. 
E' il tempo della realizzazione immediata, della diffusione planetaria, dell'azione a distanza. Cosa che abolisce ogni sequenza presente/passato/futuro, quindi ogni conseguenza. 
Il tempo reale è una sorta di quarta dimensione nella quale tutte le altre sono abolite. Il futuro è assorbito perché ha già avuto luogo in tempo reale. Quindi non ha avuto tempo di avere luogo. E il passato, invece, non ha più tempo di avere luogo. Quanto al presente, non è mai quello degli schermi. 
Il tempo reale è quindi una sorta di quarta dimensione, quella del virtuale, sostituita al reale, e che ne è la realizzazione assoluta. 
Quindi nessuna possibilità per il reale di emergere, perché esiste la precessione del virtuale, come una volta c'era la precessione dei modelli e dei simulacri. In fondo: il reale è uno stato instabile che ha beneficiato per due secoli di una congiuntura favorevole. Quella in cui si è avuta la possibilità di produrre gli stessi effetti partendo dalle stesse cause. È tutto questo ad essere sfasciato. È il rapporto di causa ed effetto che è diventato indiscernibile o, forse si è addirittura capovolto. Non si sa più che cosa succede fra le condizioni iniziali e quelle finali.
E' un po' questo il tempo reale: la collisione dei poli opposti del futuro e del passato, del soggetto e dell'oggetto. La collisione tra una domanda e una risposta. E' una realtà insuperabile non soltanto nelle scienze, ma anche nell'organizzazione generale delle nostre esistenze.

giovedì 3 novembre 2011

La gratuità è l'arma assoluta contro il sistema mercantile.

La società mercantile ha scavato la sua tomba facendo della terra un cimitero. Essa offre oggi lo spettacolo della propria fine nel teatro di un mondo in rovina dove le masse anestetizzate sembrano rassegnarsi a sparire con lui.
Coloro che si accontentano di applaudire il crollo del capitalismo finanziario o a opporre una violenza cieca alla violenza del profitto, non fanno che coltivare il fascino dell'autodistruzione e della disperazione di cui le mafie affariste, ideologiche e religiose, hanno bisogno per rinforzare il loro potere. Se non usciamo dalla realtà economica creando una realtà umana, permetteremo ancora una volta alla barbarie mercantile di perpetuarsi.
L'avvenire appartiene a delle collettività autogestite che mettano al servizio di tutti la produzione di beni e di servizi indispensabili (energie naturali, biodiversità, insegnamento, case di salute, trasporti, metallurgia, tessile). Si tratta di produrre per noi e non più per commercializzare delle derrate che dovremo poi acquistare al prezzo del mercato quando sono i lavoratori che le hanno concepite e fabbricate. Il tempo è venuto di rompere con le leggi di un affarismo che programma insieme al suo fallimento quello delle nostre esistenze. Bisogna che le relazioni umane soppiantino le relazioni commerciali e le annullino.
La disobbedienza civile consiste nel passare oltre le decisioni di uno Stato che truffa i cittadini per sostenere le truffe del capitalismo finanziario. Perché pagare allo Stato-bankster delle tasse vanamente destinate a riempire l'abisso delle malversazioni quando potremmo destinarle in ogni collettività locale all'autofinanziamento delle energie gratuite? La democrazia diretta delle assemblee autogestite ha il diritto di ignorare i diktat della democrazia parlamentare corrotta. Tiriamo partito dalla mutazione in corso per costituire delle collettività in cui il desiderio di vivere abbia il sopravvento sulla tirannia del denaro e del potere. 
La disobbedienza civile verso uno Stato che ci truffa è un diritto. Dove vanno le nostre tasse e imposizioni varie? Non al settore pubblico che cade a pezzi a vantaggio di truffatori pubblici e privati. Non alle scuole che stanno diventando un allevamento in batteria di schiavi gettati sul mercato. Non agli ospedali gestiti come imprese da rendere redditizie, dove i pazienti diventano dei clienti di cui approfittare e le cure lasciano il posto all'affarismo. 
Non ai trasporti e alle poste, sempre più cari e sempre più caotici. Non alle industrie prioritarie (tessile, metallurgia, materie prime), che ancor più dei settori parassitari pagano il prezzo del capitalismo speculativo. Non alla ricerca e alla diffusione di energie non inquinanti. Servono a rimarginare le perdite delle malversazioni bancarie, a riempire la voragine senza fondo di un deficit virtuale.
La gratuità è l'arma assoluta contro il sistema mercantile. 
E' tempo di prendere coscienza che il vecchio mondo sta crollando. Se non vogliamo sparire con lui, il compito più importante è gettare le basi di una nuova società.